Dhaka, arancia meccanica in salsa bengalese

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Nell’Arancia meccanica andata in scena a Dhaka, Dacca, per i semplici di spirito, la trama del racconto è stata rovesciata. Mentre, nel film di Kubrick, Alex prima uccide e stupra, e dopo viene sottoposto ad un lavaggio del cervello per renderlo inoffensivo, nella realtà odierna del Bangladesh, i suoi emuli prima vengono sottoposti al lavaggio del cervello per renderli altamente offensivi, poi torturano e uccidono. Si dirà che il cervello di Alex era esso stesso un prodotto sociale, e il lavaggio lo riporta ad una realtà sociale che è quella stessa che ha prodotto il suo cervello omicida. Ma questa regressio ad infinitum, ottima per la critica cinematografica, rischia di non farci andare oltre il livello meccanico dell’analogia, quando invece bisogna cercare di andare al succo dell’arancia. Che è aspro e amaro. Aspro perché ci ricorda che terrorismo è un termine che non significa niente se non guardiamo in faccia la realtà. Non ci si può illudere che il denaro, avvolto nella carta stagnola del multiculturalismo, possa lubrificare tutti gli scambi mondiali. Ci sono degli inevitabii ritorni di fiamma che inceneriscono ogni volenterosa razionalità strumentale. L’emblema di ciò è l’Arabia Saudita, abilissima tesaurizzatrice del suo petrolio, e principale finanziatrice della fazione più estrema del credo islamico. A quanto pare, sin da subito si seppe che dietro gli aerei stragisti dell’11 settembre 2001 c’era la sua mano, ma gli americani, anziché portarla davanti ad un consesso di giustizia internazionale, che pure, da Norimberga alle false prove contro Saddam, quando vogliono, sanno come allestire, andarono a sfogare la loro furia contro gli afghani e poi gli irakeni. Bisognerà ricostruire tutti i dettagli di questo calcolo, che forse è una sindrome, continuare a fare affari con chi ti vuole morto – non è così che vanno le cose nelle cosche mafiose? Il multiculturalismo ci porta all’amaro della storia. Il multiculturalismo presuppone un interesse reciproco per le reciproche differenze, altrimenti è solo il vecchio esotismo senza più le truppe coloniali. Per fortuna, quel tempo è passato, ma bisogna prendere atto che quest’interesse reciproco, salvo per una ristretta minoranza cosmopolita, si manifesta come un’alienazione che scatena la rabbia omicida. Il terrorismo, e l’immigrazione, sono dunque il secondo tempo del rapporto coloniale, e il multiculturalismo è la risposta di chi non ha più la forza di imporre la propria curiosità sfruttatrice. È un meccanismo incagliato, che rischia di incanaglirsi, se non sopravviene una corrente unificatrice, che dissolva le differenze in un movimento che ha bisogno delle differenze, perchè è dal loro dissolversi che trae energia, ma che per ciò stesso non ristagna nelle differenze. Ciò non ha niente a che fare con la miracolosa autoregolazione del mercato, ma richiede una consapevolezza del divenire che, con una mostruosa alleanza, moralisti e immoralisti dell’ordine sociale esistente hanno deciso di mettere al bando.