Francia e Portogallo negano lo spazio aereo al presidente boliviano Morales in volo da Mosca verso il suo paese, costretto così a scendere a Vienna e a restarvi per più di dieci ore. Si sospettava che Snowden, l’ex-analista della NSA che ha rivelato i metodi spionistici americani ai danni dei paesi dell’Unione Europea, fosse a bordo. Ma chi lo sospettava? Francia e Portogallo? E, in quanto membri dell’UE, non sono parte lesa? Dunque, per conto di chi lo sospettavano? Evidentemente, per conto degli americani. Ma la verità l’ha detta la radicale, non violenta, transanazionale Emma Bonino, assurta finalmente, dopo tanti scioperi della fame, a un ministero che si rispetti, il ministero degli Esteri. Signori, ci ha spiegato la pasionara del digiuno, non è carino spiare gli altri. Insomma, è un giochino che facciamo tutti, e non è bello che questo nesci di Snowden lo proclami a tutto il mondo come se fosse la violazione di chissà quale libertà. In effetti, viene solo da ridere a pensare che Obama possa coartare la libertà della Merkel, e certo viene da piangere a pensare che il Portagollo, un paese praticamente alla fame, sia costretto a negare il transito a un capo di stato legittimamente eletto, ancorché appartenente ai paria del Sud America, per poter continuare a sedersi al tavolo di coloro che lo affamano. Queste simpatiche dinamiche, come potemmo dire, intercapitalistiche, nel 1914 sfociarono in quella che un Papa definì, con formula felice, l’inutile strage. Con la Cina che giganteggia dall’altro lato del mondo, impensabile oggi un simile esito, ma certo questi sono i momenti in cui i “democratici” che ci governano, di qua e di là dell’Atlantico, mostrano senza veli il loro autentico volto da gangster.
Politica
Quando il capitalismo parla
In un suo documento sulla crisi in Europa, la banca d’affari JP Morgan ha manifestato tutta la sua riprovazione per i sistemi politici della periferia meridionale europea, instaurati dopo la caduta delle dittature fasciste. Secondo JP Morgan, le Costituzioni di questi paesi mostrano una forte influenza delle idee socialiste, e presentano tipicamente le seguenti caratteristiche: esecutivi deboli nei confronti dei parlamenti, governi centrali deboli nei confronti delle regioni, tutele costituzionali dei diritti dei lavoratori, licenza di protestare se vengono proposte sgradite modifiche dello status quo, tecniche clientelari di costruzione del consenso. Secondo questa benefica istituzione, la crisi economica ha mostrato a quali conseguenze portino queste nefaste caratteristiche. I paesi della periferia hanno ottenuto successi solo parziali nel seguire percorsi di riforme economiche e fiscali, e si sono visti esecutivi limitati nella loro azione dalle Costituzioni (Portogallo), dalle autorità locali (Spagna), dalla crescita di partiti populisti (Italia e Grecia). Non si tratta certo di discorsi da ubriaconi, e faremmo bene a prenderli sul serio. Ma la notizia è un’altra. Il resoconto di questo documento, che va ad arricchire il corpus della allegra letteratuta calvinista, è apparso solo nel taglio basso della seconda pagina di “Repubblica” di ieri, con uno di quei titoli che hanno fatto la fortuna di questo giornale: «JP Morgan shock: “Basta costituzioni antifasciste”». Il vero shock però è che nessuna delle tronitrinuanti penne di “Repubblica” è stata mobilitata per commentare adeguatamente le analcoliche analisi di JP Morgan, salvo delegare al povero redattore di turno di condire la notizia con l’olio leggero di qualche rigo ironico. A guardar bene, però, l’autentico shock è che, lo stesso giorno, gli organelli impazziti della sinistra italiana in disfacimento, da “l’Unità” a “Il Fatto quotidiano” a “il manifesto”, non hanno neanche dato la notizia. Lo stesso giorno, invece, sul sito dell’Huffington Post Italia, new organ house of the new italian labour party, Matteo Renzi annunciava che si prepara ad essere il nuovo Tony Blair. Insomma, parafrasando Heidegger, quando il Capitalismo parla, non si può che stare ad ascoltare il Dire originario.
Eurogatti
A Karlsruhe, la Corte Costituzionale tedesca processa la BCE, cioè la legittimità, dal punto di vista del diritto costituzionale tedesco, del bazooka salva-Stati escogitato da Mario Draghi per ricacciare indietro le orde affamate di speculatori che minacciano il precario equilibrio monetario europeo. Da un lato, si parano i deontologisti puri, per i quali la questione è di principio, e non può essere invocato a discolpa del banchiere centrale il fatto che l’arma di cui si è dotato ha ottenuto il risultato di vanificare i tentativi di affossare gli Stati indebitati. Dall’altro, si schierano i consequenzialisti, che si richiamano proprio all’efficacia pratica di quello strumento, e invitano a mettere in secondo piano il “dover essere”. Per la gioia dei professori universitari di etica applicata, la realtà si presenta insomma travestita dei panni di un esemplare dibattito morale. Qualcosa che solo in Germania, paese di Martin Lutero e di Immanuel Kant, si poteva vedere. Ma a guardar bene, questo processo ha qualcosa della stregoneria, come quelli che nel Medioevo si intentavano ai gatti, ritenuti incarnazione di Satana. Qui, il gatto è l’euro, e la virtù è la verginità monetarista della BCE, insidiata dalle arti diaboliche del machiavellico governatore italiano. L’attuale stolidità politica tedesca arriva a questo, da rendere simpatico un banchiere rotto ad ogni marchingegno utile a salvaguardare le compatibilità del capitalismo assoluto, fosse anche l’abolizione delle pensioni, lui che ne gode una di dodici mila euro, anzi, di dodici mila eurogatti satanici al mese.
Un mondo senza verità
Il “precario” e il “clandestino” alla luce della dialettica di servo e padrone, così come descritta in Hegel, Fenomenologia, nell’ancora preferibile tr. it. De Negri, Firenze, La Nuova Italia, 1973, 1, pp. 158-161: A) il servo lavora – non esaurisce la cosa. Il padrone gode – esaurisce la cosa, lasciando la indipendenza della cosa al servo che la elabora. Il servo è dunque lo strumento che, secondo la sua essenza, cioè non esaurire la cosa trasformandola, elabora la cosa di cui il padrone gode; B) 1 – Il servo opera (compie) l’operare del padrone. 2 – Il servo non è un operare puro, ma inessenziale, 2.1 – perché l’operare puro o essenziale è quello per cui la cosa è nulla, ovvero quello del padrone che esaurisce la cosa. 3 – La coscienza inessenziale del servo è perciò la verità della certezza di se stesso del padrone. 4 – Ma con ciò, il padrone è divenuto una coscienza dipendente: dipendente dall’inessenzialità dell’operare del servo. 5 – La verità della coscienza indipendente è pertanto la coscienza inessenziale del servo, il suo operare inessenziale, il suo non esaurire la cosa, ma trasformarla tramite il lavoro; C) ora, viandante del XXI secolo, al posto del servo, mettici il “precario” o, peggio, il “clandestino”, e vedrai che il mondo attuale è divenuto un mondo senza verità, cioè senza coscienza indipendente. Il “precario” o il “clandestino” sono infatti coscienze inessenziali dalle quali il padrone rifiuta di dipendere. Egli gode dell’operare inessenziale del “precario” o del “clandestino”, ma rifiuta il loro operare. Il servo perciò opera inessenzialmente, ma la verità della certezza che con ciò egli dava al padrone si disperde come seme sterile per terra. Servo e padrone sono perciò estraniati l’uno all’altro: il padrone è senza coscienza di sé, e il servo non sa a chi dare la coscienza che, con il suo operare inessenziale, produce. 6 – Ma perché è grave che il mondo attuale sia privo di verità? Perché la verità è adattiva. Un mondo senza verità è un mondo a rischio di perire. Il mondo attuale, un mondo dove il rapporto sociale di produzione della verità si è inceppato, è un mondo che rischia da un momento all’altro di perire.
Il Paese che non cresce più
Il rimprovero che Gramsci muove alla storiografia di Croce è di occultare la genesi conflittuale degli equilibri sociali. La storia così coinciderebbe con le fasi di “rivoluzione passiva”, ovvero con la spinta inerziale del momento genetico. Al periodo 1789-1815 seguirebbe così la lunga fase “liberale” che giunge sino al 1870, e al periodo 1917-1922 seguirebbe la “guerra di posizione” di cui il fascismo, con la sua cripto-politica di piano, sarebbe l’emblematico rappresentante ideologico (Q. 10, § 9). Gramsci aggiunge anche che «la libera concorrenza e il libero scambio corrisponderebbero alla guerra di movimento» (ibidem). Senza bisogno di scomodare la longue durée, queste osservazioni sembrano ancora utilissime per comprendere il significato del trentennio successivo al 1980, una vera e propria “guerra di movimento” che il “liberismo” avrebbe condotto su scala mondiale, con momenti di autentica “guerra guerreggiata”, come nell’aurorale golpe cileno del 1973, attuato con la “scientifica” copertura monetaristica dei Chicago Boys. D’altra parte, certe lotte ideologiche che avvennero in Italia all’inizio del XX secolo sono radici viventi di una storia ancora in essere. All’inizio del XX secolo, in Italia, Croce adotta contro il materialismo storico il punto di vista “scientifico” dell’economia “quantitativa”, cui poi contrappone la sua Economia filosofica. E così il materialismo storico “muore” – muore, cioè, l’idea normativa della società come sistema reale di valori economici, linguistici, morali che sorgono spontaneamente dal corso storico. La conseguenza è che l’“economico” può essere ridotto ad un ambito particolare della prassi, il “vitale”, che ottimisticamente – “goethianamente”, direbbe Gramsci – si ritiene possa essere filtrato e addomesticato dalle forme superiori dello spirito. Sono così poste le basi filosofiche di quella scissione che, decenni dopo, produrrà il “miracolo economico italiano”, cioè il marxiano “sfrenato movimento” che progressivamente si sottrae alle pretese delle altre forme dello spirito, sino a farsene apertamente beffe con il berlusconismo, fase suprema dell’economicismo italiano. A un secolo di distanza, dopo che l’economia “quantitativa” ha mostrato tutti i suoi limiti come pretesa scienza esatta dell’economia, la questione può essere ripresa sottolineando proprio quell’idea normativa di società come sistema reale di valori, con la ricaduta pratica di poter finalmente lavorare al passaggio nell’ideologia italiana ad un equilibrio superiore, richiesto dall’impasse odierna che si manifesta nella percezione che tutti abbiamo di “un Paese che non cresce più”.