Come nel berlusconismo, c’è sempre un problema di egemonia culturale e di direzione politica. Figure come Dario Fo, il prete di strada Don Gallo, lo scrittore Stefano Benni e l’autore di satira e di testi teatrali Michele Serra, anche se quest’ultimo si è poi “perbenizzato”, una certa tradizione di cantautori esemplificata soprattutto da Giorgio Gaber, una rockstar come Adriano Celentano, hanno espresso negli anni, si potrebbe dire nei decenni, una matrice culturale che si è venuta man mano omogeneizzando attorno al valore della “dissacrazione”. È il popolo, apparentemente sciocco e a volte volutamente becero, che manda a quel paese la società “alta” e “per bene” e propone un mondo “basso”, vicino al “buco del culo” del nano cantato da Fabrizio De André, che emana cattivo odore ma che allo stesso tempo annusa il lezzo del marcio della realtà circostante. Il potere e l’alto sociale ne risultano spiazzati, perché non sono più contestati sul piano intellettuale del “dibattito pubblico”, ma ci si rivolta contro di loro non tanto “corporalmente”, bensì “corpamente”. Potere e alto sociale vengono cioè, per così dire, “spintonati”, “buttati a terra”, e potrebbero anche essere “brutalizzati”. Di qui, l’alone sulfureo di “rivoluzione” di cui il grillismo è circonfuso e che il suo capo abilmente evoca. Ma in quella matrice confluiscono anche elementi nuovissimi, come quello del “controllo razionale” di una scienza-tecnica sempre più manipolatrice, che però emerge in modo caricaturale, al limite del ridicolo, come nell’intervista televisiva al giovanissimo neo-deputato grillino, che racconta allarmato dei chips che già negli USA il “potere” metterebbe con dei pretesti sotto pelle ai cittadini per poterli manipolare, oppure emerge come aspirazione neo-elitistica di una cerchia di salvati che fugge nel lusso di resorts a prova di bomba atomica dalla nera sorte dei sommersi di una prossima terza guerra mondiale. Da notare che Grillo è stato pure lui un operatore dell’egemonia culturale, come star della comicità televisiva degli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso, e poi come autore teatrale, quest’ultima posizione assunta un po’ per scelta e un po’ per necessità, visto che l’oligopolio televisivo dominante, attestatosi sulla linea espressa dal motto “cosce, culi e cazzate”, l’aveva ostracizzato. Grillo poi passa alla direzione politica con lo sfruttamento del marketing e del social network (Casaleggio), con cui modella una nuova realtà politica, di cui i gruppi meetup sono la spina dorsale, e gli influencers e gli organizers le figure di un nuovo personale politico che, tramite le parlamantarie on line, è travasato negli eletti al Parlamento. Non tutto è virtuale, però, poiché questa nuova realtà politica ha avuto i suoi momenti di “verifica” nei meetings in piazza, in cui Grillo ha utilizzato il modulo hitlero-mussoliniano del comizio dell’istrione, e nelle performances personali del Capo, che hanno toccato l’acmé nell’attraversamento a nuoto dello Stretto di Sicilia. Adesso, ci si può anche aspettare che l’ex comico mangi la spada ed emetta fiamme dalle fauci, ma la frittata è fatta perché l’elemento di direzione politica ha avuto successo ed è penetrato nella rappresentanza politica, già debilitata dal botulino berlusconiano. Dunque, come nel 1994, anche nel 2013, la sinistra all’ultimo minuto perde le elezioni perché una nuova egemonia culturale, di cui si avvertivano i borborigmi, all’improvviso la sopravanza. Paga così un grosso prezzo per il perbenismo da establishment che da un buon ventennio le imbelletta il volto di una sgradevole ipocrisia. E saprà mai trovare la strada di quell’unità per cui tanto si batteva Gramsci?