Elaborare universalmente la propria particolarità. Lo chiamano nazionalismo. Il referendum greco sarebbe espressione di nazionalismo. Roba deteriore. Ma si può davvero pensare che i popoli si dissolvano in una nuvola di regole, parametri e compiti fatti a casa? Si può davvero pensare che la salvezza sia nel fare le riforme? Questa è la pretesa delle cerchie governanti che i media amplificano con voce stentorea. Dov’è la forza di questo discorso da prefetto di disciplina? La forza, secondo alcuni, sta nelle ricchezze improvvise, nelle bolle destinate a sgonfiarsi, nelle strane abbondanze di questi decenni dopati dagli status symbol e da un’opulenza fondata sul nulla. I popoli, in tutti questi anni, si sarebbero fatti corrompere. Erano poveri e dignitosi, ma all’improvviso, si sono scoperti diversi, e ora cercano una strada. Le regole e i parametri, allora, sarebbero la faccia della propria estraneazione. Ma questo discorso funzionerebbe se regole, paramteri e riforme assicurassero ricchezza. Regole e parametri sono invece il regno della miseria, dove pochi gozzovigliano. E, d’altra parte, abbandonare una dignitosa povertà, coi debiti che comporta, non può essere una colpa. Mentre è stupido affidarsi ad una ricchezza che si sgonfia al primo refolo speculativo. Bisognerebbe essere dignitosamente ricchi. È questo che significa quel voler restare nell’euro senza dover fare quegli odiosi compiti a casa? L’euro così non sarebbe più una camicia di forza, ma un moltiplicatore unitario di differenze. Lo sappiamo, oltre alla moneta, ci vorrebbe una fiscalità e una spesa pubblica comuni. E non è un caso che prima sia venuta la moneta. Segno che l’euro non era fatto per fare felici i popoli, che infatti ora fanculeggiano. Come se ne esce? Come possono i popoli ritrovare se stessi, quando altri popoli stanno per perdersi? Perché, come ci fu spiegato, la felicità è possibile empiricamente solo come azione dei popoli dominanti tutti in una volta e simultaneamente1. Così, si credeva di essere andati tanto avanti, ma ci si riscopre ancora nella preistoria. Perché se i popoli sono infelici, è perché hanno appena cominciato a porsi sul piano della storia universale. E le forze produttive sono ben lontane da quell’immenso incremento necessario ad evitare che si socializzi la miseria e tutta la vecchia merda2. Ma come si incrementano queste forze produttive? Se il loro sviluppo comporta la totale espropriazione dell’intera massa dell’umanità, quale condizione della sua rivolta contro chi di esse si è appropriato, l’umanità sarà così fortunata da arrivare un attimo prima che il sistema nel suo insieme non abbia divorato le condizioni della propria sostenibilità? L’ecologia. Ovvero la sensazione che la storia non possa cominciare mai. Che chi se l’è goduta, se l’è goduta, e gli altri, semplice materiale biologico che non ha mai preso forma. Bisognerebbe accellerare. Rendere infinitamente più veloce l’elaborazione degli uomini da parte degli uomini, rispetto all’elaborazione della natura da parte degli uomini. Ma è qui che si è perso il bandolo della matassa. Per questo, da un lato ci sono i banditori delle regole, dall’altro le prèfiche dell’imminente disastro. Laudato si’. Ammuina, o una ironica provvidenza riavvia il movimento reale che abolisce lo stato di cose presente?