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Nuvoloni all’orizzonte

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Mentre questa calda estate culla gli ultimi bagnanti nelle onde di un mare via via più silenzioso, all’orizzonte sono apparsi i nuvoloni degli spropositati aumenti tariffari di luce e gas che rischiano di gravare sulle bollette anche per un 40% in più. I media si sono messi subito all’opera per spiegare questa improvvisa minaccia, e si è incominciato a parlare di cause prossime e cause remote, prezzi all’ingrosso e prezzi al dettaglio, domanda e offerta che non trovano un punto di equilibrio, insomma tutto l’armamentario della migliore scienza economica. In questo profluvio di teorie, la spiegazione più perspicua che abbiamo trovato è la seguente:

«Dal nostro punto di vista, l’alta volatilità e gli eccessivi picchi dei prezzi hanno ragioni più fondamentali. L’industria sa che il nostro sistema energetico sta subendo una profonda e veloce trasformazione. Gli investimenti in fonti fossili non hanno un futuro sul lungo termine. Ma, allo stesso tempo, i governi non si sono ancora impegnati abbastanza chiaramente per un futuro a basse emissioni di carbonio. Quindi, l’equilibrio tra domanda e offerta di energia nell’Ue potrebbe essere molto volatile, a seconda della velocità relativa della graduale eliminazione delle energie fossili e della graduale introduzione delle energie verdi. Impegni più chiari da parte dei governi per introdurre con più forza le fonti di energia verdi – per esempio attraverso il finanziamento delle infrastrutture corrispondenti e l’impegno di prezzi sostanziali per il carbonio in tutti i settori – potrebbero aiutare ad allontanarsi da un equilibrio così precario. Poiché il passaggio alla neutralità climatica implicherà una domanda di elettricità in continua crescita, gli investitori non dovranno preoccuparsi troppo di sovrainvestire in sistemi energetici a basse emissioni di carbonio. A livello dell’Ue, la rapida approvazione e implementazione del pacchetto “Fit for 55” rappresenterebbe quindi la soluzione più strutturale per evitare futuri picchi di prezzo dell’energia e per assicurare una transizione ordinata dal marrone al verde».1

Si dirà, perspicua un corno. D’accordo, bisogna fare qualche piccola parafrasi per rendere più chiaro ciò che nelle parole di questi due onesti corifei è però già abbastanza evidente. Innanzitutto, essi affermano che «l’industria sa che il nostro sistema energetico sta subendo una profonda e veloce trasformazione». Non si capisce perché parlano genericamente di industria, quando dovrebbero parlare di industria connessa alla rendita delle energie fossili (petrolio, gas naturale, carbone, sabbie bituminose, scisti bituminosi). Infatti, della classica trinità, profitto, salario, rendita, qui è di quest’ultima che si tratta, e il futuro a lungo termine è una lotta tra vecchie e nuove rendite per assicurarsi una parte di extra-profitti e determinare il supplemento di spremitura di plusvalore cui dovrà essere sottoposto il salario. Le nuove rendite sono le energie verdi (luce solare, il vento, la pioggia, le maree, le onde, il calore geotermico) che, certo, hanno questo colore rassicurante perché sono rinnovabili, ma quanto terreno bisognerà occupare di pali eolici per sfruttare adeguatamente la rinnovabilità del vento? Essendo la terra limitata, si tratta di una rinnovabilità che un giorno anch’essa si esaurirà, salvo piantarli su terreni sempre più scoscesi, e qui riocchieggia una nuova forma di rendita differenziale. Ma non corriamo. In questo quadro di lotte dentro e tra le classi, nell’onesta prosa dei nostri due turiferari appare l’attore politico, lo Stato, denominato in modo pudicamente liberaldemocratico «i governi». I governi, da bravi comitati d’affari di quell’immenso agglomerato produttivo che è il capitalismo, di cui qui se ancora non lo si è capito si discorre, possono fare molto: pareggiare per tutti i settori produttivi tramite la stabilizzazione del prezzo del carbonio il plusvalore da sottrarre a profitti e salari da girare alla rendita, favorire la sgargiante nuova rendita verde a discapito di quella marrone tristemente penitenziale, foraggiare l’industria legata alla nuova rendita verde. Il tutto naturalmente al nobile fine, sollecitato e magnificato dalla più oggettiva scienza ambientale, della neutralità climatica, ovvero del raggiungimento del punto di equilibrio tra le emissioni di gas serra e la capacità della Terra di assorbirle. Lo abbiamo già detto, a questo scopo, quanti parchi eolici, fotovoltaici, marini e geotermici può assorbire la Grande Madre Terra, delle cui sorti la nuova rendita verde appare così preoccupata, senza entrare in conflitto con le tradizionali coltivazioni alimentari per non parlare di quelle volte alla produzione di biomasse? Beh, per i prossimi cinquant’anni di terra ce n’è abbastanza, poi si vedrà. Così, anche l’avvenire dell’UE, governo di tutti i governi, è assicurato, con il suo “Fit for 55” per il 2030 e soprattutto la “carbon neutrality” per il 2050. Tutto questo per poter rifare quel miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci che è il benessere delle società moderne: usare meno energia per avere la stessa quantità, se non di più, di beni e servizi.2 Al Figlio di Dio ciò riusciva per vie soprannaturali, a noi che non siamo da meno perché finalmente possediamo la tecnologia adatta. E qui vengono in mente le parole del vecchio rivoluzionario:

«Keynes e simili dicono: l’uomo consuma perché e quanto ha desiderato. Noi marxisti diciamo che l’uomo desidera secondo quanto ha potuto consumare, e per tanto il moderno sistema di potere e di falsa scienza borghese lo alleva con le droghe alimentari e ideologiche. La Dittatura sarà necessaria a cavallo della palingenesi del Lavoro oggettivato, del rovesciamento di Praxis del Capitale fisso, non tanto per dominare la produzione, che basterà lasciare cadere a livelli inferiori liberando i servi del lavoro e delle galere aziendali per miliardi di ore, ma soprattutto per capovolgere la prassi consumatrice, sradicare le forme patologiche del consumare, eredi di forme di oppressione di classe. L’uomo singolo, il cittadino, l’individuo, come perderà anche sotto il Terrore rivoluzionario la possibilità di possedere ricchezza e valore, uccidendosene in lui la propensione belluina, così perderà, divenendo una cellula dell’eterno – e saremmo per scrivere “sacro” – Corpo sociale, ogni diritto a ledere se stesso, a rovinare il proprio organismo animale, ad intossicarsi. Con ciò non lederebbe solo il proprio corpo, ma la società. Il rivoluzionario non può essere che un disintossicato, ed è una delle ragioni per cui nelle Rivoluzioni più della massa, che sarà disintossicata in seguito dal marchio di servaggio, opera la minoranza del partito, nutrita nel vivo suo sangue dell’antiveggente e combattente Dottrina Integrale».3

Al bagnante che buon ultimo si fa cullare dalle onde silenziose del caldo mare di questa fine estate, questi tremendi propositi debbono sembrare un nuvolone ben più minaccioso del super rincaro di luce e gas. Meglio pagare alla rendita, vecchia o nuova che sia, un botto di plusvalore piuttosto che acconciarsi a questa furiosa allucinazione.

 

  1. S. Tagliapietra, G. Zachman, Cosa c’è dietro l’impennata dei prezzi in tutta Europa, «Domani», 14.9.2021, p. 9 []
  2. G. Ruggiero, La transizione ecologica nel PNRR: bene, ma ora servono le riforme, https://www.agendadigitale.eu/smart-city/la-missione-ecologica-priorita-assoluta-del-pnrr-occasione-storica-ora-le-riforme/ []
  3. A. Bordiga, Traiettoria e catastrofe della forma capitalistica, 1957, 3a parte, https://www.quinterna.org/archivio/1952_1970/traiettoria_catastrofe3.htm []

Afghanistan, le ragioni di un silenzio

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L’Afghanistan è un invito al silenzio. Talmente intrecciata e profonda è la tragedia di questo popolo che ogni considerazione rischia di apparire oscena. Forse solo la vicenda del popolo palestinese può paragonarsi a quanto sta passando il popolo afghano. Che in primo luogo è stato tradito molte volte dai suoi governanti. Lo tradirono quelli che tra gli anni Settanta e Ottanta si divisero tra astratti ideologi e nazionalisti opportunisti, e poi quelli che, una volta scoperchiato il vaso di Pandora della guerra di tutti contro tutti, tra i Novanta e i primi due decenni del secolo corrente si divisero ancora tra astratti nazionalisti e cosmopoliti opportunisti. Nell’immenso incendio che intanto si propagava venivano bruciate tutte le idealità offerte dalla scarna faretra di una modernità che si compiaceva di celebrarsi come compiuta o comunque prossima all’ultimo stadio del compimento, i novecenteschi ideali tanto comunisti quanto democratici, e sorgeva dalle profondità di una ruralità che il maldestro rivoluzionamento dell’organismo sociale rendeva inscalfibile la caligine di una religione sotto le cui insegne si rinserravano tutte le reazioni primarie di una società atterrita dalla sua stessa evoluzione che il peculiare contesto storico e geografico già complicava, la sessuofobia, anzitutto, e poi la neofobia, l’iconoclastia e l’avversione per la musica, praticate certo con l’arbitrarietà propria di simili codici morali, quanto mai predisposti a essere utilizzati come strumenti di potere del più forte sul più debole in ogni ramo del vivere sociale, il ricco sul povero, il possidente sul nullatenente, il maschio sulla femmina, l’adulto sull’infante, il criminale sull’obbediente alle leggi. Se si guarda ai provvedimenti governativi e si osserva l’evoluzione dell’organismo economico, si vede come, dopo l’urto dei provvedimenti degli anni Settanta volti a scardinare il predominio della campagna sulla città ma rimasti per tanti aspetti lettera morta per l’improvvisa radicalità che scatenò reazioni furibonde, vi è stata una stasi progressiva in cui, a parte i commerci secolari da una frontiera all’altra con i paesi confinanti, hanno potuto prosperare solo l’economia degli aiuti esteri e quella della droga, forse più la prima che la seconda due stupefacenti che simboleggiano perfettamente l’alienazione in cui è lentamente sprofondato il popolo afghano. Esso, sia che si rifugi nelle pance spaventose ma salvifiche degli aerei delle consunte libertà democratiche, sia che vesta i panni pittoreschi di un violento ma precario emirato settecentesco, in tutte le sue componenti appare scisso dai mezzi della propria autodeterminazione, come dimostra il fatto parziale ma emblematico che le sue già magre risorse economiche risiedono non a Kabul ma a Washington che così, vinto sul terreno, può dare inizio alla sarabanda dei ricatti e delle sanzioni con cui punisce i paesi che non si conformano alla sua sempre più senile paranoia imperiale. Altri paesi nella storia recente si sono trovati a doversi forgiare come nazione intrappolati per interi periodi in scontri internazionali, dalla Corea al Vietnam allo stesso popolo palestinese. Ne sono risultati equilibri più o meno precari e provvisori, e nel caso del popolo palestinese addirittura un disequilibrio permanente i cui contraccolpi arrivano sino a Kabul, che è presa perciò non solo nel grande ma quanto mai stucchevole gioco delle potenze mondiali, il cui ritorno in auge dopo la fine del confronto tra comunismo e liberal-democrazia segna un vero e proprio arretramento dalla via della modernità, ma anche nel piccolo e non meno insidioso gioco delle potenze regionali, Iran, Arabia Saudita, Israele, quest’ultimo sempre più determinato nel suo profilo da un radicalismo religioso che, sommato a quello uguale e contrario delle irriducibili fazioni islamiche, fa gravare su tutta la regione una cappa di oscurantismo potenziato dagli artigli della sempre più rutilante tecnica militare e informatica che i proventi della maledizione del petrolio, di cui si ubriaca il capitalismo mondiale, consentono di pagarsi a pie’ di lista. Il silenzio che impone l’Afghanistan non è dunque solo il silenzio doveroso che si deve osservare davanti alla tragedia di un popolo che appare senza fine, ma è anche il silenzio che dovrebbe accompagnare una profonda e radicale riconsiderazione dei fondamenti della moderna ragione la cui sorte ormai non è più, per fortuna, nelle mani di un Occidente perdutosi nell’aridità della propria forma di vita, ma dipende da una spinta che ha bisogno delle risorse dell’intera specie in tutte le sue più avanzate realizzazioni ideali.

L’amerikano

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La crisi di governo che Renzi sta cercando con ogni mezzo di innescare è di una solare chiarezza: a Washington è caduto Trump e l’Italia va normalizzata. Il normalizzatore ovviamente è Renzi che in tutti questi anni non ha mai deflettuto dalla linea politica, economica e culturale espressa da quel Partito democratico americano depositario della teoria e della prassi del tardo imperialismo finanziario, la cui nobilitazione ideologica in termini di diritti e di politicamente corretto, ivi compreso un falso riscatto dei neri, è assicurata dalla figura profondamente conservatrice di Barack Obama. Non c’è bisogno di immaginare complotti, intrighi e patti segreti, i comportamenti politici sono tutti pubblici, sorrisi, inviti, strette di mano, abbracci, discorsi, prese di posizione, difesa dei valori, tutto a convergere verso il “progresso globale” trainato dall’“innovazione”, dalla “resilienza”, dalla “disruption” e da tutte le altre divinità che fanno corona al nulla di un mondo agonizzante il cui solo problema è di comprare tempo con dosi crescenti di corruzione di sistema e di ipocrisia dei singoli. Renzi in Italia è il mandatario di questo mondo, senza bisogno di mandato scritto, la sintonia a pelle è così esibita che acceca: perché se no quella insistenza sulla delega dei servizi segreti? Più chiaro di così, con i servizi segreti avete cercato di sgonfiare il falso Russiagate montato dai democratici per impicciare Trump, e questo ora lo pagate con gli interessi, sloggiando da Palazzo Chigi, senza contare il prezzo che dovete pagare per gli ammiccamenti alla Cina, e che dire dell’ardire che avete avuto di non accodarvi allo schiacciamento del Venezuela? È un mondo che sente, annusa, vuole la vittoria dopo lo scampato pericolo, e Renzi in quanto mandatario e per sua indole è l’uomo adatto a portare a termine l’operazione. Non è la prima volta che sulla scena politica italiana compare l’amerikano. Renzi interpreta il ruolo con le sue povere arti di ambizioso ragazzo di provincia, ma non è che dall’altra parte dell’Atlantico se la passino meglio. Un geniaccio giustappunto democratico in pieno Capitol Hill, prima dell’assalto fatale, ha declinato “amen” in “awoman”. Dettagli. Ciò che conta è portare a termine presto e subito l’operazione, e Renzi è così sicuro di ciò che deve fare da sfidare il vecchio europeista Mattarella, ingiungendogli pubblicamente di limitarsi a fare l’arbitro. Ci siamo capiti, no? Oppure, alla bisogna, potrebbe uscire dell’altro, che ne so, qualche coppola storta. Così sono gli amerikani, il coltello ben celato sotto il mantello, ma soavi, progressisti e umanitari. Ma chi l’ha detta giusta, smettendo per un attimo di rimestare la minestra, è stato il frate cuciniere Nicola Zingaretti, per il quale con una crisi di governo oggi «c’è il rischio che in Italia gli alleati di Trump tornino al potere»1. Sarebbe davvero una bella rivoltata di frittata, anche se certamente questi alleati del fu Trump non sarebbero più fegatosi e sconsiderati come sino a ieri, ma ormai ammansiti potrebbero anche loro regalare tempo al mondo che agonizza. Che ci possa essere un simile esito, però, anche solo per ipotesi, mostra che non tutto è nelle mani, come fu in passato, di chi pensa di poter continuare a comandare il mondo per un paio di eternità. Forse è l’ultima volta che c’è bisogno di un caratterista per il ruolo dell’amerikano, e non è detto che già questa volta il pubblico stia zitto e buono a sorbirsi le sue vecchie battute.

  1. https://www.corriere.it/politica/21_gennaio_12/crisi-governo-diretta-stasera-consiglio-ministri-2130-cb75ff92-54a9-11eb-89b9-d85a626b049f.shtml []

Sinistra testuale

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Caro Pippo,

una cosa che non farò mai è di mettermi a difendere le opinioni e le proposte politiche di Goffredo Bettini, ma ho avuto un soprassalto quando ho letto nell’ultima uscita del tuo Diario politico1 che egli avrebbe affermato che il risparmio privato (corsivi tuoi) è una rendita inerme e improduttiva, una manomorta da volgere a impieghi produttivi. Riformisti, sì, ma non si può arrivare a tanta efferatezza. Così, sono andato a recuperare il testo dell’articolo in cui Bettini avrebbe fatto quell’affermazione, un articolo sul Foglio del 21 agosto scorso di cui, nella inazione estiva del vallone in cui a volte ti avventuri, attirato dai manicaretti della mia padrona di casa, e che io risalgo per la reciproca, mi erano arrivati solo dei refoli sciroccosi. Ed ecco dunque il passaggio intero da cui tu trai quelle spinose parole:

Giorgio Gori ha invocato, giustamente, un sostegno alle forze produttive. Ma detta così non spiega tutto. Questo obiettivo va tutt’uno con la lotta alla rendita, che è la vera metastasi che ha corroso e distorto l’Italia. Il capitalismo italiano è stato in gran parte assistito. Si è intrecciato con la speculazione finanziaria. Si è delocalizzato, internazionalizzato. E’ sfuggito dalle sue responsabilità nazionali. Ha investito poco sull’innovazione e la ricerca rispetto agli altri paesi europei. I suoi profitti li ha riparati all’estero. La rendita sono gli enormi patrimoni inermi e improduttivi. Il risparmio privato, impaurito e dunque non circolante. E per quanto riguarda il lavoro e il non lavoro, la rendita è un sostegno pubblico poco attivo, poco formativo, mal indirizzato; che alla fine genera zone di assistenza apatica2.

Ora, lasciando stare Giorgio Gori che, dopo quanto accaduto a Bergamo durante l’ondata di marzo della pandemia, in un paese normale si sarebbe dovuto ritirare da tempo dalla vita politica, quello che dice Bettini è davvero un po’ meno allarmante di quanto tu, nella sintesi fulminea che ti coglie quando ti imbatti in qualcosa o qualcuno che anche da lontano reca tracce anche false della fu falce-e-martello, gli attribuisci. Manifestamente, infatti, di costituire una rendita inerme e improduttiva sono accusati gli enormi patrimoni, mentre il risparmio privato, benché obliquamente accomunato alla rendita, viene solo rimproverato di essere impaurito e dunque non circolante. Intendiamoci, sono sempre valutazioni “riformistiche”, ma non efferate. Tutto bene, dunque? No, tutto male, perché il vero punto debole delle posizioni di Bettini e dell’ormai trentennale “riformismo” che egli, assieme a un pugno di politici e di consiglieri del Principe – una consigliera, Claudia Mancina, nell’articolo in questione Bettini addirittura la gratifica citandola per l’“acutezza” del suo “realismo”, non senza prima però avere manifestato tutto il suo disprezzo per il cacadubbismo dei filosofi, categoria dalla quale evidentemente la Mancina grazie al “riformismo” si sarebbe beata lei affrancata, dicevo, il vero punto debole di quell’ormai frusto riformismo è la tiritera sul capitalismo italiano che non innova, che si fa assistere, che non è abbastanza nazionale, insomma un capitalismo che non è carogna sino in fondo così come dovrebbe essere secondo la sua natura. Capitalismo invece che se fosse pienamente tale, alla sua testa naturalmente non ci dovrebbero stare i capitalisti, ma i riformisti, che finalmente potrebbero sgommare a duecento all’ora su un fiammante sviluppo delle forze produttive. Altrui. Infatti, l’unico concetto che è loro rimasto di un marxismo appena orecchiato è che l’egemonia equivale a gestire con i sandali ai piedi lo sterco altrui, ingentilendo il tutto con dei libretti di poesia e molto amore per il cinema, secondo gli insegnamenti di Pietro Ingrao. Ora, che con queste perfidie angeliche, con questo francescanesimo sghembo, con questo evangelismo di furbe colombe in un presunto mondo di serpenti, abbiano proprio stufato, Bettini & Co. non lo vogliono proprio capire, anzi, si ostinano a proporsi come l’unica sinistra possibile in un mondo cui, come acutamente ammonisce la sullodata Claudia Mancina, bisogna realisticamente adeguarsi. Ma qui, caro Pippo, ti vedo già sbadigliare, perché, lo so, poco ti importa in sé della sinistra, che però, ne converrai, va combattuta con esattezza testuale.

Un caro saluto,

Franco.

 

  1. https://www.rivoluzionedemocratica.it/SPRAZZI-DI-aTRASFORMISMOa-E-PRESSAPOCHISMO-areferenduma-atrionfia-aproroghea-averbali-segretia.htm []
  2. https://www.facebook.com/permalink.php?id=106598517432484&story_fbid=309295290496138 []

Dialoghetto clandestino nell’epoca del coronavirus

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Due amici, usciti clandestinamente di casa, violando il blocco sanitario per il coronavirus, si incontrano all’angolo della strada, e mugolando qualche convenevole nella museruola della mascherina, restando sempre alla debita distanza di 1,82 cm, cominciano come ai bei tempi una discussione politica.

P. Non entro nel merito della questione MES, se sia utile o no, se sia pericoloso o no. Quello che mi pare grave è la confusione che nasce dalle dichiarazioni di Conte. O il ministro dell’economia ha fatto di testa sua e, allora, se la posizione del governo era diversa da quella del ministro, questi dovrebbe essere smentito e costretto a dimettersi. Oppure il governo era d’accordo con la linea del ministro e allora quelle roboanti dichiarazioni sono solo una foglia di fico dietro la quale si nasconde il raggiro dell’opinione pubblica e di una parte della stessa maggioranza di governo. Del resto, dalla discesa in campo di tutti i big pdini, anche di quelli fuori corso, arroccati in difesa del Mes per nascondere il colpo di mano del ministro dell’economia, appare ormai chiaro che nel governo non vi era accordo sulla posizione da prendere nell’Eurogruppo e che il pesante attacco portato da Conte contro Salvini e Meloni era un discorso fatto alla nuora perché la suocera intendesse…

F. …ho capito, ma scusa se mi permetto di interrompere il tuo editoriale, ma forse è il caso di discutere proprio ciò che lasci da parte, ovvero se il MES è utile o no, tanto, se ci fosse un altro governo al posto di questo in carica, la questione principale resterebbe sempre quella.

P. Non discuto il MES per due motivi, primo perché mi interessa soprattutto mettere in evidenza lo sbandamento della maggioranza. E secondo, forse non è il caso di prendere i soldi dal Mes, ma si deve pensare a un grande prestito nazionale, prima che seghino il ramo sul quale siamo seduti, cioè i nostri risparmi.

F. Ah, bene, l’idea del grande prestito nazionale è ottima. Però, bisogna contestualmente concordare una lunga moratoria su federalismo differenziato et similia, e finalizzare il prestito a sanità, istruzione e infrastrutture in tutto il paese.

P. Infrastrutture a partire dal Sud ma sull’autonomia “differenziata”, che non significa un tubo, non siamo d’accordo: bisogna dare a tutti l’autonomia e ridimensionare le competenze dello stato, anche attribuendogli una grande funzione di coordinamento e di mantenimento di standard nazionali. W l’autonomia.

F. Ecco, quando parli così diretto, mi piaci di più. Io avrei detto addirittura che autonomia “differenziata” non significa un cazzo. Ma lasciamo stare questi riferimenti anatomici. Piuttosto, se il prestito è nazionale, l’egemonia del Nord deve finire. Che poi questo si traduca in più autonomia o in più Stato, sono declinazioni istituzionali su cui si può discutere senza pregiudizi. L’importante è il dato politico.

P. Tutto il debito pubblico è nazionale, dello stato, l’egemonia si stabilisce in base ai rapporti di forza; in termini di autonomia, bisognerebbe attribuire alle regioni autonomia finanziaria e anche del debito regionale in funzione delle materie di competenza.

F. I rapporti di forza, certamente, ma l’egemonia si stabilisce anche in base alla legittimità storica, che il Nord, scusami tanto, ha perso trascinando il paese in questa catastrofe della pandemia. Quando dico “Nord” intendo un determinato modello di sviluppo che ha il suo radicamento storico e attuale nel Settentrione, e che in questi ultimi decenni ha assunto tratti molto costrittivi nei confronti del resto del paese, in particolare del Sud. Quindi, questo non è solo il momento delle politiche, ma è soprattutto il momento della politica, in cui tutto va ridiscusso, e in cui forze sinora emarginate che stanno sia al Nord che al Sud devono finalmente potersi esprimere. Il prestito nazionale non può perciò servire per riparare le falle di una nave che ha fatto naufragio, ma per costruire con criteri completamente nuovi un’altra imbarcazione, forse più piccola, forse meno comoda, ma più rispondente alla conformazione di tutto il paese. Altrimenti, si andrà verso il caos, da cui è molto probabile che nasca una nuova dittatura, come dopo la Grande Guerra.

P. Adesso, sei tu che stai facendo l’editoriale, e con l’editing pure, perché prima al posto di “conformazione” avevi detto “orografia culturale”…

A questo punto si avvicina un comune amico che dopo aver salutato gli altri due strusciando piede contro piede, ed essersi posizionato ad una distanza addirittura di 1,99 cm, annuncia con voce stentorea:

N. Zingaretti ha accusato Conte di “cadornismo”? Forse voleva dire qualche altra cosa?

F. Non so, non mi sembrano all’altezza di capire questi termini…

N. Forse non è così, se il “cadornismo” prevedeva la decimazione.

F. Ma qui, chi ha decimato chi?

N. Cadorna decimava l’esercito. Qui stanno decimando i vecchi. Il “chi” bisogna chiederlo a Zingaretti.

F. Qualche domandina la farei anche a Fontana…

N. …a Speranza, a De Micheli, a Lamorgese, all’Istituto Superiore della Sanità, ai Dirigenti delle Strutture Ospedaliere, ai Prefetti, ai Sindaci … continua tu …

Pausa. Lungo silenzio di tutti e tre. Dopo di che, l’ultimo arrivato riprende:

N. Pare che la provincia di Reggio Calabria sia la prima a raggiungere il traguardo di zero casi positivi al coronavirus.

Pausa. Nuovo, lungo silenzio di tutti e tre. Dopo di che, l’ultimo arrivato riprende ancora:

N. Gira un video di Contro Tv in cui si denuncia come con la scusa del virus ci imporranno di tutto, dai criteri per dire effettivamente cos’è una fake news, all’app per tracciare i nostri movimenti, ai vaccini di massa per ingrassare le grandi case farmaceutiche…

F. …va be’, i vaccini hanno salvato milioni di vite, se non si vuole che Big Pharma si ingrassi, basta farli produrre allo Stato. A parte questo, però, hai ragione, stiamo scivolando piano piano nel controllo totale, e sarà difficile tornare indietro. La notte è fonda, e l’alba non si intravede.

A questo punto, per fortuna, si avvicina una volante della polizia. Scende un poliziotto e fa notare che questo assembramento di tre persone, benché posizionate ad una certa distanza che comunque sarebbe tutta da misurare, non è consentito dalle ben note disposizioni sanitarie. Ed è qui che sopra l’assembramento si accende un invisibile fumetto, in cui un glorioso milite in fez e camicia nera intima al gruppetto di sciogliere immediatamente l’adunata sediziosa. Ma è solo un cattivo pensiero di qualcuno dei tre indisciplinati, che presto si dileguano verso le loro case.