Politica

Mambo italiano

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Uno dei personaggi più caratteristici interpretati da Sofia Loren è l’avvenente pescivendola di Pane Amore e…, film di Dino Risi del 1955, soprannominata dal popolo “la Smargiassa” per le molte arie e la prepotenza con cui porta avanti la sua modesta vita in cui si propone di poter continuare ad abitare con un belloccio senza arte né parte, di cui intanto si è innamorata, nella casa che occupa da tempo ma che il proprietario, un vecchio ma piacente maresciallo dei carabinieri in pensione, interpretato da Vittorio De Sica, venuto a dirigere il locale Comando dei Vigili Urbani e assai sensibile al suo fascino femminile, adesso reclama. La Smargiassa non esita a lusingarlo per strappargli la firma di un regolare contratto d’affitto, ballando addirittura sotto gli occhi di tutti un Mambo italiano che ha reso famoso il film in tutto il mondo, ma quando l’innamorato buono a nulla scoprendo che i compaesani se lo additano come cornuto decide di partire emigrato, il suo castello di carte si affloscia nel pianto e ci vuole tutta l’interessata indulgenza del vecchio carabiniere, intanto consolatosi con una zitella in cui arde un più rispondente fuoco nascosto, per rimettere a posto le cose consentendole così di coronare il suo piccolo sogno d’amore. 

A seguito delle elezioni politiche del 25 settembre, annunciata dai prodigiosi sondaggi dei mesi precedenti, nel fatuo firmamento della politica italiana è apparsa una Smargiassa della cui luce marescialli e maresciallesse in servizio e in pensione nei tanti Comandi della ristretta ancorché effervescente vita pubblica italiana si stanno beando. Le arie non le mancano e neanche l’irruenza. Con la mano chiama e ferma gli applausi, scandisce pause teatrali con cui atterra gli avversari, meglio se avversarie, pareggia i fogli degli appunti picchiettandoli minacciosi sul tavolo, protende il busto in avanti e sguardo basso carica le parole scagliandole su chi ascolta, insomma tutte le astuzie sceniche delle fumose assemblee di sezione di un partito catacombale come il fu Movimento Sociale Italiano, quando ci si riuniva per fissare la linea, imporre i chiarimenti, vincere gli scontri da cui sortire dialetticamente più forti che pria. Professionismo politico, rivendicato e seriosamente esibito a salvaguardia di contenuti che la maggioranza degli elettori superstiti ha evidentemente apprezzato – non disturbare chi fa, la pacchia è finita, non tradiremo e non indietreggeremo, ovvero vincere e vinceremo, e poco altro. Se nel film di Risi il vecchio ma piacente maresciallo dei carabinieri in pensione aveva dovuto imbastire un piccolo corteggiamento della Smargiassa pescivendola, qui non ce ne è stato bisogno. Nel suo contenuto capitalistico, la promessa di non disturbare chi fa, chi intraprende insomma e spilla plusvalore come che sia, era già chiara, e l’alleato americano è stato subito rassicurato sulla fedeltà ai patti sottoscritti. E, del resto, perché meravigliarsi di ciò? La fiamma che arde in fondo al logo del partito di maggioranza relativa si riferisce più alla fedeltà atlantica forgiata in decenni di multiformi e non sempre limpidi servizi resi all’anticomunismo militante cuore pulsante dell’atlantismo, che alla fede nel fascismo storico, ormai retaggio folkloristico buono per i musei privati di qualche esponente di quel mondo assurto recentemente ad una delle massime cariche dello Stato. È però al momento della presa di possesso dell’appartamento che qualcosa si è incagliata in questa perfetta messa in scena in cui la servitù viene ammessa alla tavola dei signori. È bastato infatti che l’ex-magistrato Scarpinato, ora senatore, richiamasse in Parlamento quei trascorsi opachi, per giunta evidenziando il loro contenuto capitalistico, il nesso cioè tra l’atlantismo anche nei suoi aspetti criminali e l’eversione politica del dettato economico della Costituzione che il governo appena insediatosi si propone di perpetuare, perché le molte arie, l’irruenza, la sicumera del professionismo politico smargiasso si sgonfiassero di colpo, tanto da dover incorrere con modi spicci (“questo è tutto ciò che ho da dire”) nell’inesattezza e addirittura nel falso. All’ex-magistrato Scarpinato infatti, pareggiando fogli e scagliando parole a sguardo basso, è stato velatamente rimproverato un “teorema giudiziario” circa la strage in cui perse la vita Paolo Borsellino, che egli invece quale Procuratore generale contribuì a smascherare. Come sappiamo, la pescivendola smargiassa finisce in lacrime vittima dei suoi stessi intrighi, e ci vuole l’indulgenza del vecchio carabiniere per rimettere assieme i cocci del suo rapporto con il moroso sul punto di lasciarla. L’alleato americano è vecchio ma francamente è difficile immaginarlo indulgente e ancor meno appagato da un semplice per quanto ammaliante Mambo italiano. Quel che gli si promette lo vuole senza sconti. Più facile, perciò, è che si arrivi a una resa dei conti alla Sergio Leone con gli smargiassi che da decenni gli si strusciano per scroccare uno straccio di contratto d’affitto che, dopo i disastri del Ventennio e il purgatorio dei bassi servizi, li riporti al comando assoluto benché “democratico” della… Nazione. E che Dio protegga il paese Italia.

Il conservatorismo di Giorgia Meloni

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Capita di leggere un libro quando ancora i problemi che vuole agitare non si sono surriscaldati e si pensa che non si surriscalderanno. È il caso per chi scrive del libro di Giorgia Meloni, Io sono Giorgia, pubblicato da Rizzoli nel 2021, in cui l’autrice racconta la sua vita ma espone anche le sue idee. Ecco con riferimento a quest’ultimo punto gli appunti e le impressioni di lettura che chi scrive all’epoca annotò a margine di pagina:

– rivendicazione del sincretismo culturale in nome della libertà “anti-ideologica” e di un sapere posseduto spontaneamente dall’individuo che deve essere solo “chiarito” dalla cultura (198)

– rivendicazione di un aristocraticismo cognitivo e morale (“tutti gli uomini di valore sono fratelli”) (196). Gramsci, che pure è reclamato dal sincretismo della Meloni e sodali, sosteneva invece che “tutti gli uomini sono filosofi”. Una bella differenza!

– caricatura e falsificazione della sinistra additata sommariamente come marxista-uniformante, liberal-globalista, utopista-egualitaria (195)

– richiamo enfatico al principio di realtà come tratto tipico della destra che però con tipico salto sofistico diventa principio della tradizione, con tanto di richiamo alle “radici che non gelano” magnificate dall’immancabile Tolkien (194, 200)

– destra non materialista ma “divina” che difende, conserva e prega, anche qui benedetta sincreticamente da Pier Paolo Pasolini descritto come un “irregolare” al quale chi possiede il sapere spontaneo “anti-ideologico” si può liberamente richiamare (200)

– anti-utopismo (202), ovvero realtà = quella esistente ma che non si nomina, cioè il capitalismo

– progressismo, mondialismo, globalismo, islamismo, comunismo, un unicum indistinto di nemici della persona (194. 202)

– Black Lives Matters = la disprezzata cancel culture (203) ovvero disconoscimento della questione razziale

– contro il genderismo, esaltazione della persona, della famiglia, della patria ovvero facendo leva sugli eccessi disconoscimento di tutte le questioni che ciascuna di queste realtà pone tramite una contro-retorica della potenza, della bellezza, del libero arbitrio e del fascino della tradizione “classica” (203)

– in generale, disconoscere tutte le questioni aperte della crisi dell’Occidente evocate con l’apparente profondità del professionismo politico tramite un sincretismo che vuole rimettere in circolazione l’irrazionalismo del pensiero europeo reazionario soprattutto nelle sue ultime e più popolari propaggini (insistenza molesta su Tolkien). Ma questo non avviene a partire da una base di conservatorismo liberale “classico”, per quanto verbalmente rivendicato, bensì da una posizione politica non solo di fascismo storico ben dissimulato ma anche di neofascismo su cui si tace se non per rimarcarne vittimisticamente una presunta marginalizzazione (la “fiamma” non è solo il simbolo di una “radice che non gela” ma anche l’insegna di un movimento politico attivo dal dopoguerra in poi con un ruolo essenziale benché subalterno nell’anticomunismo dell’epoca)

– risalire all’indietro per divincolarsi dall’esito storico fascista e nazista in cui la tradizione reazionaria borghese precipitò tra le due guerre, in modo da poter riscattare quell’esito minimizzato ma al quale nascostamente ci si richiama perché rappresenta il momento in cui tale tradizione divenne universale (“totalitaria”) e costituisce quindi nelle sue “radici non gelate” un modello ideale con cui nobilitare il “grigiore” del “servizio” reso dal neofascismo in nome dell’anticomunismo alle forze che subentrandovi sconfissero il fascismo storico, ovvero l’americanismo e l’atlantismo

– il conservatorismo rivendicato da Meloni e sodali, un’ideologia di sconfitti che anelano alla rivincita assoggettandosi ai vincitori ai quali, presentendone l’attuale debolezza, vorrebbero finalmente subentrare pensando di poter riaffermare valori che, per quanto stentoreamente declamati (“donna, madre, italiana”), sono intimamente negati dalla “civiltà” al cui comando aspirano.

Basta non disturbare

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Parlando alla Coldiretti, la sezione agraria di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni ha affermato che «lo Stato non deve disturbare chi vuole produrre ricchezza»1. Il fine concetto era in sé già chiaro, ma a rincalzo è intervenuto sul Corriere il giurista Francesco Saverio Marini spiegando che il presidenzialismo è la ricetta giusta per porre fine all’instabilità dei governi che «sfavorisce il Paese dal punto di vista economico»2. Marini è in linea, ma deve ripulire il suo lessico. Non si dice Paese ma Nazione. Come ha chiarito Giorgia, infatti, «la ricchezza in questa Nazione la fanno le aziende con i loro lavoratori»3. Meloni ha fatto bene a evocare i lavoratori. Essi, infatti, una volta appoggiavano l’Esperimento marxista, come lo chiama con notevole estro epistemologico monsignor Suetta, vescovo di Sanremo; ora invece lavorano per la Nazione, ovvero per l’umanesimo cristiano: «interpreto il successo del partito Fratelli d’Italia non come un voto di protesta ma come un risveglio capace di riscoprire i valori autentici su cui fondare la vita dell’uomo e la società»4. Valori autentici si attaglia bene con il concetto di ricchezza ma, Monsignore, bastava solo il singolare, valore, e tutti avremmo capito che Lei si riferiva a quella sostanza immateriale che i lavoratori secernono quando vanno in azienda in cambio di un salario. Lei, esimio Presule, giustamente rileva come ultimamente la sinistra ha trascurato questi operosi alveari e per questo «l’interrogativo si fa stringente: con quali contenuti possiamo colmare il vuoto spirituale, creatosi con il fallimento dell’Esperimento marxista?»5. Francamente, non lo sappiamo, ma è confortante constatare che Lei pensi che il fallimento dell’Esperimento marxista abbia a che fare con lo spirito. Converrà che il Cristianesimo da duemila anni si propone di riempire questo vuoto, ma ci riesce solo con la ricchezza della Nazione che sta tanto a cuore ai Fratelli d’Italia al punto da indurli a intimare l’alt, chi va là, al loro totem, lo Stato. Come vede, Monsignore, ci sono degli slittamenti concettuali non da poco, ma sicuramente Giorgia saprà porvi rimedio. Basta non disturbare.

 

 

  1. https://www.agi.it/politica/news/2022-10-01/non-disturbare-chi-vuole-lavorare-produrre-ricchezza-prima-uscita-pubblica-meloni-18284652/ []
  2. «Alla Carta serve una revisione. La sovranità dello Stato deve essere un principio supremo» Il giurista Marini: bene il presidenzialismo se con correttivi, «Corriere della sera», 3 ottobre 2022, p. 9 []
  3. https://www.agi.it/politica/news/2022-10-01/non-disturbare-chi-vuole-lavorare-produrre-ricchezza-prima-uscita-pubblica-meloni-18284652/ []
  4. Con Giorgia ha vinto l’umanesimo cristiano, «Libero», 3 ottobre 2022, p. 4 []
  5. Ibidem []

L’obbligo dell’inattualità

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In questo sito non vige l’obbligo dell’attualità, anzi, ma un commento immediato ancorché brevissimo si impone sulla vittoria di Fratelli d’Italia, scontata ma non certo riducibile all’ordinario tran-tran elettorale della scassata democrazia parlamentare italica. Cosa sono quelli di Fratelli d’Italia, fascisti, neofascisti, postfascisti? E quanti, e per quali motivi, si sono uniti a loro senza essere fascisti, neofascisti o postfascisti? Comunque sia, li vedremo presto all’opera e troveremo un termine adatto per le loro gesta. Ma qui e ora vogliamo occuparci della sinistra. Come se nulla fosse, si continua a parlare di cambio di segreteria del PD, di prossimo congresso, di candidati che si propongono, ma per fare che? È tutta la sinistra ridotta negli ultimi decenni alla vacua opposizione tra sinistra riformista e sinistra radicale che va sbaraccata. Il PD è un tappo che va subito rimosso e, alla luce del miserrimo risultato di Unione popolare e dell’inutile diritto di tribuna acquisito dai rimasugli dell’opportunismo vendoliano, la sinistra tutta va ricreata su una chiara pregiudiziale anticapitalistica. E del resto questo è l’unico modo per smascherare la falsa sinistra delle mance e mancette messa su dagli insulsi politicanti del M5S. Non è più tempo di congressi di bonzi che gestiscono potere per conto del “gruppetto” capitalistico che succhia plusvalore. Il riformismo ha fallito, passi la mano alla sinistra rivoluzionaria. Per mancanza di materia prima – dove sono infatti i quadri politici e intellettuali immediatamente operativi di questa sinistra rivoluzionaria? – non sarà affatto facile concretizzare questa alternanza, ma è l’unica che rispetta la storia della sinistra e che le può assicurare una prospettiva futura. Una prospettiva di cui – a questo ci si è ridotti, a farselo spiegare dal Papa gesuita venuto dalla fine del mondo – ha bisogno l’intera società.

Appunti pre-elettorali

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La campagna elettorale in corso si intreccia con temi che richiedono di allungare il cannocchiale della teoria, vedi il price cap del gas proposto già mesi fa dall’astuto Draghi su cui ora l’UE si sta dilaniando e le cui implicazioni evidenziano ancora una volta gli equivoci di certo ecologismo progressista. Ma è segnata anche da squillanti sondaggi che continuamente segnalano l’arrivo della piena elettorale di Giorgia Meloni. Nel polverone si intravede anche la sagoma ben nota del paese italico con i suoi opportunismi e la sua essenza capitalistica forgiata nei decenni passati e che ora fornisce la base per nuove mistificazioni. Cimentiamoci dunque in questa messa a fuoco con le poche note schematiche che seguono:

1) come insegnano i classici, il capitalismo si compone di rendita, profitti e salari. Con rendita essi intendono la rendita agraria, ma anche aria, acqua, miniere. Quindi, quello che oggi è comunemente chiamato “settore energetico”, carbone, petrolio, gas, è in realtà la rendita nella sua forma odierna di cui con la “tecnologia verde” fanno parte anche il vento, il sole e il mare;

2) la rendita non è solo estensiva (quantità o estensione di elemento sfruttato) e intensiva (tempo di lavoro e capitale investiti in un determinato elemento) ma soprattutto differenziale. Essa infatti sotto l’impulso della maggiore produzione (plusvalore) e riproduzione (incremento demografico) generate dallo sfruttamento degli elementi migra continuamente dall’elemento iniziale “migliore” all’elemento via via “peggiore”, in cui cioè la resa produttiva richiede sempre maggiore investimento di lavoro e capitale. L’esempio classico è quello del terreno vergine fertile e ben disposto, “recintato” da chi ha avuto forza e opportunità di farlo, contrapposto a quello pietroso e scosceso di chi ha dovuto acconciarsi. Se ad esempio si coltiva il grano, il suo valore si forma con riferimento a quello coltivato nel terreno peggiore poiché maggiore è la quantità di lavoro impiegata per produrlo. Come nota Ricardo, il grano non è caro perché si paga una rendita ma si paga una rendita perché il grano è caro1. Nel moderno “settore energetico” il prezzo di riferimento è quello del gas. Indipendentemente da come è prodotto – ed è prodotto materialmente estraendolo dalle viscere della terra, economicamente attraverso strumenti di speculazione finanziaria: rendita + rendita! – si può dire che il gas svolge la funzione di “terreno peggiore”;

3) il progressismo ecologico sembra non capire che la produzione energetica verde non è altro che una nuova forma di rendita che come tutte le rendite gradualmente genera una rendita differenziale. Se oggi per non deturpare il panorama si mettono le pale eoliche a venti kilometri dalla costa, la maggiore domanda di energia derivante dallo “sviluppo” indotto dallo sfruttamento del vento o di consimili elementi imporrà di metterne di nuove a venticinque e poi a trenta kilometri, in un crescendo di rendite differenziali eoliche, solari, geotermiche e quant’altro. Di per sé la “tecnologia verde” non assicura affatto il passaggio diretto “all’uguaglianza alla democrazia e alla pace”, come i progressisti ecologici, con una sintomatica convergenza con i capitalisti “verdi”, invece credono, pensando di poter fare a meno della fatica delle lotte sociali con cui si modificano i rapporti di produzione;

4) il price cap del petrolio e del gas che Mario Draghi da mesi sta cercando di imporre all’Unione Europea è capitalisticamente la mossa giusta. Il problema però è che Draghi, almeno nella sua proposta originaria, intende realizzare il price cap non coalizzando in generale i compratori contro i venditori bensì gli europei contro Putin. Esce dunque fuori dal terreno delle leggi economiche capitalistiche e muove guerra alla Russia con i cannoni dell’economia. Questa natura anfibia dell’idea dell’ex governatore della BCE non meraviglia. Infatti, durante il suo mandato di governatore, ma ancor più quale Presidente del consiglio, egli si è rivelato come l’alfiere più convinto della concezione secondo la quale la BCE, quale metafora bancaria dell’antica potenza militare europea che per ben note ragioni storiche non può essere più perseguita con gli eserciti, deve fare dell’Europa l’armata bancaria dell’Occidente, coordinata con l’armata reale ma anche economica e finanziaria degli Stati Uniti. Un gigantesco esercito  la cui ideologia è l’atlantismo e di cui lui si ritiene ed è considerato dai circoli di potere euro-americani fra i più eminenti strateghi

5) di questo esercito che non ammette indisciplina, l’Italia fa parte quale paese capitalistico che vive comprimendo il mercato interno (salari) per realizzare nel mercato estero il plusvalore (profitti) in catene produttive splendidamente subalterne, dalla meccanica di precisione alla moda al mobilio di design ai cavallini rampanti agli yacht per i magnati dell’Est e dell’Ovest. Recentemente, uno di questi campioni dell’Italia esportadora ha dichiarato che le elezioni del 25 settembre sono «irrilevanti nel contesto mondiale». Infatti, le imprese sono «lontanissime dalle tematiche elettorali italiane e vicinissime a quelle della vita reale dei dipendenti: l’inflazione, il costo delle materie prime». E ha concluso: «siamo controllati da Bruxelles. È come avere il due di spade quando la briscola è denari. Mi interessano di più le elezioni di midterm americane, mi interessa vedere cosa fanno i tedeschi»2. Ecco, capitalisticamente parlando l’Italia è un paese senza patria e senza nazione che i Fratelli d’Italia si propongono di rendere alla patria e alla nazione. Lodevole intento. Non è la prima volta che i fascisti tentano di raddrizzare il legno storto italico. Patria e nazione furono le parole con cui chiusero il Parlamento, imprigionarono gli avversari, vararono il corporativismo e lastricarono il cammino verso il baratro della Seconda guerra mondiale. Ma rinfacciar loro questo passato remoto non serve a niente, perché attuale è invece il loro passato prossimo su cui stanno costruendo il loro futuro. Essi sono infatti gli eredi orgogliosi dei neofascisti del Movimento Sociale Italiano, verniciatura legalitaria di un pulviscolo di soggetti e movimenti in feroce ancorché cameratesca competizione fra loro che nei decenni della “guerra fredda” assicurarono i bassi servizi della “strategia della tensione” di cui sotto le ali dell’atlantismo si nutrì la “lotta per la libertà”;

6) paradossalmente, la sovranità nazionale dell’Italia è oggi molto più limitata che ai tempi della “guerra fredda”. L’antifascismo storico non ha più mordente e quello nuovo non può essere professato perché richiederebbe il disvelamento dei misfatti dell’atlantismo che invece controlla tutti i meccanismi del “dicibile” e del “credibile”, dagli archivi al discorso dominante dei media. Fra gli applausi degli apparati i reggicoda di un tempo vengono così elevati al livello di coloro che di essi si servirono per edificare il potere di cui oggi ancora godono. Da Portella della Ginestra a Piazza Fontana all’Italicus alla Stazione di Bologna, è la grande pacificazione a spese della verità storica e della giustizia per chi ci ha lasciato la pelle. Al di là delle combinazioni parlamentari e dei ruoli di governo, questo è il fondamento indicibile della vera maggioranza politica che già in questi mesi ha fatto le sue prove e che si prospetta per il dopo voto, ovvero l’accoppiata Partito Democratico-Fratelli d’Italia, il primo garante del passato e del presente, i secondi del futuro.

7) Ma le incognite non mancano. Quanto reggerà il produttivismo italico, che Salvini stenta sempre più a rappresentare, nella parte di gregge da tosare per mantenere i sogni di gloria di un’élite politica “democratica” oggi, “conservatrice” domani, padrona in patria per mandato estero? Quanto reggerà l’atlantismo i cui tempi del consenso facile sembrano finiti e che oggi si impone più come dominio che come egemonia? Sulla spinta di quel mondo economico scontento e della debolezza dei vecchi circoli euro-americani non saranno gli stessi Fratelli d’Italia tentati di “sovranizzare la nazione” chiudendo il cerchio dell’onore perduto con la sconfitta in guerra del fascismo storico? Sarà l’inizio di un nuovo, lungo dominio in un mondo tempestoso in cui ciascuno si rinchiude nel suo “mondo a parte”, oppure si tratterà del passo falso che facendo crollare il vecchio mondo, oggi disposto pur di sopravvivere ad ammettere i servi nelle stanze buone, ne mostrerà la falsità e renderà dicibile e credibile ciò che oggi appare solo fantasiosa congettura “complottarda”? Ah, se in tutto questo la sinistra, i cui frantumi si propongono in queste elezioni la titanica meta del diritto di tribuna, si risvegliasse…

 

  1. D. Ricardo, Principi di economia politica e dell’imposta (1817), trad. it. UTET, Torino 1986, p. 229. []
  2. Boom di ordini estivi: la crisi non ferma i super yacht di Ferretti, «Il Giornale», 7 settembre 2022, p. 17. []