Con l’elezione di Elly Schlein alla segreteria del Partito democratico, il secolo in Italia finalmente ha preso il largo. Non che all’orizzonte ci siano chissà quali novità di idee e di metodi. Siamo ancora alle attenuazioni e alle sfumature e, quanto al metodo, al leaderismo più spinto, come non può che essere con le primarie. Ma il fatto è che la Schlein con tutte le storie della sinistra dal 1921 a oggi non c’entra più nulla. Da questo punto di vista, la Meloni è ancora Novecento puro, legata com’è da mille fili al mondo catacombale del Movimento Sociale Italiano e dintorni di cui ha la missione di riscattare l’onore – così si esprimono. E, infatti, da quando è apparsa la Schlein, la Meloni è come invecchiata di colpo e nel ruolo che ha voluto a tutti i costi appare sempre più inadeguata. La Schlein non deve, non può e non vuole riscattare nulla perché da Occhetto a Letta tutto è stato dissipato e la sinistra non esiste più. Questo non vuol dire che la Schlein è post. La Schlein è di sinistra ma in un contenitore vuoto. Sì, certo, transgenderismo, ecologia, pace e salario minimo sono i contenuti che ha mitragliato con l’occhio sbarrato quando è stata interrogata, ma al momento sono pensierini. Se la Schlein vuole durare e non fare la fine di un Veltroni, se vuole davvero prendere il largo e condurre la nave verso una rotta sicura, bisogna che affronti le due questioni che, da quando è nata, fanno della sinistra la sinistra, ovvero la scelta tra sinistra riformista e sinistra rivoluzionaria e la questione del partito. Dicevamo che lei con tutte le storie della sinistra dal 1921 a oggi non c’entra più nulla. E per forza. La sinistra rivoluzionaria negli anni Settanta è finita nella trappola del terrorismo. E, nei decenni successivi, la sinistra riformista si è esaurita nell’ignominia del potere per il potere. Basterà dunque che quale che sia la via che imboccherà non si abbia nessuno dei due esiti. Riforme e rivoluzione dovranno essere parole vecchie con un significato nuovo. L’orizzonte è fosco e molto poco dipenderà da lei. Ma stanno finendo un’epoca e un impero, e le opportunità potranno esserci. Quanto al partito, non esiste una sinistra senza il partito e la prova inconfutabile si ha in questi ultimi anni in cui, avendo teorizzato un partito allegramente penetrato dalla società civile, la sinistra ha smesso di esistere. Certo, il riformismo era così spinto che il partito non serviva. Ma di riformismo spinto si muore, altrettanto quanto di settarismo rivoluzionario. D’altra parte, senza il partito aperto e leggero dei dottor Stranamore la tabula rasa della Schlein non sarebbe arrivata. Ma questo non vuol dire che bisogna continuare su questa strada, anche perché dallo stesso popolo che va a votare alle primarie sale la richiesta di una Assemblea costituente che riunisca tutta la sinistra in un nuovo organismo. Strada asperrima ma indicativa di un’esigenza. Dunque, la missione è chiara, ricominciare tutto daccapo. E perciò può essere che la Schlein, con il suo profilo sghembo e il suo fare dinoccolato, si ritrovi un domani sopra un palco con un berretto in mano ad arringare le masse rivoluzionarie guidate da un grande partito. Così come può essere che senza volerlo si ritrovi a Palazzo Chigi a complimentarsi al telefono con Trump per la sua rielezione. I tempi sono fluidi e l’avventura è bella.
Politica
Il puntiglio della verità
Nella serata di lunedì 2 gennaio, su Rai Tre, è andata in onda ad opera della trasmissione “Report” una lunghissima ricostruzione delle stragi del biennio 1992-1993, quelle in cui, assieme ad altre decine di persone, persero la vita i magistrati Falcone e Borsellino e furono attaccate chiese e monumenti in varie parti d’Italia. Il motivo di tale ricostruzione è che stanno emergendo nuovi elementi giudiziari a favore dell’ipotesi che individui che presero parte a tali attentati si ritrovano nella precedente stagione stragista e golpista degli anni Settanta e Ottanta del secolo scorso. In particolare, una delle figure di collegamento più importanti sarebbe Stefano Delle Chiaie, fondatore di Avanguardia Nazionale, organizzazione neofascista sciolta e più volte risorta dalle sue ceneri come l’araba fenice, operativa pare addirittura sino a tutto il 2018. Stefano Delle Chiaie, passato a miglior vita nel 2019, proviene da quel mondo missino che secondo gli odierni esponenti del movimento smargiasso insediatosi al governo della Nazione avrebbe contribuito all’inserimento degli sconfitti del fascismo nel gioco della rinata democrazia. Si tratta di una affermazione che nel suo cinismo politico, tipico di questo abile manipolo di manipolatori, ha un suo fondamento storico. La Fiamma, infatti, quale dialettica copertura legale di un vasto ambiente illegale – e stiamo parlando di legalità “borghese”, ma evidentemente in determinate situazioni storiche a Monsieur le Capital non basta neppure quella per averla vinta! –, ha contribuito fortemente a far sì che la democrazia italiana si allontanasse quanto più è possibile dall’improvvido disegno costituzionale per assumere quella fisionomia anfibia di doppio Stato non solo consono all’intima essenza nazionale, ma soprattutto funzionale agli equilibri internazionali in cui l’Italia, grazie al ben operare dei nazionalisti in orbace figli della Lupa, dal 1945 si trova felicemente inserita, scilicet asservita. La domanda però non è storica ma urgentemente attuale, e cioè come mai, nel momento in cui lo strato più recondito e ambiguo dell’anticomunismo atlantista comincia a muovere i suoi primi passi di governo, una trasmissione come “Report” possa ripercorrere le stagioni dello stragismo politico in cui tale strato, a voler stare alle sole evidenze giudiziarie, appare profondamente invischiato. Evidentemente, ci sono mondi che si guatano a distanza e, come nel gioco di chi sa che io so che tu sai che io so, si mandano segnali, si lanciano avvertimenti, si misurano la forza. La partita insomma non è chiusa. E, del resto, lo si era capito quando, durante il caos della presidenza Trump, settori importanti del carico della nave erano stati spostati in direzioni inusitate – la Cina, la Russia. Bisogna dirlo, in modo abborracciato, con immaturità, senza alcuna chiara elaborazione politica. Sicché, quando sia pur a fatica il blocco imperiale ha ripreso il controllo, come accade sempre nelle epoche di basso impero è stato facile per i pretoriani della Nazione proporsi quale nuovo ceto di governo. È altrettanto facile prevedere che quanto più aumenteranno le spinte per un sovvertimento presidenzialistico della Costituzione vigente, tanto più si moltiplicheranno questi segnali. E quanto più gli equilibri internazionali si mostreranno deboli e friabili, tanto più il confronto tra questi mondi contrapposti diventerà una lotta accanita per la sopravvivenza. Poiché appare chiaro che il significato effettivo di una possibile riforma presidenzialistica, almeno per quanto riguarda il passato, è la definitiva messa a tacere di una storia inconfessabile, quella per la quale l’ipotesi di una timida, socialdemocratica “repubblica fondata sul lavoro” è stata impedita dalla brutale realtà di una “repubblica basata sulle bombe”. Del resto, già da tempo la Bombocrazia mette in scena nelle più alte cariche le sue tragedie shakespeariane. A favorire l’elezione dell’attuale Presidente della Repubblica fu un certo senatore fiorentino, promotore dell’ultimo sfortunato assalto costituzionale, sulla cui eccellenza nelle arti politiche della corrotta Danimarca, messe al servizio del più devoto atlantismo, non c’è bisogno di spendere altre parole. E oggi, l’attuale Presidente, che in una famosa foto appare mentre prende fra le braccia il fratello ferito a morte nell’attentato opera, a quanto sembra, dell’usuale connection tra mafia, apparati di stato e neofascismo, oggi dicevamo a quel mondo predica come Francesco al lupo di Gubbio la mitezza della Costituzione vigente, suggerendo così oggettivamente l’idea che un’alta carica è forse la migliore pietra tombale sulle esigenze di giustizia. Ma nel paese della commedia dell’arte alle tragedie shakespeariane fanno da contrappunto le baruffe chiozzotte, alla sfocata, drammatica foto del fratello che trae fuori dall’auto il congiunto ucciso dall’ignoto assassino dagli occhi di ghiaccio fa da controcanto la più recente foto “social” delle vestali del rampante movimento smargiasso che, agghindate per il cenone di fine anno, con molle posa fanno gli auguri «anche ai rosiconi che non si ricrederanno mai per puntiglio». Eh, già, perché la verità è un puntiglio…
Mambo italiano
Uno dei personaggi più caratteristici interpretati da Sofia Loren è l’avvenente pescivendola di Pane Amore e…, film di Dino Risi del 1955, soprannominata dal popolo “la Smargiassa” per le molte arie e la prepotenza con cui porta avanti la sua modesta vita in cui si propone di poter continuare ad abitare con un belloccio senza arte né parte, di cui intanto si è innamorata, nella casa che occupa da tempo ma che il proprietario, un vecchio ma piacente maresciallo dei carabinieri in pensione, interpretato da Vittorio De Sica, venuto a dirigere il locale Comando dei Vigili Urbani e assai sensibile al suo fascino femminile, adesso reclama. La Smargiassa non esita a lusingarlo per strappargli la firma di un regolare contratto d’affitto, ballando addirittura sotto gli occhi di tutti un Mambo italiano che ha reso famoso il film in tutto il mondo, ma quando l’innamorato buono a nulla scoprendo che i compaesani se lo additano come cornuto decide di partire emigrato, il suo castello di carte si affloscia nel pianto e ci vuole tutta l’interessata indulgenza del vecchio carabiniere, intanto consolatosi con una zitella in cui arde un più rispondente fuoco nascosto, per rimettere a posto le cose consentendole così di coronare il suo piccolo sogno d’amore.
A seguito delle elezioni politiche del 25 settembre, annunciata dai prodigiosi sondaggi dei mesi precedenti, nel fatuo firmamento della politica italiana è apparsa una Smargiassa della cui luce marescialli e maresciallesse in servizio e in pensione nei tanti Comandi della ristretta ancorché effervescente vita pubblica italiana si stanno beando. Le arie non le mancano e neanche l’irruenza. Con la mano chiama e ferma gli applausi, scandisce pause teatrali con cui atterra gli avversari, meglio se avversarie, pareggia i fogli degli appunti picchiettandoli minacciosi sul tavolo, protende il busto in avanti e sguardo basso carica le parole scagliandole su chi ascolta, insomma tutte le astuzie sceniche delle fumose assemblee di sezione di un partito catacombale come il fu Movimento Sociale Italiano, quando ci si riuniva per fissare la linea, imporre i chiarimenti, vincere gli scontri da cui sortire dialetticamente più forti che pria. Professionismo politico, rivendicato e seriosamente esibito a salvaguardia di contenuti che la maggioranza degli elettori superstiti ha evidentemente apprezzato – non disturbare chi fa, la pacchia è finita, non tradiremo e non indietreggeremo, ovvero vincere e vinceremo, e poco altro. Se nel film di Risi il vecchio ma piacente maresciallo dei carabinieri in pensione aveva dovuto imbastire un piccolo corteggiamento della Smargiassa pescivendola, qui non ce ne è stato bisogno. Nel suo contenuto capitalistico, la promessa di non disturbare chi fa, chi intraprende insomma e spilla plusvalore come che sia, era già chiara, e l’alleato americano è stato subito rassicurato sulla fedeltà ai patti sottoscritti. E, del resto, perché meravigliarsi di ciò? La fiamma che arde in fondo al logo del partito di maggioranza relativa si riferisce più alla fedeltà atlantica forgiata in decenni di multiformi e non sempre limpidi servizi resi all’anticomunismo militante cuore pulsante dell’atlantismo, che alla fede nel fascismo storico, ormai retaggio folkloristico buono per i musei privati di qualche esponente di quel mondo assurto recentemente ad una delle massime cariche dello Stato. È però al momento della presa di possesso dell’appartamento che qualcosa si è incagliata in questa perfetta messa in scena in cui la servitù viene ammessa alla tavola dei signori. È bastato infatti che l’ex-magistrato Scarpinato, ora senatore, richiamasse in Parlamento quei trascorsi opachi, per giunta evidenziando il loro contenuto capitalistico, il nesso cioè tra l’atlantismo anche nei suoi aspetti criminali e l’eversione politica del dettato economico della Costituzione che il governo appena insediatosi si propone di perpetuare, perché le molte arie, l’irruenza, la sicumera del professionismo politico smargiasso si sgonfiassero di colpo, tanto da dover incorrere con modi spicci (“questo è tutto ciò che ho da dire”) nell’inesattezza e addirittura nel falso. All’ex-magistrato Scarpinato infatti, pareggiando fogli e scagliando parole a sguardo basso, è stato velatamente rimproverato un “teorema giudiziario” circa la strage in cui perse la vita Paolo Borsellino, che egli invece quale Procuratore generale contribuì a smascherare. Come sappiamo, la pescivendola smargiassa finisce in lacrime vittima dei suoi stessi intrighi, e ci vuole l’indulgenza del vecchio carabiniere per rimettere assieme i cocci del suo rapporto con il moroso sul punto di lasciarla. L’alleato americano è vecchio ma francamente è difficile immaginarlo indulgente e ancor meno appagato da un semplice per quanto ammaliante Mambo italiano. Quel che gli si promette lo vuole senza sconti. Più facile, perciò, è che si arrivi a una resa dei conti alla Sergio Leone con gli smargiassi che da decenni gli si strusciano per scroccare uno straccio di contratto d’affitto che, dopo i disastri del Ventennio e il purgatorio dei bassi servizi, li riporti al comando assoluto benché “democratico” della… Nazione. E che Dio protegga il paese Italia.
Il conservatorismo di Giorgia Meloni
Capita di leggere un libro quando ancora i problemi che vuole agitare non si sono surriscaldati e si pensa che non si surriscalderanno. È il caso per chi scrive del libro di Giorgia Meloni, Io sono Giorgia, pubblicato da Rizzoli nel 2021, in cui l’autrice racconta la sua vita ma espone anche le sue idee. Ecco con riferimento a quest’ultimo punto gli appunti e le impressioni di lettura che chi scrive all’epoca annotò a margine di pagina:
– rivendicazione del sincretismo culturale in nome della libertà “anti-ideologica” e di un sapere posseduto spontaneamente dall’individuo che deve essere solo “chiarito” dalla cultura (198)
– rivendicazione di un aristocraticismo cognitivo e morale (“tutti gli uomini di valore sono fratelli”) (196). Gramsci, che pure è reclamato dal sincretismo della Meloni e sodali, sosteneva invece che “tutti gli uomini sono filosofi”. Una bella differenza!
– caricatura e falsificazione della sinistra additata sommariamente come marxista-uniformante, liberal-globalista, utopista-egualitaria (195)
– richiamo enfatico al principio di realtà come tratto tipico della destra che però con tipico salto sofistico diventa principio della tradizione, con tanto di richiamo alle “radici che non gelano” magnificate dall’immancabile Tolkien (194, 200)
– destra non materialista ma “divina” che difende, conserva e prega, anche qui benedetta sincreticamente da Pier Paolo Pasolini descritto come un “irregolare” al quale chi possiede il sapere spontaneo “anti-ideologico” si può liberamente richiamare (200)
– anti-utopismo (202), ovvero realtà = quella esistente ma che non si nomina, cioè il capitalismo
– progressismo, mondialismo, globalismo, islamismo, comunismo, un unicum indistinto di nemici della persona (194. 202)
– Black Lives Matters = la disprezzata cancel culture (203) ovvero disconoscimento della questione razziale
– contro il genderismo, esaltazione della persona, della famiglia, della patria ovvero facendo leva sugli eccessi disconoscimento di tutte le questioni che ciascuna di queste realtà pone tramite una contro-retorica della potenza, della bellezza, del libero arbitrio e del fascino della tradizione “classica” (203)
– in generale, disconoscere tutte le questioni aperte della crisi dell’Occidente evocate con l’apparente profondità del professionismo politico tramite un sincretismo che vuole rimettere in circolazione l’irrazionalismo del pensiero europeo reazionario soprattutto nelle sue ultime e più popolari propaggini (insistenza molesta su Tolkien). Ma questo non avviene a partire da una base di conservatorismo liberale “classico”, per quanto verbalmente rivendicato, bensì da una posizione politica non solo di fascismo storico ben dissimulato ma anche di neofascismo su cui si tace se non per rimarcarne vittimisticamente una presunta marginalizzazione (la “fiamma” non è solo il simbolo di una “radice che non gela” ma anche l’insegna di un movimento politico attivo dal dopoguerra in poi con un ruolo essenziale benché subalterno nell’anticomunismo dell’epoca)
– risalire all’indietro per divincolarsi dall’esito storico fascista e nazista in cui la tradizione reazionaria borghese precipitò tra le due guerre, in modo da poter riscattare quell’esito minimizzato ma al quale nascostamente ci si richiama perché rappresenta il momento in cui tale tradizione divenne universale (“totalitaria”) e costituisce quindi nelle sue “radici non gelate” un modello ideale con cui nobilitare il “grigiore” del “servizio” reso dal neofascismo in nome dell’anticomunismo alle forze che subentrandovi sconfissero il fascismo storico, ovvero l’americanismo e l’atlantismo
– il conservatorismo rivendicato da Meloni e sodali, un’ideologia di sconfitti che anelano alla rivincita assoggettandosi ai vincitori ai quali, presentendone l’attuale debolezza, vorrebbero finalmente subentrare pensando di poter riaffermare valori che, per quanto stentoreamente declamati (“donna, madre, italiana”), sono intimamente negati dalla “civiltà” al cui comando aspirano.
Basta non disturbare
Parlando alla Coldiretti, la sezione agraria di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni ha affermato che «lo Stato non deve disturbare chi vuole produrre ricchezza»1. Il fine concetto era in sé già chiaro, ma a rincalzo è intervenuto sul Corriere il giurista Francesco Saverio Marini spiegando che il presidenzialismo è la ricetta giusta per porre fine all’instabilità dei governi che «sfavorisce il Paese dal punto di vista economico»2. Marini è in linea, ma deve ripulire il suo lessico. Non si dice Paese ma Nazione. Come ha chiarito Giorgia, infatti, «la ricchezza in questa Nazione la fanno le aziende con i loro lavoratori»3. Meloni ha fatto bene a evocare i lavoratori. Essi, infatti, una volta appoggiavano l’Esperimento marxista, come lo chiama con notevole estro epistemologico monsignor Suetta, vescovo di Sanremo; ora invece lavorano per la Nazione, ovvero per l’umanesimo cristiano: «interpreto il successo del partito Fratelli d’Italia non come un voto di protesta ma come un risveglio capace di riscoprire i valori autentici su cui fondare la vita dell’uomo e la società»4. Valori autentici si attaglia bene con il concetto di ricchezza ma, Monsignore, bastava solo il singolare, valore, e tutti avremmo capito che Lei si riferiva a quella sostanza immateriale che i lavoratori secernono quando vanno in azienda in cambio di un salario. Lei, esimio Presule, giustamente rileva come ultimamente la sinistra ha trascurato questi operosi alveari e per questo «l’interrogativo si fa stringente: con quali contenuti possiamo colmare il vuoto spirituale, creatosi con il fallimento dell’Esperimento marxista?»5. Francamente, non lo sappiamo, ma è confortante constatare che Lei pensi che il fallimento dell’Esperimento marxista abbia a che fare con lo spirito. Converrà che il Cristianesimo da duemila anni si propone di riempire questo vuoto, ma ci riesce solo con la ricchezza della Nazione che sta tanto a cuore ai Fratelli d’Italia al punto da indurli a intimare l’alt, chi va là, al loro totem, lo Stato. Come vede, Monsignore, ci sono degli slittamenti concettuali non da poco, ma sicuramente Giorgia saprà porvi rimedio. Basta non disturbare.
- https://www.agi.it/politica/news/2022-10-01/non-disturbare-chi-vuole-lavorare-produrre-ricchezza-prima-uscita-pubblica-meloni-18284652/ [↩]
- «Alla Carta serve una revisione. La sovranità dello Stato deve essere un principio supremo» Il giurista Marini: bene il presidenzialismo se con correttivi, «Corriere della sera», 3 ottobre 2022, p. 9 [↩]
- https://www.agi.it/politica/news/2022-10-01/non-disturbare-chi-vuole-lavorare-produrre-ricchezza-prima-uscita-pubblica-meloni-18284652/ [↩]
- Con Giorgia ha vinto l’umanesimo cristiano, «Libero», 3 ottobre 2022, p. 4 [↩]
- Ibidem [↩]