Secondo Michael Stuermer, «intellettuale di punta del centrodestra (Cdu-Csu) di Angela Merkel, storico, ex consigliere di Helmut Kohl», quale lo presenta Andrea Tarquini, che lo intervista su “la Repubblica” di oggi, Berlusconi è un «populista più duro di Grillo o di Tsipras». Su Tsipras, Stuermer sicuramente deve avere delle informazioni riservate, ma egli prosegue affermando che «i politici appaiono sempre più cinici. I populisti, ma un po’ tutti». Infatti, «due cinici, Schroeder e Chirac, violando i criteri di Maastricht hanno dato il cattivo esempio e distrutto disciplina e fiducia». Se questa è l’accuratezza dell’analisi delle forze in campo, se questa è la spiegazione che la punta di lancia dell’intellettualità democristiana tedesca dà della crisi dell’euro e dell’Europa, che cosa mai si può sperare? Ma non meno stupefacenti sono i propositi di un germanista di lungo corso e di grande spocchia come Gian Enrico Rusconi. Intervistato da Antonello Caporale sul “Fatto Quotidiano” di oggi, che tesse così le lodi della democrazia tedesca: «La Germania è indubitabilmente il Paese dove la democrazia funziona meglio. I poteri non si sovrappongono, non interferiscono e riescono a sviluppare un’energia positiva e una partecipazione piena alla cosa pubblica». Però, alla domanda del giornalista se anche Berlino non dovrebbe cominciare a fare un po’ di autocritica di fronte al disastro della Grecia, dichiara prontamente: «È vero, concordo. Devo dire che segni di inquietudine, domande del tipo: dove abbiamo sbagliato, come possiamo fare per alleggerire il peso di questa incomunicabilità, stanno iniziando ad essere visibili. Quel che manca in Germania è l’opposizione alla gestione della Merkel, alla sua perfetta manutenzione del sistema. È la socialdemocrazia che non riesce a manifestare un pensiero, ad aprire un varco, illustrare un processo riformatore». E al giornalista che, di rincalzo, nota che «in Germania non esiste opposizione», il serioso sociologo subalpino naturalizzato tedesco, risponde: «Purtroppo no. E si è persa la società degli intellettuali, la revisione critica del presente. C’era Kohl ma c’è stato Schmidt, persino Schroeder ha fatto percepire minime identità progressiste. Adesso non c’è più niente. Merkel è una donna forte che governa bene, ma conserva tratti marcatamente populisti. Chi le si oppone? Il niente. E questo non va bene». Ma non aveva appena detto che la democrazia tedesca funzionava benissimo? Contrordine, lettore, e non fare troppe domande se anche la Merkel viene tacciata di “populisno”. Che sarà mai, questo populismo, se tutti sono populisti? Insomma, se questi sono gli intellettuali che difendono l’Europa, stiamo freschi.
Politica
Oltre
Un’interessante articolo di Marco Palombi, sul Fattoquotidiano di oggi, pagina 5, ricostruisce il rapporto privilegiato tra il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, descritto come il più attento guardiano dell’austerity, e l’attuale Ministro del Tesoro, Pier Carlo Padoan, classe 1950, ex-comunista antikeynesiano, una volta ricercatore di terze vie tra comunismo e capitalismo, poi approdato alle istituzioni economico-finanziarie internazionali promotrici del corso liberista di questi decenni post-Muro, e quindi convinto sostenitore della funzione del dolore nella vita economica1. In questi personaggi, che si sono abilmente adattati allo spirito del tempo, permane una forte matrice di quella “norma autoimposta” che da Gramsci a Togliatti a Berlinguer ha informato la tradizione comunista italiana. Caduto il fine, però, è rimasto solo un acre moralismo, un’ideologia rinsecchita del disciplinamento sociale, da attuarsi con la sofferenza economica da imporre ai popoli per curarli del loro ribelle edonismo, in ciò confluendo perfettamente nel penitenzialismo del capitalismo assoluto. Così come, per altre ragioni, c’è la necessità di andare oltre il keynesismo, e l’illusione che i keynesiani nutrono che si possa restaurare tale e quale, altrettanto c’è la necessità storica di andare oltre la pur nobile tradizione ideale del comunismo italiano.
- E. Brancaccio, Una nota sul mio ex professore Gian Carlo Padoan, pubblicato su www.emilianobrancaccio.it [↩]
Priebke
La popolazione di Albano laziale si rivolta contro i funerali di Priebke, in corso in quel paesino per decisione del prefetto di Roma. Ma da dove spunta fuori questo antifascismo in una popolazione e in un momento storico in cui tutte le fedi, tutte le credenze politiche, sembrano spente? Non ci sarà sotto questo antifascismo un sentimento antitedesco contro il corso che la Germania sta imponendo alla crisi economica che colpisce sempre più duramente?
Bad Godesberg , andata e ritorno
Sono passati venti giorni dalle elezioni tedesche, e un governo ancora non si vede. Merkel e la socialdemocrazia discutono. In realtà, la brava cancelliera sta lustrando per bene il piano del comò su cui sistemare la SPD come un mazzo di fiori secchi. Il centro è al 42%, e i nipotini della tanto celebrata svolta di Bad Godesberg sono ridotti ad un residuale ed inerte 25%. L’illusione è che la ruota giri, e la prossima volta tocchi a loro il trionfo che ora arride alla fanciulla sbucata dall’Est. Ma questo poteva andare bene negli anni Settanta e Ottanta. Il secolo ha girato l’angolo, e non si vede cosa possa riportare agli antichi fasti una “sinistra” che prima non aveva niente alla sua sinistra e dintorni, né Linke né Verdi. Altrove, la situazione è, se possibile, ancora più nera. In Francia, Hollande sprofonda nel vuoto della sua boria di enarca, e non lo sta ad ascoltare più nessuno, mentre Marine Le Pen si appresta a sbalzarlo dalla poltrona. E in Italia? Consumati tutti gli errori al momento della formazione del governo e dell’elezione del Presidente della Repubblica, non esiste più una centralità della sinistra post-comunista. Sotto il mantello delle larghe intese, i democristiani di ogni banda si preparano ad un gruppone centrale cui vorrebbero adattare una legge elettorale neoproporzionale. Paradossalmente, solo Gianburrasca Renzi può fermarli, che però è un democristiano anagrafico, ma un marziano tanto per la fu sinistra post-piccina, quanto per i redivivi democristi. Ancora un (piccolo) uomo della Provvidenza, dunque, di cui l’Italia è sempre incinta. A questo punto, la sinistra dovrebbe cominciare a porsi veramente la domanda se tutti i suoi guai non derivino da quel viaggio a Bad Godesberg, dove si illuse di essersi liberata dagli inutili cascami della teoria, e riflettere al fatto che l’unica volta in cui ha veramente vinto è stato quando una teoria ce l’aveva.
Grillo, la Cina e Internet
In un’intervista a Die Zeit, uscita ieri anche su la Repubblica, il futuro Capo della Terza repubblica italiana nata dalla Ret-istenza,dice: «Quello che fa paura a tanti è l’effetto che avrebbe sull’Europa e il resto del mondo il nostro modello di governo. Ho parlato con l’ambasciatore giapponese, francese, e addirittura con l’ambasciatore cinese. È venuto a trovarmi due volte: la prima due ore, la seconda tre. Dalle nostre conversazioni ha tratto questo sunto: in Italia sta succedendo qualcosa di insolito, un movimento dal basso, senza soldi, usa la rete e stravolge la politica italiana e forse anche quella internazionale. Questo movimento preoccupa moltissimo noi cinesi perché potrebbe destabilizzare anche il nostro sistema. Questo ha scritto. Ed è logico che sia preoccupato». In effetti, i cinesi non si stannno limitando a studiare, ma stanno mettendo in pratica vari accorgimenti per evitare che un Grillo con gli occhi a mandorla si materializzi dalle loro parti. Sempre ieri, su il manifesto, in un’oggettiva cronaca da Pechino di Simone Pieranni, si poteva leggere che, secondo le nuove norme, l’autore di un post ritenuto una diceria falsa, che viene visto da 5mila utenti internet o ripubblicato più di 500 volte, rischia fino a tre anni di carcere. Ci si aspetterebbe la rivolta. Invece, Charles Xue, paladino del vessato popolo cinese e star di Internet con 12 milioni di followers, arrestato con un’accusa – guarda un po’ – legata alla prostituzione, è apparso in tv, ammanettato e pronto a confessare i propri errori: «mi sono sentito come un imperatore», ha ammesso. Pan Shiyi, altra webstar cinese, noto per le sue campagne contro l’inquinamento, anche se è uno dei più importanti e ricchi palazzinari cinesi, è apparso impacciato e nervoso, anch’egli in tv, per celebrare le nuove norme contro le «false informazioni» on line. Che s’ha da fa’, pe’ campa’, qualcuno potrebbe dire. Ma Mo Yan, premio Nobel della letteratura, non è affatto scandalizzato da questo giro di vite, e ritiene anzi che la «censura ha stimolato gli scrittori». Va be’, l’opportunismo di MoYan è risaputo. Ma, conclude il nostro onesto cronista, «il suo argomento è comune in Cina, perché non sono pochi gli artisti e gli intellettuali che leggono le misure repressive come uno stimolo alla creatività». E adesso, ce la immaginiamo la faccia di Grillo che, mogio mogio, ammette in tv di essersi sentito un imperatore? Fantascienza. Perché, piaccia o meno, il punto è questo, che in Cina il controllo politico di Internet suscita una sua quota di consenso. Da un lato, non c’è quella “dittatura della maggioranza”, come la chiama Carlo Freccero, ovvero la “dittatura” della cosiddetta “società civile”, che in Italia ha portato prima a Berlusconi, con la tv, e poi, sebbene ancora non pienamente, a Grillo, con la rete; dall’altro, il potere non è così screditato e impotente da limitarsi alle vacue sfide à la Fassino, «Grillo si faccia un partito, e poi vediamo quanti voti prende». La questione bisogna vederla alla luce (gramsciana) della reciprocità tra governanti e governati. In Cina è minima, c’è molto paternalismo, ma il padre-partito non è un vecchio trombone da mandare affanculo nelle manifestazioni convocate alla bisogna da Beppe Grillo. In Italia, è anch’essa minima, ma la classe politica è completamente smidollata, perché da almeno vent’anni, dal punto di vista formale, ma da almeno trenta, dal punto di vista culturale, ha consentito di essere infiltrata da una “società civile” che, di fatto, esercita il potere, ma per scopi del tutto privati o comunque particolari. È vero, con i suoi proclami sulla democrazia diretta, la consutazione permanente della base, la mobilitazione in rete del popolo, l’incorruttibilità, e quant’altro, Grillo si atteggia a restauratore del governo di tutti per tutti. Insomma, sarebbe venuto in terra a reciprocità instaurare – finalmente! Ma questo miracolo che, con il più vieto machiavellismo, si dovrebbe compiere tenendosi il porcellum per abolirlo un minuto dopo, ha il naso lungo quanto i capelli di Casaleggio, un tenebroso Richelieu della Bovisa che, mentre manda flautati segnali a tutti quelli che contano dentro e fuori la Penisola, minaccia continuamente di andarsene se non si fa come dice lui. E non li vediamo alla tv, gli occhi sbarrati dei cittadini-onorevoli del Movimento 5 Stelle, atterriti dall’idea di essere profligati sul suo blog dal padre-padrone, qualora dovessero sbagliare a parlare anche di una sola sillaba? E, allora, siamo onesti, Internet in Italia non potrà dar luogo a nessuna reciprocità tra governanti e governati, ma sta solo conducendo, se solo lo si voglia vedere, ad un autoritarismo ancora più tetragono di quello berlusconiano, dove non ci sarà più neanche la distrazione del burlesque. Mentre in Cina, questo è il paradosso, ma la dialettica della vita se ne infischia dei paradossi, la forza dell’attuale classe politica, se da un lato nell’immediato reprime il libertarismo della rete, dietro cui, non dimentichiamolo, occhieggiano le forze orgogliosamente “capitalistiche” di Google, Facebook, Twitter e via smanettando, dall’altro, lascia intatte le possibilità che si arrivi, penando e soffrendo, certo, come sta penando e soffrendo Liu Xiaobo, ad una effettiva reciprocità.