Archive for duemilaventi

Basta non disturbare

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Parlando alla Coldiretti, la sezione agraria di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni ha affermato che «lo Stato non deve disturbare chi vuole produrre ricchezza»1. Il fine concetto era in sé già chiaro, ma a rincalzo è intervenuto sul Corriere il giurista Francesco Saverio Marini spiegando che il presidenzialismo è la ricetta giusta per porre fine all’instabilità dei governi che «sfavorisce il Paese dal punto di vista economico»2. Marini è in linea, ma deve ripulire il suo lessico. Non si dice Paese ma Nazione. Come ha chiarito Giorgia, infatti, «la ricchezza in questa Nazione la fanno le aziende con i loro lavoratori»3. Meloni ha fatto bene a evocare i lavoratori. Essi, infatti, una volta appoggiavano l’Esperimento marxista, come lo chiama con notevole estro epistemologico monsignor Suetta, vescovo di Sanremo; ora invece lavorano per la Nazione, ovvero per l’umanesimo cristiano: «interpreto il successo del partito Fratelli d’Italia non come un voto di protesta ma come un risveglio capace di riscoprire i valori autentici su cui fondare la vita dell’uomo e la società»4. Valori autentici si attaglia bene con il concetto di ricchezza ma, Monsignore, bastava solo il singolare, valore, e tutti avremmo capito che Lei si riferiva a quella sostanza immateriale che i lavoratori secernono quando vanno in azienda in cambio di un salario. Lei, esimio Presule, giustamente rileva come ultimamente la sinistra ha trascurato questi operosi alveari e per questo «l’interrogativo si fa stringente: con quali contenuti possiamo colmare il vuoto spirituale, creatosi con il fallimento dell’Esperimento marxista?»5. Francamente, non lo sappiamo, ma è confortante constatare che Lei pensi che il fallimento dell’Esperimento marxista abbia a che fare con lo spirito. Converrà che il Cristianesimo da duemila anni si propone di riempire questo vuoto, ma ci riesce solo con la ricchezza della Nazione che sta tanto a cuore ai Fratelli d’Italia al punto da indurli a intimare l’alt, chi va là, al loro totem, lo Stato. Come vede, Monsignore, ci sono degli slittamenti concettuali non da poco, ma sicuramente Giorgia saprà porvi rimedio. Basta non disturbare.

 

 

  1. https://www.agi.it/politica/news/2022-10-01/non-disturbare-chi-vuole-lavorare-produrre-ricchezza-prima-uscita-pubblica-meloni-18284652/ []
  2. «Alla Carta serve una revisione. La sovranità dello Stato deve essere un principio supremo» Il giurista Marini: bene il presidenzialismo se con correttivi, «Corriere della sera», 3 ottobre 2022, p. 9 []
  3. https://www.agi.it/politica/news/2022-10-01/non-disturbare-chi-vuole-lavorare-produrre-ricchezza-prima-uscita-pubblica-meloni-18284652/ []
  4. Con Giorgia ha vinto l’umanesimo cristiano, «Libero», 3 ottobre 2022, p. 4 []
  5. Ibidem []

L’obbligo dell’inattualità

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In questo sito non vige l’obbligo dell’attualità, anzi, ma un commento immediato ancorché brevissimo si impone sulla vittoria di Fratelli d’Italia, scontata ma non certo riducibile all’ordinario tran-tran elettorale della scassata democrazia parlamentare italica. Cosa sono quelli di Fratelli d’Italia, fascisti, neofascisti, postfascisti? E quanti, e per quali motivi, si sono uniti a loro senza essere fascisti, neofascisti o postfascisti? Comunque sia, li vedremo presto all’opera e troveremo un termine adatto per le loro gesta. Ma qui e ora vogliamo occuparci della sinistra. Come se nulla fosse, si continua a parlare di cambio di segreteria del PD, di prossimo congresso, di candidati che si propongono, ma per fare che? È tutta la sinistra ridotta negli ultimi decenni alla vacua opposizione tra sinistra riformista e sinistra radicale che va sbaraccata. Il PD è un tappo che va subito rimosso e, alla luce del miserrimo risultato di Unione popolare e dell’inutile diritto di tribuna acquisito dai rimasugli dell’opportunismo vendoliano, la sinistra tutta va ricreata su una chiara pregiudiziale anticapitalistica. E del resto questo è l’unico modo per smascherare la falsa sinistra delle mance e mancette messa su dagli insulsi politicanti del M5S. Non è più tempo di congressi di bonzi che gestiscono potere per conto del “gruppetto” capitalistico che succhia plusvalore. Il riformismo ha fallito, passi la mano alla sinistra rivoluzionaria. Per mancanza di materia prima – dove sono infatti i quadri politici e intellettuali immediatamente operativi di questa sinistra rivoluzionaria? – non sarà affatto facile concretizzare questa alternanza, ma è l’unica che rispetta la storia della sinistra e che le può assicurare una prospettiva futura. Una prospettiva di cui – a questo ci si è ridotti, a farselo spiegare dal Papa gesuita venuto dalla fine del mondo – ha bisogno l’intera società.

Appunti pre-elettorali

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La campagna elettorale in corso si intreccia con temi che richiedono di allungare il cannocchiale della teoria, vedi il price cap del gas proposto già mesi fa dall’astuto Draghi su cui ora l’UE si sta dilaniando e le cui implicazioni evidenziano ancora una volta gli equivoci di certo ecologismo progressista. Ma è segnata anche da squillanti sondaggi che continuamente segnalano l’arrivo della piena elettorale di Giorgia Meloni. Nel polverone si intravede anche la sagoma ben nota del paese italico con i suoi opportunismi e la sua essenza capitalistica forgiata nei decenni passati e che ora fornisce la base per nuove mistificazioni. Cimentiamoci dunque in questa messa a fuoco con le poche note schematiche che seguono:

1) come insegnano i classici, il capitalismo si compone di rendita, profitti e salari. Con rendita essi intendono la rendita agraria, ma anche aria, acqua, miniere. Quindi, quello che oggi è comunemente chiamato “settore energetico”, carbone, petrolio, gas, è in realtà la rendita nella sua forma odierna di cui con la “tecnologia verde” fanno parte anche il vento, il sole e il mare;

2) la rendita non è solo estensiva (quantità o estensione di elemento sfruttato) e intensiva (tempo di lavoro e capitale investiti in un determinato elemento) ma soprattutto differenziale. Essa infatti sotto l’impulso della maggiore produzione (plusvalore) e riproduzione (incremento demografico) generate dallo sfruttamento degli elementi migra continuamente dall’elemento iniziale “migliore” all’elemento via via “peggiore”, in cui cioè la resa produttiva richiede sempre maggiore investimento di lavoro e capitale. L’esempio classico è quello del terreno vergine fertile e ben disposto, “recintato” da chi ha avuto forza e opportunità di farlo, contrapposto a quello pietroso e scosceso di chi ha dovuto acconciarsi. Se ad esempio si coltiva il grano, il suo valore si forma con riferimento a quello coltivato nel terreno peggiore poiché maggiore è la quantità di lavoro impiegata per produrlo. Come nota Ricardo, il grano non è caro perché si paga una rendita ma si paga una rendita perché il grano è caro1. Nel moderno “settore energetico” il prezzo di riferimento è quello del gas. Indipendentemente da come è prodotto – ed è prodotto materialmente estraendolo dalle viscere della terra, economicamente attraverso strumenti di speculazione finanziaria: rendita + rendita! – si può dire che il gas svolge la funzione di “terreno peggiore”;

3) il progressismo ecologico sembra non capire che la produzione energetica verde non è altro che una nuova forma di rendita che come tutte le rendite gradualmente genera una rendita differenziale. Se oggi per non deturpare il panorama si mettono le pale eoliche a venti kilometri dalla costa, la maggiore domanda di energia derivante dallo “sviluppo” indotto dallo sfruttamento del vento o di consimili elementi imporrà di metterne di nuove a venticinque e poi a trenta kilometri, in un crescendo di rendite differenziali eoliche, solari, geotermiche e quant’altro. Di per sé la “tecnologia verde” non assicura affatto il passaggio diretto “all’uguaglianza alla democrazia e alla pace”, come i progressisti ecologici, con una sintomatica convergenza con i capitalisti “verdi”, invece credono, pensando di poter fare a meno della fatica delle lotte sociali con cui si modificano i rapporti di produzione;

4) il price cap del petrolio e del gas che Mario Draghi da mesi sta cercando di imporre all’Unione Europea è capitalisticamente la mossa giusta. Il problema però è che Draghi, almeno nella sua proposta originaria, intende realizzare il price cap non coalizzando in generale i compratori contro i venditori bensì gli europei contro Putin. Esce dunque fuori dal terreno delle leggi economiche capitalistiche e muove guerra alla Russia con i cannoni dell’economia. Questa natura anfibia dell’idea dell’ex governatore della BCE non meraviglia. Infatti, durante il suo mandato di governatore, ma ancor più quale Presidente del consiglio, egli si è rivelato come l’alfiere più convinto della concezione secondo la quale la BCE, quale metafora bancaria dell’antica potenza militare europea che per ben note ragioni storiche non può essere più perseguita con gli eserciti, deve fare dell’Europa l’armata bancaria dell’Occidente, coordinata con l’armata reale ma anche economica e finanziaria degli Stati Uniti. Un gigantesco esercito  la cui ideologia è l’atlantismo e di cui lui si ritiene ed è considerato dai circoli di potere euro-americani fra i più eminenti strateghi

5) di questo esercito che non ammette indisciplina, l’Italia fa parte quale paese capitalistico che vive comprimendo il mercato interno (salari) per realizzare nel mercato estero il plusvalore (profitti) in catene produttive splendidamente subalterne, dalla meccanica di precisione alla moda al mobilio di design ai cavallini rampanti agli yacht per i magnati dell’Est e dell’Ovest. Recentemente, uno di questi campioni dell’Italia esportadora ha dichiarato che le elezioni del 25 settembre sono «irrilevanti nel contesto mondiale». Infatti, le imprese sono «lontanissime dalle tematiche elettorali italiane e vicinissime a quelle della vita reale dei dipendenti: l’inflazione, il costo delle materie prime». E ha concluso: «siamo controllati da Bruxelles. È come avere il due di spade quando la briscola è denari. Mi interessano di più le elezioni di midterm americane, mi interessa vedere cosa fanno i tedeschi»2. Ecco, capitalisticamente parlando l’Italia è un paese senza patria e senza nazione che i Fratelli d’Italia si propongono di rendere alla patria e alla nazione. Lodevole intento. Non è la prima volta che i fascisti tentano di raddrizzare il legno storto italico. Patria e nazione furono le parole con cui chiusero il Parlamento, imprigionarono gli avversari, vararono il corporativismo e lastricarono il cammino verso il baratro della Seconda guerra mondiale. Ma rinfacciar loro questo passato remoto non serve a niente, perché attuale è invece il loro passato prossimo su cui stanno costruendo il loro futuro. Essi sono infatti gli eredi orgogliosi dei neofascisti del Movimento Sociale Italiano, verniciatura legalitaria di un pulviscolo di soggetti e movimenti in feroce ancorché cameratesca competizione fra loro che nei decenni della “guerra fredda” assicurarono i bassi servizi della “strategia della tensione” di cui sotto le ali dell’atlantismo si nutrì la “lotta per la libertà”;

6) paradossalmente, la sovranità nazionale dell’Italia è oggi molto più limitata che ai tempi della “guerra fredda”. L’antifascismo storico non ha più mordente e quello nuovo non può essere professato perché richiederebbe il disvelamento dei misfatti dell’atlantismo che invece controlla tutti i meccanismi del “dicibile” e del “credibile”, dagli archivi al discorso dominante dei media. Fra gli applausi degli apparati i reggicoda di un tempo vengono così elevati al livello di coloro che di essi si servirono per edificare il potere di cui oggi ancora godono. Da Portella della Ginestra a Piazza Fontana all’Italicus alla Stazione di Bologna, è la grande pacificazione a spese della verità storica e della giustizia per chi ci ha lasciato la pelle. Al di là delle combinazioni parlamentari e dei ruoli di governo, questo è il fondamento indicibile della vera maggioranza politica che già in questi mesi ha fatto le sue prove e che si prospetta per il dopo voto, ovvero l’accoppiata Partito Democratico-Fratelli d’Italia, il primo garante del passato e del presente, i secondi del futuro.

7) Ma le incognite non mancano. Quanto reggerà il produttivismo italico, che Salvini stenta sempre più a rappresentare, nella parte di gregge da tosare per mantenere i sogni di gloria di un’élite politica “democratica” oggi, “conservatrice” domani, padrona in patria per mandato estero? Quanto reggerà l’atlantismo i cui tempi del consenso facile sembrano finiti e che oggi si impone più come dominio che come egemonia? Sulla spinta di quel mondo economico scontento e della debolezza dei vecchi circoli euro-americani non saranno gli stessi Fratelli d’Italia tentati di “sovranizzare la nazione” chiudendo il cerchio dell’onore perduto con la sconfitta in guerra del fascismo storico? Sarà l’inizio di un nuovo, lungo dominio in un mondo tempestoso in cui ciascuno si rinchiude nel suo “mondo a parte”, oppure si tratterà del passo falso che facendo crollare il vecchio mondo, oggi disposto pur di sopravvivere ad ammettere i servi nelle stanze buone, ne mostrerà la falsità e renderà dicibile e credibile ciò che oggi appare solo fantasiosa congettura “complottarda”? Ah, se in tutto questo la sinistra, i cui frantumi si propongono in queste elezioni la titanica meta del diritto di tribuna, si risvegliasse…

 

  1. D. Ricardo, Principi di economia politica e dell’imposta (1817), trad. it. UTET, Torino 1986, p. 229. []
  2. Boom di ordini estivi: la crisi non ferma i super yacht di Ferretti, «Il Giornale», 7 settembre 2022, p. 17. []

Abbaiare

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Con sprezzo del ridicolo si continua a definire “maggioranza di governo” il raggruppamento di partiti che formalmente sorregge l’esecutivo Draghi, mentre quelli di Fratelli d’Italia sarebbero l’opposizione. Di fronte a questi giochini parlamentari, appare più verosimile il miracolo del pane e del vino che diventano, non solo nella sublime credenza religiosa ma anche nell’effettiva realtà fisico-chimica, corpo e sangue di Cristo. In realtà, la “maggioranza di governo” è un carcere dove restringere le forze politiche che volentieri si sottrarrebbero ai vincoli di una passata stagione storica, ma siccome sono forze politiche deboli, deboli nel riferimento sociale, nell’elaborazione programmatica, negli ideali, si sono fatte facilmente catturare da chi ancora controlla gli apparati, e tentano sortite velleitarie, come il patetico progetto di viaggio a Mosca di Matteo Salvini, o le volenterose minacce a vuoto di far cadere il governo da parte di Giuseppe Conte, incapace sinora di cacciare dal suo partito quell’autentica quinta colonna nemica che è il giovin notabile Luigi Di Maio. La vera maggioranza di governo risulta essere invece l’accoppiata Partito Democratico-Fratelli d’Italia che tiene dritta la barra sulle alleanze storiche che – bellezza dei nomi! – ai “democratici” assicurano il governo di oggi, ai “conservatori-europei” quello di domani. Non bisogna farsi impressionare dagli ululati “laici di sinistra” che si levano alle sparate “integraliste di estrema destra” di Giorgia Meloni, che parli il romanesco o lo spagnolo. I Fratelli d’Italia hanno imbroccato la corrente giusta e adesso intendono passare all’incasso politico a ricompensa, nelle molteplici metamorfosi di cui sono stati protagonisti, dei tanti decenni di servizi più o meno bassi resi all’atlantismo. A Giorgia Meloni si rimprovera il vecchio legame ideologico con il fascismo storico e la più recente ripulsa del laicismo dei diritti e dell’accoglienza. Sono tutte fronde per non affrontare la sostanza, ovvero il legame tra il neofascismo e l’atlantismo. Se Giorgia Meloni andrà all’esecutivo, sapremo che un certo mondo è stato elevato al rango di coloro da cui quel mondo riceveva impulsi e suggestioni. I comitati di vittime delle stragi che da anni cercano le verità storiche potranno definitivamente sciogliersi e la pacificazione invocata, parlando d’altro, da un improvvido Presidente della Camera sarà cosa fatta. Ma anche i piani più perfetti hanno sempre qualche punto debole. C’è tutto un mondo economico riassunto dalle mosse oligofreniche di un Salvini che non si rassegna a fare il gregge da tosare per mantenere i sogni di gloria di un’élite padrona in patria per mandato estero. E questo mondo, mentre a Kiev infuriando la guerra si svolgeva il summit dei capi dell’Unione Europea con il performer Zelensky, a San Pietroburgo dialogava con gli esponenti del capitalismo nazionale di Stato russo. Il contrasto tra Lega e Fratelli d’Italia non è solo elettorale o di leadership. La Lega è il corpo economico dell’Italia cui Salvini, che non è però un fenomeno, ha cercato di dare un cervello. Nel centro-destra, dunque, il contrasto è tra forze reali che spingono in direzioni opposte e la cui sintesi non è più a portata di mano come con il berlusconismo. I tempi del consenso facile per l’atlantismo sembrano finiti, ed esso ora dovrà imporsi più come dominio che come egemonia. Draghi è un assaggio e Meloni freme di completare l’opera. Quel mondo che Salvini stenta a rappresentare sino a che punto, spinto dai suoi interessi, si metterà di traverso? Oltre a produrre capitale sarà capace di proporre una visione del mondo adeguata ai tempi nuovi che la guerra in Ucraina lascia intuire tempestosi? Grande assente in tutto questo è la sinistra. La sua vitalità è sempre dipesa dall’antagonismo tra massimalismo e riformismo, che dava voce al lavoro nel suo conflitto con il capitale. Oggi la sinistra è tutta riformista e per questo non è in grado di dare nessun contributo all’Italia di domani. Perciò nell’immediato l’alternativa è tra la prigione occulta dell’attuale pseudo-maggioranza di governo e la soft-dittatura atlantista che i Fratelli d’Italia “abbaiano” sotto il portone di Palazzo Chigi. Coraggio!

Occasione persa

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La lezione più importante che si può trarre dalla pandemia è che solo una concentrazione assoluta di paura e terrore riesce a staccare gli individui dalle loro abitudini e schemi mentali, rendendoli disposti a mutare i propri comportamenti. Nelle giornate più cupe della pandemia, quando il virus sembrava una forza irresistibile più di quanto lo sia ora, faceva impressione constatare questo distacco non tanto nella gente comune quanto in coloro che, detentori di un qualche potere, si erano sin lì catafratti nella sicurezza richiesta dalle loro posizioni che ben volentieri esibivano. Strepitavano, si lamentavano, erano disposti ad ammettere tutte le storture del modo di vita sin allora difeso e procedevano a modifiche cogliendo senza indugio ogni spiraglio che si apriva per un qualche mutamento. Per chi detiene potere provare paura è una esperienza devastante che pur di salvarsi induce a ogni sorta di concessione. Ma, come già detto, sotto lo stimolo della paura anche la gente comune è più disposta a sottrarsi all’imperio dell’abitudine che ottunde ogni critica alle storture della routine in cui si è immersi. Era questa scossa, che si irradiava indistintamente in basso e in alto, la base di quegli ingenui proponimenti che i media proponevano sul “dopo la pandemia, saremo tutti più buoni”. In realtà, poiché tutta questa configurazione è semplicistica quanto un fioretto infantile, i buoni propositi sono svaniti non appena si sono cominciate a prendere le misure al temibile virus. Il problema della concentrazione assoluta di paura e terrore è che, se non accompagnata da una contestuale opera di consapevole messa in discussione delle vecchie abitudini, funziona come una molla compressa che, una volta rilasciata, ritorna con forza maggiore alla sua posizione iniziale. Il PIL, prodotto interno lordo, con i complimenti del Fondo monetario e i battimani di qualche ministro premio Nobel mancato, non sta forse rimbalzando al 6% annuo? La concentrazione assoluta di paura e terrore è un fatto rivoluzionario se c’è una forza uguale e contraria alle abitudini da svellere che svolga un’opera attiva di “pedagogia sociale”. Ma dal virus non si può pretendere tanto. Negli anni, una tale forza attiva si è acquartierata in comodi cubicoli dell’ordine esistente e le persone si sono abituate a essere “individui autonomi” ovvero, secondo una versione popolare dell’etica kantiana, a fare ciò che gli pare rigettando come un’offesa ogni accenno pedagogico-sociale. Se una tale forza, invece di imboscarsi, avesse coltivato gelosamente la propria autonomia, si sarebbe potuto intavolare un discorso innanzitutto sulle cause nient’affatto naturali del virus, e dall’accertamento delle effettive cause economiche, sociali e culturali si sarebbero potuti derivare interventi di riforma del modo di vita corrente. Anzitutto, decomprimendo l’economia, liberandola dai miliardi di ore-lavoro dedicate a produrre merci inutili quando non dannose, buone solo a tenere su gli indici del sullodato PIL. Ma contestualmente si sarebbe dovuto sviluppare il polmone sociale e non certo con le spese in deroga ai vincoli di bilancio, spesso elemosine migragnose di uno Stato, da anni disabituato a fare non tanto politica economica quanto economia politica, a categorie avvezze a ben altri flussi di denaro in chiaroscuro ma ora improvvisamente in difficoltà. E, invece, in quei decisivi frangenti ciò che si è sentito è stato solo l’invito sgangherato a cambiare mestiere rivolto a tali categorie da una esponente assai supponente (altro che commercialista di Bari, come a suo tempo l’altezzoso Andreatta definì il valoroso Formica!) del nuovo che avanza. Questo nuovo a cinque stelle ha così tanto avanzato che nel vuoto creatosi la molla si è ripresa il suo spazio – e con quale maggior vigore. Se l’economia, quell’economia priapica da cui pur con tutte le sue storture dipende l’esistenza delle persone è l’unica effettiva dimensione sociale, beh, quando con la “spinta gentile” del green pass (ah, il genio del paternalismo borghese!)  si riesce con le inoculazioni vaccinali a relegare il virus a un basso continuo della vita quotidiana che, quasi con un brivido di piacere sotteso al rischio di potersi infettare, accompagna gli atti di un nuovo sfrenamento di massa, perché meravigliarsi che sorga e si imponga la figura salvifica del Grande Funzionario novello De Gasperi che sa come manovrarla, questa divina economia del lavoro non-lavoro, dei salari decrescenti e dell’obbligo del maggior consumo, delle crescenti aspettative di vita e delle pensioni a babbo morto? E così, mentre tutto crolla, tutto ancora una volta si tiene, e la nave va, con gli schiavi alla galera cui però è concesso per pochi spiccioli, miracolo dell’economia dei prezzi, di salire in prima classe per una crociera di una settimana. Tanto, se non su uno yacht sempre più grande, c’è sempre un’astronave che può portare in salvo i ricchi scemi su un pianeta very exclusive.