La falsa alternativa tra democrazia e autoritarismo che Nancy Pelosi, la Signora Confetto della politica americana, è andata a testimoniare recentemente a Taiwan nasconde a mala pena la realtà del confronto di forza tra i tre titani, gli Usa, la Russia e la Cina, che caratterizza questo scorcio iniziale di secolo. Ognuno di essi scaglia sull’altro la propria debolezza, sperando che collassi. Russia e Cina sperano che le profonde crepe apertesi con l’assalto al Campidoglio di due anni fa portino al crollo dell’intero edificio degli Stati Uniti. Riemergerebbero così gli antichi contrafforti del Nord “industriale” e del Sud “agrario” e il venir meno della secolare dittatura del Nord sull’intera nazione nordamericana in un sol colpo polverizzerebbe la federazione, il capitalismo e il ruolo imperiale degli Stati Uniti. Il pensiero strategico americano non se ne dà per inteso, anzi è convinto di avere molto filo da tessere e così, ora con le guerre delegate ora con le visite leziose, preme su Russia e Cina sperando che a loro volta collassino frantumandosi in molte Russie e in molte Cine. La fine dunque di questi Stati imperiali, paragonabile a quella degli Imperi Centrali che in Europa crollarono un secolo fa con la Grande Guerra. Se è una prospettiva realistica o un’allucinazione che scambia il caos che ne deriverebbe con il trionfo finale della democrazia, purtroppo lo si vedrà solo a cose fatte. La storia mostra che una simile allucinazione, l’internazionalismo democratico alla Woodrow Wilson, accompagnò la fine dell’Europa. Non è da escludere che questa dei costruttori di Stati di diritto che avanzano sotto le bandiere della Nato possa segnare la fine tante volte paventata dell’Occidente. La fine dell’Europa sette-ottocentesca mise di fronte all’alternativa tra l’irrazionalismo di tutti i demoni che nella sua lunga storia il capitalismo aveva ingabbiato nella razionalità strumentale della merce e la “ragione universale” che il socialismo prometteva con l’autodeterminazione dei popoli, la pace senza condizioni e l’instaurazione di una base economica sganciata dal plusvalore. Un’alternativa simile si ripropone oggi con la differenza che il socialismo non è in ascesa ma vive una profonda crisi come si può vedere dallo stato in cui versa nei vari settori dello scacchiere internazionale. In Occidente, il socialismo è un socialismo frantumato, dissimulato, rinnegato che non riesce più a prevalere in una sinistra schiacciata dalla sua subalternità “riformistica” al sistema capitalistico giudicato come l’unico possibile. Il superamento di questa subalternità non può certo avvenire con le sortite elettoralistiche o con il potere morbido della “cultura” ma tornando anche con una certa semplicità scolastica ai fondamenti teorici rivoluzionari il cui cardine è la lotta per l’instaurazione della “dittatura proletaria”. Di questa locuzione, se è difficile oggi definire il significato dell’aggettivo, più semplice è fissare quello del sostantivo, cioè la volontà di contrastare e ribaltare il dominio arbitrario che il capitale esercita nella struttura economica e che difende nella sovrastruttura politica non più e non solo con i tradizionali meccanismi parlamentari ma soprattutto con il pretesto della “difesa della democrazia” da un perenne “pericolo di destra” in nome del quale si santifica il “centro moderato”. Il risultato paradossale di questo inganno ideologico è che lo sbandierato “pericolo di destra” si fa sempre più concreto, anzitutto perché le sue istanze fatte proprie dal cosiddetto “centro moderato” nel miope tentativo di depotenziarle hanno minato nel corso del tempo la democrazia, e poi perché la destra con la sua attitudine autoritaria ereditata dalle dittature novecentesche appare più adatta della democrazia in crisi tanto a preservare il dominio del capitalismo nella struttura economica quanto a restaurare la sua aura “irrazionale” da cui promanano i suoi spiriti animali. Di qui la “democrazia illiberale”, come vengono pudicamente chiamati i nuovi fascismi contro cui si invoca il tradizionale “fronte antifascista” in anni recenti per altro ripudiato dallo stesso capitalismo, vedi il famoso documento della Morgan Stanley del 2013 in cui le Costituzioni antifasciste adottate nel dopoguerra da paesi come la Grecia, l’Italia o il Portogallo venivano additate come un ostacolo alle “riforme” volte all’integrazione liberistica. Insomma, con tutto il rispetto per coloro che vi si impegnano, il fronte unico antifascista appare sempre più come un’arma spuntata e il socialismo, proprio per salvare la democrazia come regime in cui meglio si può costruire la “ragione universale”, deve battersi per instaurare la sua dittatura nella struttura economica come condizione essenziale per bloccare il ritorno di quell’“irrazionalismo” che costituisce lo strato profondo della “forma di vita” capitalistica. Il socialismo vive se è intransigente. Su questa linea riuscirà esso a superare l’attuale dispersione? Lasciamo con un certo pessimismo aperto questo interrogativo e dal socialismo frantumato occidentale passiamo al socialismo negato di tutte le Russie. Nel loro purismo rivoluzionario, Trotsky e Bordiga ciascuno alla sua maniera si rifiutavano di ammettere che il pugno di ferro dei piani quinquennali era l’unico modo di contenere le prorompenti forze produttive che in Russia, già prima della Rivoluzione d’Ottobre, avevano cominciato a rullare. La rivoluzione non fu contro Il Capitale ma per “disciplinare” il capitale. Il “capitalismo di Stato” che ne sortì, ampiamente previsto dagli ideologi liberali, da Pareto a Weber, era l’inevitabile equilibrio “provvisorio” della dittatura proletaria, a patto che il partito unico fosse in grado di tenere vivo il nesso di politica, organizzazione e rivoluzione. Purtroppo la “volontà rivoluzionaria” dell’élite sovietica si degradò presto in generica “volontà di potenza”, ciò che Gramsci colse nella sua famosa lettera al PCUS del 1926, e l’organizzazione di conseguenza si trasformò in “burocrazia” per cristallizzarsi infine in quel “capitalismo oligarchico” con cui Putin intende unificare la “nazione slava”, riportando in vita a tal fine tutto il ciarpame oscurantista, dall’Ortodossia all’eurasismo, che il potere sovietico aveva combattuto solo “illuministicamente”. Per non soccombere nei rapporti di forza con l’americanismo atlantista Putin ha bisogno però di connettersi con altri quadranti in cui sopravvivono spezzoni imponenti di socialismo, in primo luogo con il socialismo ibernato della Cina. La Cina ha potuto mantenere la “forma” politica della dittatura proletaria perché ha salvaguardato il partito unico, la cui esistenza è però legittimata non dalla “volontà rivoluzionaria”, anche qui evaporata con le riforme di Deng, bensì dallo sviluppo nazionale delle forze produttive. Da strumento, il partito è diventato così feticcio che presiede alla creazione e redistribuzione della ricchezza. A pensarci bene, la Cina è il campione più riuscito del policentrismo auspicato da Togliatti nel suo Memoriale di Yalta, ma per assicurare la “connessione sentimentale” tra l’idea generale e le “particolarità” storiche le vie nazionali al socialismo avrebbero avuto bisogno di un “ambiente esterno” rivoluzionario, in assenza del quale sono sfociate o nell’ibernazione dell’idea come in Cina o nella sua liquidazione come nell’URSS e nei grandi partiti comunisti dell’Europa occidentale. È vero che l’attuale dirigenza cinese, ribaltando in nome di Mao l’ultima scelta politica di Mao, ovvero l’avvicinamento cinquant’anni fa agli Stati Uniti per opporsi all’incipiente deriva “russa” dell’allora Unione Sovietica, cerca di creare un tale “ambiente esterno”. Si tratta però di una prospettiva socialista esile e ambigua, affidata com’è ai meccanismi economici e alle iniziative politico-diplomatiche volte a neutralizzare l’antagonismo degli Stati liberal-capitalistici ma per nulla interessata a suscitare o a collegarsi a movimenti anche solo lontanamente paragonabili a quelli cui Mao ricorreva nelle sue sortite anti-burocratiche. Come il socialismo negato, anche il socialismo ibernato sopravvive così come “autocrazia”, uno stigma con cui l’Occidente liquida il fantasma inquietante del “capitalismo autoritario” che abbiamo già incontrato nella veste di “democrazia illiberale”. Ma se democrazia e capitalismo non sono consustanziali e se tanto all’Est quanto all’Ovest il capitalismo si rinserra nella corazza dell’autoritarismo, l’Occidente che tanto tiene alla democrazia perché non prova a costruirne una che non sia capitalistica? Sarebbe questa la vera risposta tanto all’autocrazia quanto alla democrazia illiberale che evidentemente non può essere data perché implicherebbe la ripresa del socialismo che l’Occidente, sotto il tallone di ferro della dittatura capitalistica nella struttura, non può perseguire. Il socialismo disperso, negato, ibernato che abbiamo rinvenuto in Occidente, in Russia e in Cina è dunque il sintomo di qualcosa che urge ma a cui, a causa dell’arbitrio che il capitalismo esercita nella struttura e difende “irrazionalmente” nella sovrastruttura, è impedito di nascere. Non tutto però soggiace a questo “blocco ontologico” in cui a rischio delle sorti del mondo si dibattono i tre titani alle prese con le loro rispettive contraddizioni. A tale blocco, per esempio, si sottrae almeno in parte il socialismo intermittente dell’America latina. Dal Cile al Brasile, dalla Bolivia all’Uruguay, sino all’Argentina peronista, il socialismo latino-americano che arrivi o meno al governo si affida per affermarsi prevalentemente al sistema rappresentativo, esponendosi così a inevitabili rovesci in un continente in cui forze capitalistiche brutali, spalleggiate quando non al soldo degli Stati Uniti, non esitano a buttare la maschera ogni qual volta il gioco parlamentare rischia di sfuggire loro di mano. Da Pinochet a Bolsonaro, fascismi più o meno feroci fioriscono così periodicamente. A parte il caso controverso del Nicaragua, a questo andirivieni si sottraggono Cuba e Venezuela, e se a Cuba con le sue inevitabili distorsioni domina la tradizionale forma del partito unico, in Venezuela dall’intreccio di “missioni sociali” e di “costituzionalismo egemonico” è sorta una sovrastruttura politica flessibile al punto da poter assorbire le scosse eversive di un aggressivo pluripartitismo. Dunque, benché intermittente il socialismo latino-americano appare tenace e innovativo, anche se sempre esposto alle mattane del “pazzo” nordamericano, ora pronto a colpire in nome di principi che esso per primo viola, ora in cerca di scambi imposti da sue impellenti necessità, come si è visto con il Venezuela prima additato come novello regno del male, poi blandito per il suo prezioso petrolio. Di questa spudorata arroganza, sicuramente colonialista e velatamente razzista, ancora di più paga lo scotto il socialismo sanguinante dell’Africa, del Medio e dell’Estremo Oriente. Qui i movimenti, i gruppi dirigenti e i capi sono stati di volta in volta dati in pasto a élite locali compiacenti, poi travolti e annientati. Il caso dell’Indonesia di Sukarno, accuratamente ricostruito da Vincent Bevins nel suo Il metodo Giakarta, è emblematico: se il leader è sopravvissuto mummificato, i movimenti sono stati spietatamente repressi e il capitalismo in questo come in tanti altri casi analoghi ha potuto guadagnare ciò a cui maggiormente tiene, ovvero il tempo. Siamo così giunti al punto dirimente. Al capitalismo nessuno ha promesso l’immortalità, perciò un palliativo che promette di durare cento, cinquanta, anche solo trent’anni equivale all’eternità. Esso vive immerso nel divenire di cui per riprodursi accresciuto succhia ogni istante. Ma istante per istante esso emerge dal divenire sempre identico a sé stesso. Tutti i modi di produzione sono confluiti in esso ed esso li ha aboliti assorbendoli nel suo eterno presente. La storia che ne deriva è la non-storia di un divenire asservito a una falsa eternità universale. È qui che interviene lo scarto del socialismo. Opponendosi alla dittatura del capitalismo nella struttura esso ripristina il tempo storico e le tendenze a esso immanenti. Il capitalismo che con la sua cornucopia di tecnologia, democrazia politica, pluralismo sociale e disponibilità di beni si proponeva come il compimento di tutte le ere, viene smascherato come un usurpatore e un falso profeta. Senza farsi intimorire dall’accusa di messianesimo che cinici, agnostici e razionalisti della domenica son sempre pronti a muovere, la prospettiva aperta da tale smascheramento può essere colta facendo ricorso alla formulazione meta-politica della profezia trinitaria, in cui il Padre onnipotente della Bibbia rappresenta l’era del potere assoluto; il Figlio misericordioso del Vangelo rappresenta l’era dell’amore per il prossimo ma anche della sua negazione; lo Spirito Santo, la terza era che verrà, riscatta e amplia questa dimensione nella pienezza della grazia. Spogliata della sua veste teologica, l’era della pienezza della grazia può essere vista come quella della fusione dello spazio e del tempo in un’unica totalità. La relatività del reale che ne deriva intensifica il processo produttivo al punto da non doversi più alimentare del lavoro come quantità sociale astratta ma di poter servire come base per la realizzazione onnilaterale dell’essenza umana. Di questa terza era in cui il soggetto è l’insieme di tutti i possibili punti di vista il socialismo è l’operatore perché esso non la riceve passivamente dal piano divino ma la trae attivamente dalla sua lotta per l’abolizione del dominio in tutte le sue forme, della natura sull’uomo, di Dio sull’uomo, dell’uomo sull’uomo. E lo scopo che il socialismo raggiunge con tale lotta è di infondere la totalità dello spazio-tempo nella vita quotidiana della specie elevandola così a genere umano. Il socialismo disperso, negato, ibernato, intermittente, sanguinante che abbiamo rinvenuto nei differenti quadranti internazionali, unificandosi in questa missione universale è oggi ancora una volta l’alternativa alla barbarie cui il “blocco ontologico” del capitalismo condanna l’umanità.
Politica
Abortire
L’abolizione del diritto costituzionale all’aborto da parte della Corte Suprema degli Stati Uniti ha fra i suoi effetti immediati l’allineamento tra cristiani conservatori occidentali e cristiani ortodossi orientali di rito russo in guerra contro la “democrazia” ucraina dell’utero in affitto. Una convergenza imbarazzante che, per i conflitti religiosi del passato e soprattutto per le attuali divisioni politiche, non può trasformarsi in alleanza organica di cui pure il cristianesimo potrebbe valersi nel confronto con le tendenze morali in atto. D’altra parte, se la morale libertina dell’aborto, dell’eutanasia, della procreazione mercificata, dell’omosessualità rivendicata e della fluidità di genere viene rintuzzata nella sua pretesa di elevarsi a morale di Stato, lo sfondo morale dello Stato torna a essere non già la morale laica della “decenza borghese” bensì quella repressiva del tradizionalismo retrivo. Ne consegue che le questioni morali dei singoli individui non verranno trattate nella loro unicità e concretezza, cui pure la morale borghese tendeva con le sue leggi prudenti o ipocrite che fossero, come la 194 italiana sull’interruzione di gravidanza, ma secondo la figura astratta del Dovere in contrapposizione a quella altrettanto astratta dei Diritti negli ultimi decenni giuridicamente prevalente. Questo conflitto tra proibizionismo e permissivismo è destinato a durare sino a quando non sarà possibile basare la morale sulla “particolarità universale”, intesa come giusto mezzo relativo a situazioni e soggetti la cui unicità arricchisce di volta in volta la norma generale collettiva. Questa etica mai conclusa e sempre in itinere, non casuistica ma concretamente universale, potrà affermarsi nella quotidianità se finalmente i bisogni della riproduzione saranno in equilibrio con le esigenze produttive. Sinora lo sviluppo delle forze produttive ha sbilanciato i fattori della riproduzione, trasformando le popolazioni in aggregati in cui, raggiunta la soglia emergente dell’autovalorizzazione infinita, il nascere e il morire, il piacere e il dolore, la mascolinità e la femminilità, sotto la scorza di una falsa socialità diventano pulsioni in conflitto tra di loro. Si può invocare il diritto all’aborto come rimedio per la minaccia di stupro che nei rapporti quotidiani incombe sulle donne? O l’aborto, nonostante il perfezionamento delle tecniche contraccettive, è comunque l’effetto distorto dello stravolgimento del piacere negato da tutto l’assetto dell’esistenza sociale? Si potrebbe continuare a lungo con domande del genere cui la morale corrente risponde oscillando periodicamente tra proibizionismo e permissivismo. Certamente, proibizionismo e permissivismo, momento apollineo e momento dionisiaco, razionalismo e irrazionalismo, sono ognuna nel suo ambito opposizioni che, a paragone di quelle espresse da altre civiltà, hanno consentito nel loro storico alternarsi il più elevato grado di sviluppo delle forze produttive. Ma il costo di tale “disforia sociale” che nessuna “formazione di compromesso”, com’è stato il cristianesimo delle origini, riesce più a compensare, pone all’ordine del giorno l’affrancamento della struttura da tali opposizioni. La trasvalutazione dei valori annunciata a gran voce da equivoci profeti non può che essere la trasvalutazione collettiva del valore di scambio: all’automatismo dell’autovalorizzazione infinita (merge) deve subentrare il controllo sovrastrutturale dei suoi prodotti (Bildung). Il delitto di aborto è quello commesso contro la specie da chi impedisce di portare a termine la nascita della nuova socialità che da tale sostituzione deve derivare.
Abbaiare
Con sprezzo del ridicolo si continua a definire “maggioranza di governo” il raggruppamento di partiti che formalmente sorregge l’esecutivo Draghi, mentre quelli di Fratelli d’Italia sarebbero l’opposizione. Di fronte a questi giochini parlamentari, appare più verosimile il miracolo del pane e del vino che diventano, non solo nella sublime credenza religiosa ma anche nell’effettiva realtà fisico-chimica, corpo e sangue di Cristo. In realtà, la “maggioranza di governo” è un carcere dove restringere le forze politiche che volentieri si sottrarrebbero ai vincoli di una passata stagione storica, ma siccome sono forze politiche deboli, deboli nel riferimento sociale, nell’elaborazione programmatica, negli ideali, si sono fatte facilmente catturare da chi ancora controlla gli apparati, e tentano sortite velleitarie, come il patetico progetto di viaggio a Mosca di Matteo Salvini, o le volenterose minacce a vuoto di far cadere il governo da parte di Giuseppe Conte, incapace sinora di cacciare dal suo partito quell’autentica quinta colonna nemica che è il giovin notabile Luigi Di Maio. La vera maggioranza di governo risulta essere invece l’accoppiata Partito Democratico-Fratelli d’Italia che tiene dritta la barra sulle alleanze storiche che – bellezza dei nomi! – ai “democratici” assicurano il governo di oggi, ai “conservatori-europei” quello di domani. Non bisogna farsi impressionare dagli ululati “laici di sinistra” che si levano alle sparate “integraliste di estrema destra” di Giorgia Meloni, che parli il romanesco o lo spagnolo. I Fratelli d’Italia hanno imbroccato la corrente giusta e adesso intendono passare all’incasso politico a ricompensa, nelle molteplici metamorfosi di cui sono stati protagonisti, dei tanti decenni di servizi più o meno bassi resi all’atlantismo. A Giorgia Meloni si rimprovera il vecchio legame ideologico con il fascismo storico e la più recente ripulsa del laicismo dei diritti e dell’accoglienza. Sono tutte fronde per non affrontare la sostanza, ovvero il legame tra il neofascismo e l’atlantismo. Se Giorgia Meloni andrà all’esecutivo, sapremo che un certo mondo è stato elevato al rango di coloro da cui quel mondo riceveva impulsi e suggestioni. I comitati di vittime delle stragi che da anni cercano le verità storiche potranno definitivamente sciogliersi e la pacificazione invocata, parlando d’altro, da un improvvido Presidente della Camera sarà cosa fatta. Ma anche i piani più perfetti hanno sempre qualche punto debole. C’è tutto un mondo economico riassunto dalle mosse oligofreniche di un Salvini che non si rassegna a fare il gregge da tosare per mantenere i sogni di gloria di un’élite padrona in patria per mandato estero. E questo mondo, mentre a Kiev infuriando la guerra si svolgeva il summit dei capi dell’Unione Europea con il performer Zelensky, a San Pietroburgo dialogava con gli esponenti del capitalismo nazionale di Stato russo. Il contrasto tra Lega e Fratelli d’Italia non è solo elettorale o di leadership. La Lega è il corpo economico dell’Italia cui Salvini, che non è però un fenomeno, ha cercato di dare un cervello. Nel centro-destra, dunque, il contrasto è tra forze reali che spingono in direzioni opposte e la cui sintesi non è più a portata di mano come con il berlusconismo. I tempi del consenso facile per l’atlantismo sembrano finiti, ed esso ora dovrà imporsi più come dominio che come egemonia. Draghi è un assaggio e Meloni freme di completare l’opera. Quel mondo che Salvini stenta a rappresentare sino a che punto, spinto dai suoi interessi, si metterà di traverso? Oltre a produrre capitale sarà capace di proporre una visione del mondo adeguata ai tempi nuovi che la guerra in Ucraina lascia intuire tempestosi? Grande assente in tutto questo è la sinistra. La sua vitalità è sempre dipesa dall’antagonismo tra massimalismo e riformismo, che dava voce al lavoro nel suo conflitto con il capitale. Oggi la sinistra è tutta riformista e per questo non è in grado di dare nessun contributo all’Italia di domani. Perciò nell’immediato l’alternativa è tra la prigione occulta dell’attuale pseudo-maggioranza di governo e la soft-dittatura atlantista che i Fratelli d’Italia “abbaiano” sotto il portone di Palazzo Chigi. Coraggio!
Il cammino interrotto
Se sul finire degli anni Ottanta del secolo scorso Gorbaciov avesse sostenuto con la spada il suo “ritorno a Lenin” le cose sarebbero state più chiare, da un lato il comunismo internazionalista che aveva nello Stato sovietico il suo provvisorio strumento di lotta, dall’altro il risorgente nazionalismo europeo che, come sarebbe divenuto evidente negli anni, trovava alimento nel mitico modo di vita occidentale. Abbagliato dal miraggio di una astratta democrazia, timoroso di poter causare l’olocausto nucleare, sfiduciato circa le proprie stesse forze, egli preferì invece affidarsi agli equivoci e ai sottintesi del “dialogo”, lasciando di fatto alle generazioni avvenire l’onere di risolvere i nodi che ora fronti accanitamente contrapposti cercano di sciogliere in condizioni di oscurità ideologica. Questo errore storico non è parso vero all’America la quale, giocando sul doppio registro dell’UE e della NATO, ha potuto mettere un cuneo nella già malferma costruzione europea allo scopo ben conosciuto di dividere e imperare. E qui si impongono due riflessioni. La prima concerne appunto l’America il cui laico sistema politico puntato sulla felicità dell’individuo fluttua sul magma dei periodici “grandi risvegli” religiosi, a conferma della sua genesi settaria. Essa infatti sorge dallo spurgo delle sette che, non potendosi affermare integralisticamente in un’Europa proiettata verso la tolleranza illuministica, migrarono nel Nuovo Mondo inventando la “democrazia dei signori” come fede da imporre a tutto il mondo. L’altra riflessione riguarda l’Europa, il cui illuminismo certamente resta incompiuto almeno sino a quando la verità intellettuale non diventerà pienamente giudizio etico-politico. Ed è a questa incompiutezza, e non all’Illuminismo, che bisogna imputare l’eclissi che periodicamente oscura la ragione europea. Alla fine della Seconda guerra mondiale, i liberali laici, cattolici o protestanti che fossero, saggiamente avviarono un’opera di superamento dei nazionalismi e dei pregiudizi storici, anzitutto quello antisemita, puntando sui mattoni dell’economia. Ma la loro prudente costruzione è stata colpita al cuore da due strali scagliati da quel Nuovo Mondo settario che liberandoli venne ad asservirli. Il primo strale è stato il liberismo privatizzatore recepito dal Trattato di Maastricht in uno stato di sonnambulismo degli epigoni di quei liberali illuminati. Il secondo strale è stato il rinfocolamento con ogni mezzo di quel nazionalismo che è la lebbra dell’Europa da quando nel secolo XIX essa è divenuta compiutamente capitalistico-borghese. L’Ucraina, con la sua voglia matta di NATO, con le sue “libere” Università propalatrici del verbo delle “società aperte”, con le sue trentatré cliniche per l’utero in affitto, è il prodotto meglio riuscito di tale nuovo nazionalismo, nell’attesa che crolli l’intera impalcatura, giudicata “pre-moderna”, dello Stato russo purtroppo ora presidiato da una casta che cerca di riscattare le sue dubbie origini con il mito eurasiatico. Ecco, allora, lo “scontro di civiltà” tra il settarismo americano, gonfiatosi a imperialismo atlantico, e il revanchismo russo che si propone quale indesiderato difensore di tutti i “mondi a parte” minacciati dal corrosivo Occidente. Ma gli europei sempre così pronti a infervorarsi per le cause perse farebbero bene a ricordarsi che se l’Ucraina entra nell’UE non nascono gli Stati Uniti d’Europa, un copiato che la storia non consente, ma prende forma piuttosto quell’Europa dei popoli cui anelano i “conservatori” sotto le cui insegne si mimetizzano gli eredi del nazifascismo vogliosi di rivincita. Adesso che con le sue atrocità la guerra infuria tra Russia e Ucraina le divisioni sembrano incomponibili, ma quando lo scontro si attenuerà non si potrà fare a meno di riprendere il disegno di un accordo tra Europa e Russia imposto anzitutto dalla contiguità territoriale e in secondo luogo dalle convenienze reciproche, dalle fonti energetiche alle forniture alimentari al nucleare militare in cambio del ben di dio della migliore industria europeo-occidentale. Ma come dimostra l’esito infelice del minimalismo della Merkel, questo pragmatismo non potrà bastare. Bisognerà sollevare il capo dal fiero pasto e riprendere il cammino interrotto di un continente non più borghese, non più nazionalista, non più antisemita che solo il comunismo con il suo contenuto anti-capitalistico potrà assicurare. E ciò non per partito preso ideologico ma perché solo il superamento del capitalismo può portare all’abolizione della forza quale unico principio con cui regolare le questioni. Il comunismo così si rivelerà non un modulo utopistico astratto applicabile in qualsiasi latitudine ma come il completo svolgimento storico dell’intero continente europeo che, portando a compimento la propria particolarità, farà avanzare il mondo intero che oggi ristagna nella cieca caverna dell’economia di scambio.
Ucraina, la “profetica” intervista di Alexey Arestovich
Pubblico qui di seguito la trascrizione dei sottotitoli in inglese di un’intervista televisiva reperibile su YouTube rilasciata il 18 febbraio 2019 da Alexey Arestovich, attuale consigliere militare di Volodymir Zelensky, presidente dell’Ucraina.
Dio ci scampi dai “combattenti della libertà”.
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Interview for Апостроф TV with military expert, currently military advisor of president of Ukraine, Alexey Arestovich
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– Of course, the question that is interesting, how is it possible to stop the war and return the occupied territories? (here it means the war in the Donbass region, ATO zone)
– We cannot stop it…
– Can something still push Putin to this decision now?
-To end the war?
– Yes
– Nothing. His main goal is to restore the Soviet Union and win
the Cold War. Replay the Cold War. Destroy the collective
security system in Europe, collapse the NATO and European
Union, if not de jure then de facto.
– And then play one-on-one with the countries of the European
Union, each one of them separately, of course, is weaker than Russia.
That’s how it is, united European Union is stronger, otherwise
it’s weaker. Therefore … A man has 150 billion wealth as
they say, he has a nuclear umbrella, he is 70 years old …
– If the goal is to gather the USSR under one country, then why he stopped at Ukraine, why didn’t he go further, the same Belarus?
– Why should he be in a hurry?
These are strategic goals, as I once said,
the operation is planned until 2032-2035.
They are not done quickly, such things.
– And what should be the result in the 32nd year?
– Well, I think that a new form of empire.
They will find some way to reconfigure foreign policy,
domestic policy. Russia, Belarus, Ukraine (or part of Ukraine)
possibly Armenia, Moldova, Kazakhstan…
– Well, it doesn’t matter, these are regional agreements… Ukraine and Belarus for sure, 3 Slavic nations should definitely be gathered. And Russia, as a new major player, in a word that is not unipolar but multipolar,
– where it takes its role, very significant role, an important one,
top of the five or even four states or state unions, and pursues
its policy as it sees fit. In any case, the CIS, and no one should
interfere in this territory.
– Dominating Europe, of course.
And this should be the result of such policy.
– Why by 2030?
– These are normai planning. If the situation,
before Putin carne to power … the collapse of state …
from 91 to 99 – lasted for 8 years.
Then to restore it, you would need double the time.
– They decided to do it in 2007, finally. After Maidan (Ukraine Revolution in 2004) they began to plan. It took one and a half to two years to plan. In 2007, they delivered the Munich speech and withdraw from the arms control treaty in Europe.
– They planned to complete it by 2023, well, given the sanctions,
and the opposition, then it is necessary to multiply the time by
at least 1.5 more. The 32nd – 35th year comes out.
– What situation in Ukraine can prevent this?
– Only accession to NATO. If we do not join NATO, then
we are finished. We do not have the strength to be neutral.
We will not remain neutral.
– For some reason, naïve people think that neutrality is when you can spend little on defense because we are not going to fight with anyone. Neutrality costs 10 times more than a war with someone else.
– Switzerland being a neutral country where all the girls, and boys serve military, crazy military taxes, and so on. Despite the fact that is not surrounded by Russia. It is surrounded by France, Italy, Germany and Austria. (democratic states)
– They are top 4th level in the world the intensity of combat training,
continuous combat training. Despite the fact that they have
6 or 8 mountain passes there, blow them up and sit for yourself,
no one will touch you, as it were.
– And we have 2,700 km of land border with Russia,
which are bare steppes. Do you have any idea how much neutrality will cost us? And count the rest of the countries that have territorial claims against us.
– Therefore, we will not maintain neutrality, we will not have
enough resources. Geographically, no country would be able to
maintain neutrality in this position.
– If we cannot maintain neutrality, we will drift either to
the “Taiga Union” (the Eurasian Union with Russia) or to
the NATO, there are no other options.
– How can NATO accept us if we have ATO
(Anti Terrorist’s Operation in the east) – war.
– This is one of the main myths about NATO, that they do not
accept countries with territorial disputes, with war.
– They accept it with ease. Moreover, they accept states
that have territoriaI disputes among themselves.
Greece and Turkey for example.
– Yes, but there were military operations on the territory of Cyprus. But we have on the territory of Ukraine.
– Yes, but, Turkey created what? His DPR (People’s Republic) in Cyprus.
– They are condemned in every possible way far this,
but nevertheless they are a member of NATO. Do you understand?
There are 36 conflicts within NATO. Well-known:
Spain believes that Gibraltar is occupied by Britain,
both are members of NATO.
– Britain “fought”, without shooting, but with the use of
military means with Iceland (Cod Wars). Well, there are
a lot of claims of countries to each other in other places,
– but the most striking are the Spanish-British conflict and
the Greek-Turkish one. Nevertheless, all is well in NATO.
And all territorial claims there can be listed for a long time.
– Well, is it then a matter of political will?
– Definitely. If we compare us with Bulgaria, which joined
in 2004, then we were ready to join in 1999.
– Why then is NATO in no hurry to accept Ukraine?
– Because they did not have a consensus on whether they
need Ukraine at all and whether we will finally drift towards
Russia with these our Yanukovychs. (president 2009-2014,
meaning pro-russian politicians)
– And now everything is simple. Now that British citizens have
been poisoned with military chemical weapons on their territory
and after the downed Boeing, an attempted coup in Montenegro.
– after the wave of refugees in Europe, after Syria.
Finally they realized in the West that Russia is
waging war not against Ukraine or Georgia,
but against the West.
– And when they figured it out, very late, somewhere by the
beginning of 2018, the most advanced ones figured it out by
- Now they consider it very simple, if they don’t take us
to NATO, then Russia gets +40 million people and a million of
military
– and if they take us to NATO, they get +40 million
and a million military who already have experience
of war with Russia.
– What shouId the president do? What are the first ten steps?
– He must win the parliamentary elections, this is his main step.
Because if the parliament in disagreement with the president,
then reform packages will be blocked, primarily the
direction of joining the EU and NATO.
– It will be necessary to dissolve parliament and hold new
elections. And when this is done, then he will need to
get a MAP (membership action plan) in NATO,
– this is the main task now for the cadence, everything else does
not matter. War shadows everything. AII this economy, social
sphere, all this is always sacrificed to the war. A lost in war –
all other issues become irrelevant.
– AII policies will be decided by Putin’s junta, as if the war is lost,
that’s all.
– That is, when Ukraine receives the MAP (membership action plan)
in N A T O, then it will be possibIe to taIk about some Iines of
ending the war (meaning the war in the DPR and LPR)?
– No, we can not talk about any lines of ending the war here,
on the contrary, this will most likely push Russia to a major
military operation against Ukraine.
– Because they will have to squander us in terms of infrastructure,
and turn everything here into a ruined territory, so that NATO
would be reluctant to accept us.
– That is, Russia will be able to go into direct confrontation
with NATO?
– No, not NATO, they will have to do this before we join NATO
so that NATO are not interested in us as a ruined territory.
– With a probability of 99.9%, our price for joining NATO is a
full-scale war with Russia. And if we do not join NATO,
then the absorption by Russia within 10-12 years.
That’s the whole fork in which we are.
– Wait, and now if you put the bowl on the scales, what is
better in this case?
– Of course, a major war with Russia and the transition
to NATO as a result of the victory over Russia.
– And what is a “major” war with Russia?
– Well, it could be an air invasion operation, an offensive by
the Russian armies that they created on our border,
a siege of Kyiv, an attempt to encircle troops in the ATO zone.
– A breakthrough through the Crimean Isthmus, an offensive
from the territory of Belarus, the creation of new “people’s
republics”, sabotage, attacks on criticaI infrastructure, and so on.
That’s what a major war is, and the probability of it is 99%.
– When?
– After 2020, 21 and 22 are the most critical, then 2024-2026
and the following 2028-2030 will be critical.
Maybe even three wars with Russia.
– If such a full scale war starts, will new “people’s republics”
be procIaimed?
– Well, of course, before the Russian tanks enter, saboteurs
will enter and proclaim the Kharkov, Sumy, Chernigov, Odessa
and Kherson People’s Republics.
– And how can Ukraine get a MAP in NATO and not get stuck
in a full scale war with Russia?
– No way. Well, except that they will hit Russia with means,
that will make it clear that they are not welcomed here.
– Sanctions, embargo? What will they hit with?
– Well, sanctions, embargoes, they can simply publicly and
tacitly warn that it will be very bad for them when trying
to wage a war.
:- For example, to throw an American aviation group here,
and state that Russia should do nothing, not even bother.
NATO contingents can come in, stand around Kyiv, and so on.
They can make it so that power in Russia will change.
– Liberals can come and Russia will again become a good country.
Anything can happen.
– And, under what conditions can the power in Russia be replaced?
– Well, if there is an intra-elite conflict and that part of the elite
that believes what is the continuation of Russia’s policy of
winning the Cold War and the collapse of the EU and NATO there,
– and in general, being an outcast in the West and fighting with
the West is not profitable, and it will gain enough strength to
eliminate the group that is set up for the USSR-2 project.
Then yes.
– Is the option of a peaceful settlement being considered?
– No, won’t happen.
– Why? It seems to me that the West is considering such options.
– The West is considering such options offering Russia to change
its mind. And why would they change their mind, for what reason?
At least one reason.
– If they threaten…
– If they threaten … how you can seriously threaten a country
that has a nuclear shield? Has nuclear weapons?
– Well, it seems to me, to bring Russia to a situation where the
question will already be whether to press t e nuclear button,
this should be a very, some, serious decision.
– That’s not the point. The fact is that it is impossible to exert
serious pressure on people with nuclear weapons, on such a
scale as Russia has.
– Because serious pressure is a threat by force, and you
can’t immerse a person with nuclear weapons by force.
And all these economic sanctions … shh … for a country like Russia.
– For example, Iran – 40 years under economic sanctions much
more severe than those of Russia. Well, and they are screwing with
the whole world, Saudi Arabia, Israel, Syria, the USA, half of Africa
and half of America.
– Iran is intriguing in half the globe, and no one do anything with it. Nuclear weapons are being developed, missiles are being launched. But Russia is larger than Iran and more influential.
– That is, to sum up – do you consider the sole or one of the important decisions of the pursuing president of Ukraine to be important, is this the MAP in NATO?
– Definitely.
– Perhaps two more points?
– There are two ways to look at these elections – historical and
socio-economic. We must remember that the socio-economic
method is possible only because someone is fighting very well.
– In general, providing us with allies, support, military assistance
from the United States. That is the only reason we can have
these democratic conversations at all. There is no chance of
neutrality in Ukraine.
– One way or another, we will drift into one or another supranational
military alliance. Only it will be either “Taiga Union ” or NATO.
We were in “Taiga” and I personally don’t want to. We haven’t been
to NATO, let’s try.
– We will definitely not maintain neutrality. This means that the
main task is to join NATO, and no social and economic sacrifices
are such in the face of this task. Even if the dollar will cost 250,
– and since there is no such thing, but there is economic growth,
in principle, in general, everything looks not so bad. But the price
of joining NATO is likely to be a larger war with Russia, or
a sequence of such conflicts.
– But in this conflict, we will be very actively supported by the
West – with weapons, equipment, assistance, new sanctions
against Russia and the quite possible introduction of a NATO
contingent, a no-fly zone, etc. We won’t lose, and that’s good.