Il nuovo Papa è il gesuita argentino Jorge Mario Bergoglio, che ha preso il nome di Francesco, e si è presentato come il «vescovo di Roma». Ai diocesani di Roma, infatti, è andato il suo primo saluto. La Chiesa si affida al suo ordine più mondano, ma alludendo alla povertà, e ritraendosi un po’ dal perimetro largo dell’universalismo. Gioca, insomma, la carta più facile, una rinfrescata alle sue strutture economiche e di potere. Tranquilla com’è sul fronte sociale, dove pensa di poter incassare tutta la posta quando il capitalismo assoluto avrà fatto bancarotta, nulla lascia presagire che possa aprire su altri campi dove è fortissima la pressione delle forze antagoniste, in primis la religione sessuale.
Politica
Grillismo dopo il berlusconismo?
Come nel berlusconismo, c’è sempre un problema di egemonia culturale e di direzione politica. Figure come Dario Fo, il prete di strada Don Gallo, lo scrittore Stefano Benni e l’autore di satira e di testi teatrali Michele Serra, anche se quest’ultimo si è poi “perbenizzato”, una certa tradizione di cantautori esemplificata soprattutto da Giorgio Gaber, una rockstar come Adriano Celentano, hanno espresso negli anni, si potrebbe dire nei decenni, una matrice culturale che si è venuta man mano omogeneizzando attorno al valore della “dissacrazione”. È il popolo, apparentemente sciocco e a volte volutamente becero, che manda a quel paese la società “alta” e “per bene” e propone un mondo “basso”, vicino al “buco del culo” del nano cantato da Fabrizio De André, che emana cattivo odore ma che allo stesso tempo annusa il lezzo del marcio della realtà circostante. Il potere e l’alto sociale ne risultano spiazzati, perché non sono più contestati sul piano intellettuale del “dibattito pubblico”, ma ci si rivolta contro di loro non tanto “corporalmente”, bensì “corpamente”. Potere e alto sociale vengono cioè, per così dire, “spintonati”, “buttati a terra”, e potrebbero anche essere “brutalizzati”. Di qui, l’alone sulfureo di “rivoluzione” di cui il grillismo è circonfuso e che il suo capo abilmente evoca. Ma in quella matrice confluiscono anche elementi nuovissimi, come quello del “controllo razionale” di una scienza-tecnica sempre più manipolatrice, che però emerge in modo caricaturale, al limite del ridicolo, come nell’intervista televisiva al giovanissimo neo-deputato grillino, che racconta allarmato dei chips che già negli USA il “potere” metterebbe con dei pretesti sotto pelle ai cittadini per poterli manipolare, oppure emerge come aspirazione neo-elitistica di una cerchia di salvati che fugge nel lusso di resorts a prova di bomba atomica dalla nera sorte dei sommersi di una prossima terza guerra mondiale. Da notare che Grillo è stato pure lui un operatore dell’egemonia culturale, come star della comicità televisiva degli anni Ottanta e Novanta del secolo scorso, e poi come autore teatrale, quest’ultima posizione assunta un po’ per scelta e un po’ per necessità, visto che l’oligopolio televisivo dominante, attestatosi sulla linea espressa dal motto “cosce, culi e cazzate”, l’aveva ostracizzato. Grillo poi passa alla direzione politica con lo sfruttamento del marketing e del social network (Casaleggio), con cui modella una nuova realtà politica, di cui i gruppi meetup sono la spina dorsale, e gli influencers e gli organizers le figure di un nuovo personale politico che, tramite le parlamantarie on line, è travasato negli eletti al Parlamento. Non tutto è virtuale, però, poiché questa nuova realtà politica ha avuto i suoi momenti di “verifica” nei meetings in piazza, in cui Grillo ha utilizzato il modulo hitlero-mussoliniano del comizio dell’istrione, e nelle performances personali del Capo, che hanno toccato l’acmé nell’attraversamento a nuoto dello Stretto di Sicilia. Adesso, ci si può anche aspettare che l’ex comico mangi la spada ed emetta fiamme dalle fauci, ma la frittata è fatta perché l’elemento di direzione politica ha avuto successo ed è penetrato nella rappresentanza politica, già debilitata dal botulino berlusconiano. Dunque, come nel 1994, anche nel 2013, la sinistra all’ultimo minuto perde le elezioni perché una nuova egemonia culturale, di cui si avvertivano i borborigmi, all’improvviso la sopravanza. Paga così un grosso prezzo per il perbenismo da establishment che da un buon ventennio le imbelletta il volto di una sgradevole ipocrisia. E saprà mai trovare la strada di quell’unità per cui tanto si batteva Gramsci?
Le dimissioni di Ratzinger
Il programma in soli tre punti di una forza rivoluzionaria marziana che volesse innescare un rivolgimento profondo in Italia potrebbe essere 1) denunciare il debito pubblico, 2) abolire la pubblicità, 3) decapitare il Papa. La forza rivoluzionaria marziana è ben lontana dal venire, ma al punto terzo ci ha pensato da sé la Chiesa stessa, con le dimissioni del Papa. Lukács parlava della sorda resistenza che nel mondo contemporaneo le masse oppongono nella vita quotidiana a qualsiasi tentativo di dominarle tramite categorie religiose (Ontologia, vol. II, t. II, p. 723). Ratzinger ha risposto a questa resistenza con una autodecapitazione. Adesso, la situazione è di un corpo autoritario acefalo. È il primo caposaldo dell’assolutismo contemporaneo che salta. Però, non ci sono forze nuove che immediatamente occupino la scena improvvisamente vuota. La sorda resistenza delle masse prenderà coscienza di se stessa? Quel corpo autoritario acefalo si sfalderà in tanti castelli autonomi in lotta tra loro? Oppure le istanze di libertà riusciranno a farsi strada in quel corpo in sfacelo? La religione della merce subirà anch’essa un colpo? Lo sguardo non riesce ad andare oltre la speranza.
Casta Europa
Il tema della casta politica solo all’apparenza è un fatto di politica interna, e viene da lontano. L’Europa, sotto l’ombrello della guerra fredda, ha vissuto sino a tutti gli anni Ottanta come un enfant gaté. Poi, è stata rifondata a Maastricht. Ci riferiamo sempre a De Gasperi, ma lì, per l’Italia, i protagonisti sono stati Giulio Andreotti e Guido Carli. Un cinico e un pessimista. Di fronte al debito che cresceva, Carli si interrogava angosciato: perché gli italiani consumano così tanto? Invece di andare in direzione del Vaticano, promuovendo una nuova Porta Pia, entrambi, e con loro tutta la classe governante, pensarono che si potessero riformare gli italiani, ponendo un vincolo esterno. L’Europa diventava perciò un fatto esteriore. Quello che non si riusciva ad avere per consenso, lo si sarebbe ottenuto per autorità. Di qui la divaricazione che ha portato da un lato alla casta, che vive di rendita, tanto c’è l’Europa che ci pensa, e dall’altro all’antipolitica, cioè la rabbia contro dettami dall’alto verso cui non c’è consenso. Naturalmente, il vincolo esterno era anche un modo per sedere al tavolo dei grandi. Un neocavourrismo permanente, di cui Mario Monti è la perfetta incarnazione. Gli esodati sono l’equivalente del pugno di morti della guerra di Crimea. Ma l’Europa non è divenuta una caserma solo per gli italiani. A Maastricht, Delors diceva occupazione, e Lamers rispondeva stabilità monetaria. Firmarono con la riserva mentale, mentre i popoli ignari sciamavano nei meandri del consumismo. E l’ha avuta vinta la stabilità, cioè la potenza, l’antico vizio europeo, rilegittimato dalle necessità della “globalizzazione” . Il liberismo, in Europa, si è diffuso perché era lo strumento più adatto per ottenere, tramite la moneta, la potenza. L’euro, perciò, nel momento stesso in cui li salvava, è diventato un fardello per i popoli. Al dovere di consumare si è aggiunto quello di dover lavorare di più, per potere consumare di più che richiede di lavorare di più. Insomma, diciamo Europa, ma a Maastricht ne è nata una molto diversa da quella pensata negli anni Cinquanta, un’Europa ottocentesca, ma sublimata nei cieli della finanza. Siamo di fronte ad un equivoco, ma non si vedono le forze che possono chiarirlo.
Lavoro e alienazione elettorale
«Più che di precarizzazione bisognerebbe parlare di autonomizzazione del lavoro. Lavoratori con contratti brevissimi, dipendenti costretti ad aprirsi la partita Iva, impiegati con progetti che mascherano la subordinazione non temono il licenziamento perché non hanno mai avuto una vera assunzione. Vivono gomito a gomito con garantiti meno preparati, meno impegnati ma più tutelati, realizzando che neppure col pensionamento li sostituiranno. Si autorappresentano sempre più come autonomi. E come tali guardano alla destra degli imprenditori e con fastidio alla sinistra delle tasse (che non si traducono né in welfare, né in servizi, né in maggiori garanzie)» (A. Mangano, Voto di classe, “il manifesto”, 17.11.2011, p. 16). In realtà, più che di autonomizzazione del lavoro, bisognerebbe parlare di una atomizzazione del lavoratore. Certamente, la rottura del legame di classe crea l’autorappresentazione di essere autonomi, ma si tratta letteralmente di una coscienza alienata, alla quale la destra dell’individuo privato fornisce una sorta di scena sulla quale il lavoratore atomizzato proietta il suo cuore, per dirla con Rousseau, isolandosi dagli altri lavoratori come lui, così come avviene nella sala buia del teatro tra uno spettatore e l’altro. Ciò che conta, allora, è la rappresentazione, e il berlusconismo è stato (e probabilmente continuerà ancora ad essere) la sceneggiatura di tale rappresentazione. L’articolo conclude: «La domanda – a questo punto – è molto semplice. La sinistra si limiterà a gestire gli spazi della garanzia (modello Bersani)? Proverà a erodere gli spazi della destra (modello Renzi)? Riuscirà a pensare un “autonomo” di sinistra (modello ancora inesistente)?». Mi sembrano domande non pertinenti. La sinistra deve ricostruire il legame di classe, e per far questo deve ribaltare i rapporti di forza tra capitale e lavoro. Se il capitale ha atomizzato per dominare e egemonizzare, il lavoro deve sottrarsi alla dimensione privatistica in cui il capitale lo ha costretto, distruggendo la scena alienata che lo imprigiona. Sta alla lotta sindacale e politica, che deve ritornare ad essere internazionalista, trovare gli strumenti per operare questo ribaltamento.