Archive for Francesco Aqueci

Oligarchi per caso

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All’inizio, parlò Briatore. Ad una platea di imprenditori pugliesi, ramo turismo, ha spiegato che per una clientela di rango non bastano cascine e masserie, prati e scogliere: ci vogliono hotel extralusso, porti per gli yacht e tanto divertimento. E per chiarire il concetto, ha precisato: “Il ricco vuole tutto e subito. Io so bene come ragiona chi ha molti soldi: non vuole prati né musei ma lusso, servizi impeccabili e tanta movida”1. Poi, ha dato la seguente notizia: “ci sono persone, che quando sono in vacanza spendono 10-20mila euro al giorno”2. Non ci sono state né sollevazioni, né tumulti. Solo Crozza ha riproposto stancamente l’imitazione del personaggio in chiave comica.

Ma qui c’è poco da ridere, perché qualche giorno dopo Eugenio Scalfari ha spiegato che la democrazia è oligarchia, e “l’oligarchia è la classe dirigente, a tutti i livelli e in tutte le epoche”3. Subito è partito il dibattito, e chi ha convocato Platone, chi Aristotele, chi Polibio. Zagrebelsky ha convocato se stesso e, torinese e cortese com’è, stava quasi per dare ragione a Scalfari, il quale non ha gradito, e ha perciò precisato: “che l’oligarchia sia il governo dei pochi lo diciamo tutti e due. Che faccia un governo per i ricchi lo dice solo Gustavo e che i ricchi facciano i loro propri interessi a danno dei molti, anche questo lo dice soltanto lui, non io”4. Eh, sì, Gustavo, ti sbagli, una persona che, quando è in vacanza, spende 10-20mila euro al giorno, forse che fa i propri interessi? No, caro, sta creando tanti posti di lavoro. Poi, che l’oligarchia lavori per lui e per i pochi ricchi come lui, è solo una coincidenza, credimi. La classe dirigente non si abbassa a queste cose, al massimo fabbrica giornali di cui il personaggio che viene tutti i giorni attaccato, è socio occulto5. Così, tanto per prendere in giro l’opinione pubblica.

Dunque, per riassumere, ricchi, ricchi sfondati, e oligarchi per caso. Pensavamo di averle sentite tutte, e invece è intervenuto Davide Serra, finanziere di terra, di cielo e di mare, oltreché di isole lontane, che in televisione, in tenuta d’ordinanza, camicia bianca con maniche arrotolate, ha spiegato che l’Italia è “un paese ricco: il conto corrente di un italiano è mediamente doppio di quello di un tedesco”6.

Allora si è capito perché quando Briatore ha dato la notizia di cui sopra, non ci sono state sollevazioni e tumulti: l’Italia è un’oligarchia. Un’oligarchia per caso. Un caso unico di oligarchia di massa. Ma Serra aveva altro da rivelarci. Lui è stato in Cina, e lì, è vero, non c’è democrazia, ma dal punto di vista economico in Cina non c’è dittatura, perché dal punto di vista industriale, lì creano, e quindi l’imprenditoria è democratica7.

Quindi, l’Italia è una ricca oligarchia di massa, mentre la Cina è una ricca democrazia imprenditoriale. Sembrano sottigliezze, ma in Cina creano, in Italia no. Come fare per creare anche in Italia? C’è il governo Renzi, ha specificato Serra, che ha capito che “il lavoro dà dignità all’uomo e se puoi lavorare è perché ci sono imprese”8. Ecco perché, Serra ha concluso, il governo Renzi “è l’unico governo che ha capito che bisognava creare posti di lavoro. Con il jobs act ha abbassato il costo del lavoro, e abbiamo creato 600 mila posti di lavoro”9.

A questo punto, tutti i sillogismi sono scoppiati, e Aristotele ha chiuso il Liceo e se ne è andato in vacanza nel Salento, dove ha incontrato Briatore che cercava di convincere un ricco a spendere, non 20, ma 25 mila euro al giorno, che ti costa, ricco di merda, 5 mila euro al giorno in più, cosa sono per te? Allora, Aristotele, ha chiamato al cellulare Marx, un semplice cellulare da tredici euro, e gli ha detto: “senti, Carlo, so che tu mi stimi molto, perché ho capito per primo, tanto tempo fa, la logica del valore di scambio, ma mi vuoi spiegare come funziona questo cavolo di capitalismo pienamente sviluppato?”. Marx ha fatto una lunga pausa, lunghissima, sembrava che la linea fosse caduta, poi ha enunciato le seguenti glosse: “il capitalismo è una dittatura, e il signor Scalfari è un filisteo che illustra bene la miseria del giornalismo. Il suo concetto di oligarchia è una mascheratura dell’ideologia italiana, quella delle élite di Pareto e Mosca, i quali però riderebbero delle sue robinsonate. Dunque, il capitalismo è una dittatura di classe, che è democratica per i capitalisti. Il giovane Serra intuisce l’essenza del processo, ma siccome gli uomini lo fanno, ma non lo sanno, la democrazia di cui egli parla con falsa coscienza, è la democrazia in cui il lavoro è dignitoso se, valorizzando il capitale, rafforza la dittatura che lo opprime. Ai miei tempi, Serra, e quelli come lui, non parlavano in prima persona, ma delegavano al loro posto gli economisti borghesi. Adesso, invece, i capitalisti, specie quelli che non hanno mai visto una fabbrica, parlano in prima persona, e questo è il post-capitalismo o neoliberismo, fate voi, che sempre dittatura è. Ai miei, glielo avevo detto, fate una contro-dittatura. Allora, caro e stimato Aristotele, devi chiedere a Lenin perché la cosa non è riuscita”. Già, Lenin, ha pensato Aristotele, riapro il Liceo, e per l’anno prossimo organizzo un seminario sul centenario della Rivoluzione d’Ottobre. Magari, qualcosa finiamo per capirci.

  1. http://bari.repubblica.it/cronaca/2016/09/19/news/otranto_briatore_twiga_salento-148122638/ []
  2. Ibidem []
  3. http://www.huffingtonpost.it/2016/10/02/scalfari-zagrebelsky-renzi_n_12292742.html []
  4. http://www.repubblica.it/politica/2016/10/13/news/perche_difendo_l_oligarchia-149655377/ []
  5. Ecco, in proposito, quanto racconta lo stesso Scalfari: “Ma durante la “guerra di Segrate” ci fu un particolare divertente. Ciarrapico, molto amico di Andreotti, era stato scelto come mediatore e dopo sette mesi riuscì faticosamente a trovare l’accordo tra il nostro gruppo, rappresentato da Carlo De Benedetti, e Berlusconi. L’accordo doveva essere reso pubblico un certo giorno ma scoppiò il caso delle spese legali, che ammontavano a 50 milioni in lire. Ciarrapico risultava introvabile, per riposarsi era andato con una ragazza in un hotel. Caracciolo aveva cercato di far intervenire direttamente De Benedetti, ottenendone peraltro un rifiuto perché era evidente che le spese legali non toccasse pagarle a chi aveva vinto la contesa ma a chi l’aveva persa, ed era Berlusconi. Il quale tuttavia rifiutava in modo assoluto e diceva che semmai sarebbe nata una crisi legale per vedere chi dovesse pagare. A quel punto dovetti intervenire io e dopo molti suoi rifiuti riuscii a persuaderlo promettendogli e dandogli la mia parola d’onore che se lui accettava di pagare le spese legali io l’avrei trattato d’ora in avanti come un socio cioè eventuali notizie che lo riguardassero sarebbero state anzitutto rese note a lui che ne dava la sua interpretazione dopodiché l’inchiesta sarebbe andata avanti come sempre accade in tutti i giornali. Lui ci pensò qualche minuto e alla fine mi disse che accettava e il mio impegno durò fino a quando divenne presidente del Consiglio”. L’articolo per intero è consultabile qui. []
  6. http://it.blastingnews.com/economia/2016/10/serra-con-il-no-i-capitali-esteri-non-vengono-in-italia-cina-imprenditoria-democratica-001179059.html []
  7. Ibidem []
  8. Cito a memoria dall’intervista data a “Piazzapulita”, giovedì 13 ottobre 2016 []
  9. Ibidem []

Ritorno a Ventotene: tanti auguri a Matteo Renzi

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Il prossimo 22 agosto, l’Italia incontrerà Germania e Francia a Ventotene “per ripartire con convinzione sull’Ue dei valori e degli ideali”. Parole di Matteo Renzi all’ultima Direzione del Partito democratico. È un lodevolissimo intento, ma Ventotene, lo spirito di Ventotene, il Manifesto di Ventotene, non sono uno scherzo. Proviamo a rileggerlo nei suoi punti salienti. La missione di un’Europa libera e unita, scrivono Spinelli, Rossi e Colorni, è di sviluppare il processo storico contro la disuguaglianza ed i privilegi sociali. Perciò, non la “politica europea”, non i suoi vertici, non le sue scartoffie che viaggiano quotidianamente tra Bruxelles e Strasburgo, ma la rivoluzione europea dovrà portare avanti questa missione, che è una missione socialista, in quanto si proprone l’emancipazione delle classi lavoratrici, ispirandosi al principio secondo il quale le forze economiche non debbono dominare gli uomini, ma debbono essere da loro dominate. Che fare? Risposta della rivoluzione europea: abolire l’occlusione economica! Questo programma deve essere incarnato non dalla Commissione europea, non dal board dei capi di governo, non dai sacerdoti dell’austerità, ma da un partito rivoluzionario che deve attingere e reclutare nella sua organizzazione solo coloro che abbiano fatto della rivoluzione europea lo scopo principale della loro vita. Dunque, non carrieristi, ma rivoluzionari devoti alla causa euroepa. Non sono ammessi quindi Presidenti di Commissione che, cessato il loro mandato, passano a lavorare per Goldman Sachs. Ma andiamo avanti. Questo partito attinge la sicurezza di quel che va fatto, dalla coscienza di rappresentare le esigenze profonde della società moderna. Quindi, non è un partito che “prende partito” a priori, arbitrariamente, ma è un partito che raccoglie, accumula, immagazzina le forze che consentono di “prendere partito”. Prendere partito per la rivoluzione europea, che è una rivoluzione socialista fatta da rivoluzionari votati all’idea di Europa. E qui viene il bello. Non con i dinoccolati discorsi nel paludato Parlamento europeo, non con i narcisistici interventi negli infuocati talk show, non con le peregrine Costituzioni che i popoli giustamente spernacchiano, ma tramite la dittatura di questo partito rivoluzionario europeo si forma il nuovo Stato e attorno ad esso la nuova democrazia. Dittatura? Sì, proprio così, con un concetto che, a quanto pare, gli autori del Manifesto non disdegnano di trarre da un Lenin filtrato da Gramsci1, dittatura non della Troika, della finanza, delle grandi banche, che anzi vanno nazionalizzate, come recita il primo punto del programma economico del Manifesto, ma dittatura del partito rivoluzionario che persegue lo scopo di sviluppare il processo storico contro la disuguaglianza ed i privilegi sociali. Grecia, de te fabula narratur. Questo partito non deve girarsi i pollici, aspettando che il processo si compia. Al contrario, esso deve rivolgere la sua operosità anzitutto verso i due gruppi sociali più spontaneamente europeisti, vale a dire la classe operaia e gli intellettuali. Qui, chissà perché, viene ancora in mente Gramsci, ma non sarà per questo che, in tutti questi anni, non di dittatura del partito rivoluzionario europeo, ma di dittatura del capitale, Commissione europea, board dei capi di governo, sacerdoti dell’austerità, globalisti di ogni risma e contrada, hanno lavorato per atterrare e disperdere classe operaia e intellettuali? Ma non cediamo ai sospetti e restiamo al Manifesto. Solo sulla base di questa dittatura del partito rivoluzionario europeo che, come abbiamo detto, è un partito che “prende partito” non arbitrariamente, ma nel divenire del processo storico europeo, che è un processo socialista, cioè egualitario, solo su questa base le libertà politiche potranno veramente avere per tutti un contenuto concreto e non solo formale. E quale sarà questo contenuto di una rivoluzione che qualche supercilioso sta già squalificando come la solita, impossibile, catastrofica, pauperistica, rivoluzione egualitaria? Il contenuto di queste libertà politiche sarà che la massa dei cittadini avrà una indipendenza ed una conoscenza sufficiente per esercitare un efficace e continuo controllo sulla classe governante. Testuale. E ci si chiede: questo ideale rivoluzionario europeo consistente nella reciprocità tra governanti e governati, tra dirigenti e diretti, non è l’asse portante dei Quaderni del carcere di Antonio Gramsci? Se solo in tutti questi anni, nel nome abusato dell’Europa, fosse stata esercitata non la dittatura del capitale, ma quella del partito rivoluzionario europeo, un partito a quanto pare gramsciano con venature addirittura leniniste, un partito per il quale la riforma economica non è il fine, ma il mezzo per la riforma politica, se solo anche una piccola parte di ciò fosse stato attuato, non avremmo oggi alle porte la minaccia dei “populisti” che urlano contro la “casta”, pronti a subentrarle, non appena l’avranno sloggiata dagli scranni che essa sempre più precariamente ancora occupa. Caro Matteo Renzi, il 22 agosto 2016 prossimo venturo, a Ventotene, sulla portaerei in cui per motivi di sicurezza si svolgerà il vertice europeo da te promosso, riuscirai a iscriverti e a fare iscrivere Hollande e Merkel al partito rivoluzionario europeo? Tanti auguri!

  1. I. Pasquetti, Altiero Spinelli tra Gramsci, Nenni e Berlignuer, “Eurostudium”, ottobre-dicembre 2008, p. 47. []

Golpe in Turchia, se il popolo ama Erdogan

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Chissà se esiste una memoria delle immagini collettiva, ma quel tipo muscoloso che, a torso nudo, si è parato davanti al carro armato, nel corso del tentato golpe in Turchia, pare che non aspettasse altro nella vita che di poter riprodurre il manifestante che, nel 1989, si parò davanti alla fila di tank che avanzavano su Tien An Men. È vero, quest’ultimo era più esile e con la camicia bianca, ma il gesto è uguale, fare la storia in difesa della libertà. Ma i carri armati sono tutti uguali? A Pechino, i carri armati portarono a termine le riforme economiche avviate dieci anni prima da Deng Xiaoping, mettendo in riga un partito dove ancora covava il fuoco di pericolose idealità rivoluzionarie. I carri armati spiegarono bene che era lecito e doveroso arricchirsi, ma bisognava lasciar perdere ogni velleità di socialismo democratico, una confusa miscela che avrebbe portato di lì a poco al tracollo di Gorbaciov. E qui c’è l’altra analogia che il fallito golpe turco richiama. Chi si ricorda più di Jazov, Janaev, Krjučkov, Pugo, Pavlov, Varennikov? Formavano il comitato di salute pubblica che diresse il colpo di stato che, nell’agosto 1991, si riprometteva di ripristinare l’autorità del PCUS, scossa da un decennio di glasnost e perestrojka, la trasparenza e la ristrutturazione con cui Gorbaciov tentò di rendere astemia l’URSS. Anche quello fu un colpo di stato che, tra sparatorie a casaccio e inadeguatezze dei protagonisti, fallì miseramente, finendo per rafforzare chi voleva eliminare. In quel caso, Eltsin che, formidabile bevitore, montato su un carro armato compiacente, arringò la folla in difesa della libertà. La quale prese tosto possesso dei territori dell’ex Unione Sovietica, e nel giro di un decennio ridusse drasticamente l’aspettativa di vita dei suoi abitanti. Erdogan, anche lui autore di crociate contro l’alcool, ha avuto però la vita più facile di Eltsin, perché standosene al coperto, ha potuto occhieggiare da uno smartphone graziosamente sorretto da una vestale della libera informazione. Da lì, mentre il suo aereo volteggiava nei cieli della Turchia, in attesa di atterrare nel punto più affollato di fedeli supporter, ha incitato il popolo a resistere. Ma questi militari turchi i sondaggi non li leggono? Non sapevano che Erdogan ha un buon cinquanta per cento e passa di gradimento? Il popolo lo ama, perché con lui dalla stessa fonte sgorgano la fratellanza musulmana e la possibilità di “guadagnare denaro vero”1. Con lui, i turchi, che la laicità occidentalizzante di Atatürk alienava culturalmente e deprimeva economicamente, possono pregare e arricchirsi. Non era forse Maometto un ricco commerciante? Erdogan è un miscuglio di Eltsin e di Deng Xiaoping, e i militari sono solo i patetici rappresentanti di una antiquata modernizzazione che il popolo rifiuta in blocco. Il “popolo”, questa immensa campagna che, sotto le più varie insegne, ma tutte richiamantesi alla libertà, è attratta da ogni punto del globo nella fornace insaziabile di un modo di produzione che promette ricchezza ma regala stagnazione.

  1. P. G. Brera, “Ora noi studentesse possiamo tenere il velo. Erdogan ci difende”, la Repubblica, 14.7.2016, p. 12. []

Dhaka, arancia meccanica in salsa bengalese

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Nell’Arancia meccanica andata in scena a Dhaka, Dacca, per i semplici di spirito, la trama del racconto è stata rovesciata. Mentre, nel film di Kubrick, Alex prima uccide e stupra, e dopo viene sottoposto ad un lavaggio del cervello per renderlo inoffensivo, nella realtà odierna del Bangladesh, i suoi emuli prima vengono sottoposti al lavaggio del cervello per renderli altamente offensivi, poi torturano e uccidono. Si dirà che il cervello di Alex era esso stesso un prodotto sociale, e il lavaggio lo riporta ad una realtà sociale che è quella stessa che ha prodotto il suo cervello omicida. Ma questa regressio ad infinitum, ottima per la critica cinematografica, rischia di non farci andare oltre il livello meccanico dell’analogia, quando invece bisogna cercare di andare al succo dell’arancia. Che è aspro e amaro. Aspro perché ci ricorda che terrorismo è un termine che non significa niente se non guardiamo in faccia la realtà. Non ci si può illudere che il denaro, avvolto nella carta stagnola del multiculturalismo, possa lubrificare tutti gli scambi mondiali. Ci sono degli inevitabii ritorni di fiamma che inceneriscono ogni volenterosa razionalità strumentale. L’emblema di ciò è l’Arabia Saudita, abilissima tesaurizzatrice del suo petrolio, e principale finanziatrice della fazione più estrema del credo islamico. A quanto pare, sin da subito si seppe che dietro gli aerei stragisti dell’11 settembre 2001 c’era la sua mano, ma gli americani, anziché portarla davanti ad un consesso di giustizia internazionale, che pure, da Norimberga alle false prove contro Saddam, quando vogliono, sanno come allestire, andarono a sfogare la loro furia contro gli afghani e poi gli irakeni. Bisognerà ricostruire tutti i dettagli di questo calcolo, che forse è una sindrome, continuare a fare affari con chi ti vuole morto – non è così che vanno le cose nelle cosche mafiose? Il multiculturalismo ci porta all’amaro della storia. Il multiculturalismo presuppone un interesse reciproco per le reciproche differenze, altrimenti è solo il vecchio esotismo senza più le truppe coloniali. Per fortuna, quel tempo è passato, ma bisogna prendere atto che quest’interesse reciproco, salvo per una ristretta minoranza cosmopolita, si manifesta come un’alienazione che scatena la rabbia omicida. Il terrorismo, e l’immigrazione, sono dunque il secondo tempo del rapporto coloniale, e il multiculturalismo è la risposta di chi non ha più la forza di imporre la propria curiosità sfruttatrice. È un meccanismo incagliato, che rischia di incanaglirsi, se non sopravviene una corrente unificatrice, che dissolva le differenze in un movimento che ha bisogno delle differenze, perchè è dal loro dissolversi che trae energia, ma che per ciò stesso non ristagna nelle differenze. Ciò non ha niente a che fare con la miracolosa autoregolazione del mercato, ma richiede una consapevolezza del divenire che, con una mostruosa alleanza, moralisti e immoralisti dell’ordine sociale esistente hanno deciso di mettere al bando.

Brexit, il nuovo inizio dell’Unione Europea

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L’uscita del Regno Unito dall’Unione Europea è quel fulmine che mancava per purificare l’aria ammorbata che da anni soffoca il continente. Essa anzitutto avrà delle positive conseguenze sulla stessa Gran Bretagna, poiché scuoterà dalle fondamenta questa decrepita e altezzosa democrazia che, a dimostrazione della loro fossilizzazione culturale, molti liberali e democratici ad ogni pie’ sospinto additano ancora come modello. Un paese che, con Londra, sopravvive quale roccaforte di quella canaglia sociale che è il capitale finanziario, e che ricatta Scozia, Galles ed Irlanda del Nord in nome di una unità statale sempre meno in grado di assicurare sicurezza e sviluppo, ma ancora abbastanza in grado di condizionarne le dinamiche. Un paese, inoltre, che con il suo violento sistema elettorale maggioritario, che fa andare in brodo di giuggiole gli adepti dell’ortodossia costituzionale liberaldemocratica, per decenni ha reso impossibile l’espressione parlamentare di cospicue e innovative minoranze, dando invece sempre voce alle false “maggioranze” prone all’ideologia del “legame transatlantico speciale” (guerra in Iraq), dell’opportunismo europeo (mance e sovvenzioni economiche) e della più becera conservazione sociale (“la società non esiste” di Margaret Thatcher). È un bene, quindi, che un arcaico modello democratico perda prestigio, perché pone le premesse per un rinnovamento ideale e pratico della stessa democrazia, per non parlare della sinistra, costretta a sopravvivere sotto le spoglie di quella “terza via”, che ha fatto solo le fortune personali di Tony Blair.

Quanto all’Europa, l’uscita della Gran Bretagna dall’UE costringerà Germania, Francia e Italia a venire fuori dagli equivoci, dagli attendismi e dai particolarismi con cui hanno cercato di far fronte alle dinamiche del capitalismo globale. Poiché gli antieuropeisti di ciascuno di quei tre paesi cercheranno di trarre vantaggio dall’esito del referendum inglese, le forze europeiste dovranno cambiare spartito per ritrovare slancio, e questo non potrà che avvenire rimettendo in discussione Maastricht e i suoi principi antisociali monetaristici. L’Unione Europea se vorrà sopravvivere dovrà diventare un’Europa che metta al suo centro non l’astratto sogno federalistico, non l’illusione della potenza finanziaria, ma il benessere della società in tutte le sue componenti, di cui quindi si dovranno stimolare non gli spiriti animali, che da secoli causano all’Europa solo lutti e disastri, ma le forze produttive, in primis quella demografica.

Questo bel quadretto non significa un’Europa ritirata e mansueta, che porge l’altra guancia al primo che passando la schiaffeggia. L’Europa invece dovrà essere estremamente pugnace innanzitutto con la Cina, che con il suo spiccio capitalismo confuciano crede di potersi assicurare l’egemonia mondiale. Ad ogni tavolo di trattativa commerciale con questo grande paese, dovrà stare sempre seduto il Ministro del Lavoro europeo, questo sì urgente necessità istituzionale di una rinnovata Unione Europea, ben più del ministro del tesoro o dell’interno richiesto ormai un giorno sì e uno no dagli europeisti alla Eugenio Scalfari. Alla Cina non dovrà più essere consentito di usare la merce lavoro per alimentare i consumi affluenti della sua classe media, assicurati (per ora) dai decadenti europei. Questi circoli viziosi devono essere spezzati, e la Cina dovrà essere posta di fronte alle sue responsabilità: se vuole il “progresso”, cominci dai diritti sociali, magari ritornando a prendere lezione dal miglior Mao.

La stessa durezza dovrà essere posta nelle trattative per il Trattato di commercio transatlantico, di cui già si conoscono le pecche, per usare un eufemismo, e in generale con gli Stati Uniti, che sfruttando il lascito egemonico della seconda guerra mondiale, tengono l’Europa ad un lungo, ma ben visibile guinzaglio, come si è visto all’epoca della guerra in Iraq del secondo Bush, e soprattutto nella vicenda ucraina. L’Unione Europea non può essere nemica della Russia, poiché tale inimicizia trasforma il comunitarismo russo in pulsione autoritaria e fascista. Putin è un punto di equilibrio assai precario in tal senso, e spingere oltre significherebbe per l’UE trovarsi a convivere con un paese che farebbe da modello per tutti i fascismi che albergano nelle profondità capitalistico-borghesi dell’Europa latina e carolingia. La nuova Unione Europea dovrà quindi essere amica della Russia, e dovrà provvedre da sé alla propria sicurezza, che dovrà tradursi principalmente in una collaborazione a tutti i livelli con i paesi arabi e africani. E affinché questa collaborazione non sia solo una collaborazione tra Stati (basta, casi Regeni!) ma tra popoli, dovranno dialogare le religioni, quella cattolico-romana, quella ortodossa e quella islamica. Il ruolo pubblico delle religioni su cui si arrovellano liberal-democratici onesti come Jürgen Habermas, è questo, favorire la fuoriuscita definitiva dai rapporti coloniali, e incentivare la coesione culturale, morale, economica e sociale dell’Europa e dell’Africa. Se questo dialogo si incardina, Daesh, che la criminale stupidità mediatica qualifica di Stato Islamico, deperirà in poco tempo.

La Brexit, dunque, non è un disastro, ma la possibilità concreta di un nuovo inizio. Certo, a patto di aprire gli occhi, e di svegliarsi da vecchi sogni illusori e sbagliati. Altrimenti è facile prevedere che l’Europa ancora una volta sarà preda di guitti e buffoni, cui poi la storia accaduta attribuirà loro, anche se portavano sotto il naso dei ridicoli baffetti, una grandezza immeritata.