Gramsci, un brutto scherzo

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Tutto cominciò con una contraddizione rilevata in pubblico circa il rapporto tra Gramsci e Wittgentein1. Nel commento ad un testo che attaccava aspramente il suo ultimo libro, si dichiarava ultraconvinto  che  non  sia  possibile  riscontrare  una  influenza  di  Wittgenstein  su  Gramsci2, quando invece in un articolo di qualche anno prima era parso che affermasse proprio il contrario. In quell’articolo, infatti, sosteneva che l’argomento così specialistico del Quaderno 29, il concetto di grammatica, era da far risalire probabilmente allo stimolo dei resoconti che Sraffa fece a Gramsci degli intensi colloqui che aveva con Wittgenstein, impegnato nella “svolta linguistica”3. Da quell’intervento, trascorse qualche giorno di silenzio, che già faceva intuire una comprensibile irritazione, ma quando la reazione arrivò, si concretizzò, anziché in un intervento pubblico, solo in una mail privata4. In essa lamentava che la discussione pubblica era viziata da certi toni da talk show televisivi, ai quali gli rimproverava di essersi ultimamente adeguato, prendendo anche il vezzo, tutto ideologico ed ecclesiastico, di criticare qualcuno per ammiccamenti comprensibili solo ai chierici della setta. Quella risposta privata, dunque, era un’eccezione che faceva in nome delle comuni e antiche frequentazioni dei testi gramsciani. Fatta questa premessa, veniva al dunque:

 

E’ così difficile leggere un testo con serenità? Ma quando mai ho scritto che Gramsci nella sua elaborazione teorica è stato influenzato da Wittgenstein? Per farlo dovrei rinnegare Lingua intellettuali egemonia (passi per gli altri ma tu quel libro dovresti conoscerlo; vi sei anche ringraziato) e non ho nessuna intenzione di farlo. Ho scritto che verosimilmente la scrittura del  Q 29 fu “sollecitata (has been spurred) dai racconti sraffiani dei problemi di filosofia del linguaggio su cui lavorava Wittgenstein”. Ma per te “essere sollecitato da qualcuno a scrivere qualcosa” e “essere influenzato nel modo di pensare da qualcuno” sono la stessa cosa? Debbo spiegarti la differenza? Qualcuno ti racconta delle discussioni che si conducono, poniamo, in una prestigiosa università tedesca sul rapporto tra grammatica e potere. L’argomento ti interessa e ti fa ricordare cose a te familiari. Decidi di scrivere un appunto per mettere in chiaro il tuo punto di vista. E’ chiaro che lo fai col bagaglio delle tue conoscenze e non con quello dei tuoi colleghi tedeschi che magari non sai neanche chi sono. Sei stato sollecitato dai racconti del tuo amico a scrivere il tuo appunto e però il contenuto e i riferimenti culturali che usi provengono dalla tua storia personale e nulla hanno a che fare coi riferimenti culturali di chi si trova in Germania. Ma perché mi fai spiegare queste cose? Gli equivoci di cui parli credo proprio che stiano tutti nella tua testa.

 

In effetti, in quel suo intervento, equivoci egli ne aveva rilevati più di uno. Andando oltre il fatto filologico, aveva infatti definito un equivoco l’affinità del pensiero di Gramsci con quello di Wittgenstein:

 

Sostenere, infatti, come tu fai ancora oggi nel commento che hai postato, l’esistenza di una “corrispondenza, in sede di elaborazione teorica, tra l’ultimo Wittgenstein e i Quaderni” (note a Naldi e De Vivo, p. 10), è a mio modo di vedere un equivoco. Non essendo uno specialista, e per di più nememno autorevole, del pensiero di Wittgenstein, non so se posso permettermi di dire che Wittgenstein è un custode delle “forme di vita”, e nel suo pensiero non c’è nessuna indicazione su come passare da una “forma di vita” o “gioco linguistico” all’altro. Prova ne è che l’etica, e oso dire la politica, per lui sono fatti mistici. All’opposto, Gramsci è un eversore delle “forme di vita”, e l’etico-politico per lui è lo strumento con cui il soggetto interviene razionalmente nel corso storico, per sollecitare i passaggi genetici da una “forma di vita” all’altra.

 

E un altro equivoco che gli era parso di dover rilevare era quello del Gramsci “democratico”:

 

Qui si lega l’altro equivoco, quello della democrazia, dove ora anche Angelo Rossi, con altri argomenti e prospettive, si unisce a te nel sostenere il Gramsci liberal-democratico. Quello che mi pare di capire è che la democrazia per Gramsci, ovvero la democrazia capitalistico-borghese, è una “forma di vita” che va violata nei suoi presupposti culturali, che si ritrovano formalizzati negli ideologi di tale “forma di vita” (penso, ad esempio, ma è un’aggiunta mia, all’opulenza e alla distinzione fissati da un Mandeville). Senza una simile “scissione”, ma con il tuo amato Bachelard potremmo anche dire “rupture”, “rottura” di una “sostanza” sociale, le istituzioni liberal-democratiche, proprio perché sono forme che processano contenuti, non possono che riprodurre il dominio capitalistico-borghese che Gramsci invece vuole superare.

 

Su questi punti, ecco la sua replica:

 

Il “Gramsci eversore delle forme di vita” e che programma di superare la  “democrazia capitalistico-borghese” appartiene a un altro ordine di discorso. Faresti bene a sostanziare con citazioni dai Quaderni le tue asserzioni. Detto con questa genericità non so né seguirti né confutarti. A me sembra che tu, insieme a tanti altri, ti sei costruita una immagine di Gramsci che poco ha a che fare col Gramsci in carne e ossa che pensava e scriveva tra carcere e cliniche. Può darsi che hai ragione tu. Quando mi convincerai non mi farà problema il riconoscerlo. Al momento non sono nemmeno in grado di confutarti.

 

A questa mail, che si chiudeva ricordando l’antica amicizia, egli rispose con un tentativo, che sapeva sarebbe stato vano, di riportare la discussione là dove era nata:

 

Perché non continuare a discutere in pubblico? Al netto di una comprensibile irritazione, cosa c’è nei tuoi argomenti, e nei contro argomenti che io potrei avanzare, da non poter essere detto in pubblico? Noi stessi saremmo sicuramente più rigorosi e controllati nelle nostre argomentazioni. Così, cosa vuoi che ti risponda? Che a me il Gramsci für ewig del ’35, ormai tutto preso da problemi filosofico-linguistici, non mi convince, e mi convince di più un Gramsci sempre politico interessato ai movimenti dell’egemonia? Vuoi le citazioni testuali che sostanzino il Gramsci eversore delle forme di vita? Me se tu stesso ricordi nel tuo commento al testo postato (note a Naldi e De Vivo) che Gramsci criticò Sraffa nel ’24 sulle libertà borghesi? E che cosa mi dovrebbe indurre a ritenere che la sua successiva e finale proposta di Assemblea costituente costituirebbe un ripensamento di quella posizione anti-borghese? Forse gli argomenti di Angelo Rossi, che proietta piamente su Gramsci la “politica democratica” del quadro medio comunista degli anni Settanta? Riguardo alla mia immagine di Gramsci, i miei più recenti interventi gramsciani non hanno avuto confutazioni, anzi l’articolo sull’espressività è stato tradotto in una lingua esotica come il giapponese. Vuol dire che il mio Gramsci non è poi così campato in aria.5

 

La risposta non fu molto conciliante:

 

Mio caro, la chiacchiera ideologica non ha vincoli: può dire tutto e il contrario di tutto purché non si perda di vista l’obiettivo finale (non importa quale esso sia); non sbaglia mai (sbagliano sempre gli altri); la lettura attenta di quello che l’interlocutore dice o scrive è del tutto irrilevante. Il dibattito scientifico ubbidisce a rigidi canoni etici: anzitutto ci si sforza di capire ciò che si legge; non si bara sul significato delle parole; si riconoscono i propri errori. Questi standard tu in poche righe riesci a violarli almeno due volte.

(1) Hai spiegato con susseguosa sapienza da grande intellettuale gli equivoci in cui è incorso Lo Piparo. Lo Piparo prova a spiegarti che quegli equivoci esistono solo nella tua testa non sapendo o non volendo tu fare la distinzione (banale) tra “essere sollecitato da X” e “essere influenzato nel modo di pensare da X”. Tu che fai? Taci. Cambi discorso. L’etica scientifica ti dà due alternative: spieghi dove sta l’errore di Lo Piparo; riconosci l’errore e lo dichiari negli stessi luoghi in cui hai pontificato. La chiacchiera ideologica al contrario pratica il coraggio virile del silenzio.

(2) Lo Piparo ti chiede di “sostanziare con citazioni dai Quaderni le tue asserzioni” sulla soggettività che rompe. Tu che fai? Sostanzi le tue asserzioni citando L’Ordine Nuovo del 1924. Tipica prassi teologica e ideologica.

Vorresti discutere in pubblico in questo modo? Sarebbe una perdita di tempo. Mi dispiace costatare con quanta facilità hai dimenticato le tue letture di Pareto e Vailati. O forse sono stato io a non avere capito che non avevi capito.

Quando mi convincerai che sbaglio lo ammetterò. Nessun problema.6

 

L’accusa frontale di “ideologia”, un suo vecchio cavallo di battaglia, restringeva di molto la possibilità di discussione. Decise perciò di aggirarla:

 

Va bene, per amore della discussione mi adeguo al tuo stile argomentativo:

(1) se “essere sollecitato da X” è un frammento logico del mondo, credo che sia più probabile che sia saturato dall’argomento “Y ha scritto un Quaderno 29 sollecitato dai fatti grammaticali del suo ambiente italiano interpretabili nell’ambito di un suo indirizzo teorico di azione politica detta egemonia”, anziché dall’argomento “Y ha scritto un Quaderno 29 sui fatti grammaticali del suo ambiente italiano sollecitato dai racconti dell’amico Piero circa le riflessioni linguistiche del suo amico Ludwig”, e ciò per il fatto che il primo argomento ha lasciato una traccia testuale (Q. 29, § 3, p. 2346), mentre il secondo è oggetto solo di indizi e supposizioni. Vale dunque, almeno per me, la maggiore certezza logica;

(2) una polarità che percorre i Quaderni è quella tra concezione tolemaica e concezione copernicana. Il senso comune è tolemaico, le masse cattoliche sotto il controllo morale della Chiesa sono tolemaiche, le classi subalterne che condividono la fede nella concezione fatalistica della filosofia della praxis sono tolemaiche. Al contrario, il “buon senso” derivato dalla critica filosofica del senso comune è copernicano, il mondo moderno è copernicano, la nuova filosofia della praxis che Gramsci si propone di elaborare è copernicana. Le citazioni le puoi trovare facilmente tu. Per me,  si tratta dell’opposizione tra due “forme di vita”, una delle quali, quella tolemaica, per Gramsci va attivamente violata e trasformata senza residui nella nuova, quella copernicana. La finalità è la seguente: «Ma in realtà solo il gruppo sociale che pone la fine dello Stato e di se stesso come fine da raggiungere, può creare uno Stato etico, tendente a porre fine alle divisioni interne di dominati ecc. e a creare un organismo sociale unitario tecnico-morale» (Q. 8, § 179, p. 1050). Ovvero un organismo sociale dove il soggetto egemonico si autodissolve nella reciprocità.7

 

La mail si concludeva, oltreché con un reiterato invito a tornare a discutere in pubblico, anche ribattendo velocemente all’accusa di “ideologia”:

 

Qui mi fermo, perché ulteriori implicazioni potrebbero risultare per te ideologiche. Non vedo perché queste cose non avremmo potuto dirle in pubblico. Ti mando con un po’ di scetticismo un lavoro gramsciano in corso di pubblicazione. Perché non c’è imputazione più teologica dell’imputazione di ideologia.8

 

La risposta arrivò l’indomani mattina inoltrata. Avrebbe voluto rispondere a caldo, gli scriveva, ma aver desistito era stato un bene, perché quello che, nella fretta, aveva in mente di dirgli lo avrebbe sicuramente deluso. In ogni caso, però, ribadiva che rileggendo a freddo le sue osservazioni non aveva cambiato idea:

 

L’argomento (1) non capisco veramente in che cosa mi confuti. Vi trovo una conferma dell’idea, anche gramsciana ma già aristotelica, che è impossibile confutare con argomenti razionali una forte passione. Ci si può solo affidare al tempo che prima o dopo rasserena anche le passioni più estreme.

L’argomento (2) è proprio di un adolescente che crede negli angeli e in Padre Pio, volevo dire nello Stato etico comunista ovvero nel paradisiaco regno della libertà.

Il passo che citi è datato 1931-32. I testi gramsciani vanno letti non trascurandone la data; mi permetto di rimandarti a pp. 101 sgg. di I due carceri.  Il passo citato è la conclusione, ambigua e gramscianamente non chiara, di una tipica argomentazione gramsciana riguardante i due momenti dell’egemonia e della dittatura. La conclusione si può effettivamente leggere nel senso che esiste un gruppo sociale che istaurerà lo Stato etico dove esisterà solo e soltanto consenso. Ossia versione di sinistra di Gentile e del fascismo. Altrove, ma per fortuna si tratta di casi rarissimi, questo Stato etico (e, nell’impianto teorico, fascista e/o stalinista) lo chiamerà «società regolata». La conclusione del ragionamento di pp. 1049-50, se interpretata (è possibile) in senso gentiliano, contraddice tutto il resto dei Quaderni (quelli più recenti, soprattutto ma non soltanto) dove i due momenti (consenso spontaneo e forza coercitiva) sono detti ineliminabili e il volerne abolire la distinzione si dice che sia il proposito di «strutture governative illiberali» (sto citando).

I Quaderni sono il diario intellettuale di un pensatore che fa i conti con la propria cultura e la propria formazione, non bisogna quindi leggerli come espressione sistematica e coerente di un pensiero.

La definizione di una forma di vita copernicana non la trovo nei Quaderni che posseggo. O si tratta di una riformulazione, in terminologia wittgensteiniana, del gentiliano e fascista Stato etico?9

 

In questa discussione dai passaggi corti, per la verità alquanto fallosa, il tocco successivo avrebbe dovuto essere ora quello di ricordargli che non erano in questione le sue attardate credenze adolescenziali, bensì le possibilmente oggettive teorie di Gramsci. E avrebbe dovuto essere anche quello di ricordargli che il passo di Q. 8, § 179, p. 1050, era sì del 1931-32, ma Gramsci successivamente non lo cancellò e riscrisse, a differenza di altri paragrafi dello stesso Quaderno, ritenendolo quindi definitivo nella primitiva stesura10. E avrebbe dovuto essere infine quello di ricordargli che “fare i conti con la propria cultura e formazione” è nozione impropria in Gramsci, poiché le riscritture di brani dei Quaderni ebbero la funzione di sistematizzare e generalizzare, non certo di revisionare o peggio abiurare. E in effetti egli aveva già digitato qualcosa in tal senso, e stava per inviarlo, ma all’ultimo momento, pur sapendo che sicuramente la discussione si sarebbe così interrotta, non seppe resistere alla tentazione di un tiro “ideologico” secco all’incrocio dei pali:

 

Mio caro, dai tempi del tuo Lingua intellettuali egemonia, i tuoi sforzi di mantenere Gramsci sul terreno liberale sono ammirevoli. Solo che, per sorreggere il tentativo, hai bisogno di tante ipotesi ad hoc. In quanto scrivi, ce ne sono alcune: “ipotesi ambigua e gramscianamente non chiara”, virate verso il fascismo e il gentilismo di sinistra per fortuna rarissime, contraddizione con tutto il resto dei Quaderni, necessità di una interpretazine diacronica degli stessi Quaderni. Capisco, ma devi fartene una ragione. Gramsci ai liberali crociani italiani ha giocato un brutto scherzo, zufolando nel flauto dolce della “egemonia” li ha portati su un terreno che non è più il loro, facendogli credere però che sono sempre a casa propria. Di qui un continuo spaesamento che si cerca di placare riportando all’antico ceppo il geniale figliol prodigo. Rassegnati. Gramsci è andato via di casa, e dalle sue contaminazioni è venuto fuori altro, che non è più nella disponibilità di chi al liberalesimo crociano si richiama.11

  1. F. Aqueci, Intervento nella mailing list della IGS Italia del 10 marzo 2015, h 18:20, sul testo di F. Lo Piparo, Note a De Vivo e Naldi, Gramsci, Wittgenstein, Sraffa e il prof. Lo Piparo. Fatti e fantasie, postato nella mailing list della IGS Italia, 10 marzo 2015, h 12:08. []
  2. F. Lo Piparo, Note a De Vivo e Naldi, cit., p. 10. []
  3. F. Lo Piparo, Gramsci and Wittgenstein: an intriguing connection, in A. Capone (a cura di), Perspectives on language use and pragmatics, München, Lincom Europa, p. 293. []
  4. F. Lo Piparo, 12 marzo 2015, h 11:41. []
  5. F. Aqueci, 12 marzo 2015, h 20.10. []
  6. F. Lo Piparo, 13 marzo 2015, h 09:55. []
  7. F. Aqueci, 13 marzo 2015, h 17:55. []
  8. Ibidem. []
  9. F. Lo Piparo, 14 marzo 2015, h 11:10. []
  10. L’Edizione critica del 1975 lo riporta infatti in corpo maggiore, a differenza dei testi riscritti, stampati in corpo minore, com’è specificato a pag. XXXVI dell’Avvertenza editoriale. []
  11. F. Aqueci, 14 marzo 2015, h 13:15. []