Che con la guerra in Ucraina la storia si fosse rimessa in moto era evidente, anche se le macerie del passato gravavano sul nuovo che lentamente prendeva forma, ma ora il cambio di regime in Niger è uno di quegli eventi che riorientano tutto lo sguardo su quanto accaduto sin qui e su quanto può d’ora in poi accadere. Il motivetto era che per toglierseli di torno bisognava, se non bombardarli, almeno aiutarli a casa loro, ma ora che gli africani mostrano di sapersi aiutare da soli, la reazione è sconcertata. Ma come, inneggiano a Putin? Con tutti i dollari e gli euro che gli abbiamo dato, con tutte le ospitate nelle nostre migliori accademie militari, con tutte le lezioni di democrazia elettorale che gli abbiamo impartito, ci cacciano via come appestati, si mettono a dire che non vogliono più essere le marionette dell’imperialismo occidentale, si avventurano addirittura a profetizzare che fra non molto i loro ragazzi non partiranno più per morire annegati nel Mediterraneo? A questo punto dovremmo evocare le miniere d’uranio di cui è ricco il Niger, ma scadremmo nell’economicismo di tutti coloro che trascurano le mediazioni che esistono tra l’uranio e il possibile benessere dei nigerini. Anche un osservatore acuto come il vegliardo socialista Rino Formica parla senza mezzi termini di ritorno dell’autoritarismo in Africa, ma i “golpe” in Mali, Burkina Faso, Niger sono tali nella forma, poiché nella sostanza stanno avviando a soluzione il problema principale di questi paesi, ovvero l’allargamento della base popolare dello Stato che invece sinora era stato o un padre padrone che vegliava sulle giovani nazioni appena decolonizzate o una signoria al servizio di potenze straniere. E se il padre padrone finiva per diventare un arbitro sempre più capriccioso man mano che invecchiava, le signorie erano incapaci di procacciare tanto la sicurezza quanto lo sviluppo dei loro rispettivi paesi. Oggi, in Africa, vi sono due “agenzie” che forniscono soluzioni a tali problemi, ovvero la Cina con i suoi larghi investimenti per quanto attiene allo sviluppo, la Russia con le sue discusse milizie per ciò che concerne la sicurezza. Le loro pretese, almeno al momento, sono moderate, offrono un saper fare efficace, non hanno un passato colonialista da scontare, e tutto ciò permette un gioco politico relativamente libero in cui le classi popolari da sempre escluse dallo Stato cominciano a identificarsi in esso. Se questo processo va avanti, se l’Occidente, scontento di quanto sta accadendo, non interviene con le modalità ben conosciute per ripristinare la “democrazia’, se non si traveste per boicottarlo di jiadista, alquaedista o comunque di terrorista islamico, tutti fantasmi che combatte o con cui si allea a seconda delle sue convenienze, non è azzardato pensare che in poco tempo l’emorragia migratoria che da quei paesi si indirizza verso l’Europa possa affievolirsi sino a cessare, e ciò senza che il lagnoso europeo abbia tirato fuori un centesimo per “aiutarli a casa loro” ma semplicemente per uno di quei miracoli della “politica” quando si pone i problemi veri, cioè la base popolare delle istituzioni e la perequazione della lotta di classe che in quei paesi in questi decenni ha assunto forme mostruose. Non si dimentichi che dietro ogni migrante ci sta qualcuno che ha razziato i suoi beni in cambio della somma esosa che va allo scafista. Perciò, che si determini una situazione politica in cui cessi questa feroce “accumulazione primitiva” può essere uno scandalo solo per un Occidente che ormai da tempo immemorabile ha tacitato la propria coscienza morale. E le elezioni democratiche? E i diritti umani? Sono stati questi doni di cui non si è avuto abbastanza timore – come dimenticare il fascinoso discorso di Obama all’Università del Cairo nel 2009? — a scatenare le rivoluzioni arabe del 2011, ma essi indicavano una via troppo stretta non perché non riuscissero a calmierare il prezzo del pane, ma perché non riconoscevano alcuna dignità politica alle classi popolari concepite appunto come mere mangiatrici di pane che si incazzano se gli aumenti il prezzo dell’alimento di base della loro vita animalesca. E per converso, quei diritti apparivano così astratti a quelle classi popolari che presto esse divenivano la base non di un nuovo Stato popolare ma di una setta anti-modernista da tempo celata nell’ombra che tramite i formalismi democratici si impadroniva del potere di Stato. È in forza di questa “cattiva” egemonia con il volto rivolto verso l’oppressione del passato e non verso l’autodeterminazione del futuro che l’Egitto è passato da Mubarak a Morsi per tornare al punto di partenza con Al Sisi. Qui ci asterremo dal contrapporre i diritti umani per i quali è stato imprigionato Zaki a quelli sociali su cui indagava Regeni. L’Egitto è un paese troppo complesso per simili contrapposizioni e la costruzione in esso di uno Stato popolare dovrà passare ancora per prove molto impegnative. Su queste vicende che osserviamo da lontano attraverso il filtro deformante di un’informazione protervamente imperialista resta da dire qualcosa sull’Italia e sui suoi patetici, attuali governanti che, quando si confrontano con l’Africa, non hanno di meglio da fare che andare in giro a vendere pacchetti di fumo intitolati a Enrico Mattei, l’uomo che si vantava di trattare i partiti come dei taxi, pace all’anima sua. E dire che una strada la si era individuata, con quella denuncia del franco francese come moneta di riferimento obbligatoria dei paesi del Sahel quale chiave del loro “sotto-sviluppo”. Ma ad agitare questi temi era quel Movimento 5 Stelle che con la sua demagogia e il suo istrionismo mutuati dal suo nefasto artefice ha fatto tanto male alla sinistra di questo paese, già di per sé attinta da un divorante opportunismo. E se la demagogia e l’istrionismo, l’improvvisazione e il pressapochismo non fossero stati la cifra di quella forza politica, l’Italia a quest’ora sarebbe all’avanguardia nel nuovo mondo che si profila. E invece il patto commerciale con la Cina fu siglato con l’allegra noncuranza con cui si beve un bicchier d’acqua, senza predisporre nulla che potesse rendere non traumatico il distacco dall’euroatlantismo. E che dire delle relazioni con la Russia affidate alle ambigue amicizie dell’ormai defunto magnate brianzolo e ai papocchi di certi leghisti in fregola di sovranismo? Il nuovo mondo grande e terribile è una cosa troppo seria per un paese che ogni anno sempre più pomposamente celebra sé stesso dividendosi tra i lustrini sanremesi e le giacche a pinguino della lirica milanese. Perciò affonderemo con beata incoscienza attaccati alla mammella americana mentre sul ponte garriscono le Sorelle Bandiera.