Società

Occasione persa

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La lezione più importante che si può trarre dalla pandemia è che solo una concentrazione assoluta di paura e terrore riesce a staccare gli individui dalle loro abitudini e schemi mentali, rendendoli disposti a mutare i propri comportamenti. Nelle giornate più cupe della pandemia, quando il virus sembrava una forza irresistibile più di quanto lo sia ora, faceva impressione constatare questo distacco non tanto nella gente comune quanto in coloro che, detentori di un qualche potere, si erano sin lì catafratti nella sicurezza richiesta dalle loro posizioni che ben volentieri esibivano. Strepitavano, si lamentavano, erano disposti ad ammettere tutte le storture del modo di vita sin allora difeso e procedevano a modifiche cogliendo senza indugio ogni spiraglio che si apriva per un qualche mutamento. Per chi detiene potere provare paura è una esperienza devastante che pur di salvarsi induce a ogni sorta di concessione. Ma, come già detto, sotto lo stimolo della paura anche la gente comune è più disposta a sottrarsi all’imperio dell’abitudine che ottunde ogni critica alle storture della routine in cui si è immersi. Era questa scossa, che si irradiava indistintamente in basso e in alto, la base di quegli ingenui proponimenti che i media proponevano sul “dopo la pandemia, saremo tutti più buoni”. In realtà, poiché tutta questa configurazione è semplicistica quanto un fioretto infantile, i buoni propositi sono svaniti non appena si sono cominciate a prendere le misure al temibile virus. Il problema della concentrazione assoluta di paura e terrore è che, se non accompagnata da una contestuale opera di consapevole messa in discussione delle vecchie abitudini, funziona come una molla compressa che, una volta rilasciata, ritorna con forza maggiore alla sua posizione iniziale. Il PIL, prodotto interno lordo, con i complimenti del Fondo monetario e i battimani di qualche ministro premio Nobel mancato, non sta forse rimbalzando al 6% annuo? La concentrazione assoluta di paura e terrore è un fatto rivoluzionario se c’è una forza uguale e contraria alle abitudini da svellere che svolga un’opera attiva di “pedagogia sociale”. Ma dal virus non si può pretendere tanto. Negli anni, una tale forza attiva si è acquartierata in comodi cubicoli dell’ordine esistente e le persone si sono abituate a essere “individui autonomi” ovvero, secondo una versione popolare dell’etica kantiana, a fare ciò che gli pare rigettando come un’offesa ogni accenno pedagogico-sociale. Se una tale forza, invece di imboscarsi, avesse coltivato gelosamente la propria autonomia, si sarebbe potuto intavolare un discorso innanzitutto sulle cause nient’affatto naturali del virus, e dall’accertamento delle effettive cause economiche, sociali e culturali si sarebbero potuti derivare interventi di riforma del modo di vita corrente. Anzitutto, decomprimendo l’economia, liberandola dai miliardi di ore-lavoro dedicate a produrre merci inutili quando non dannose, buone solo a tenere su gli indici del sullodato PIL. Ma contestualmente si sarebbe dovuto sviluppare il polmone sociale e non certo con le spese in deroga ai vincoli di bilancio, spesso elemosine migragnose di uno Stato, da anni disabituato a fare non tanto politica economica quanto economia politica, a categorie avvezze a ben altri flussi di denaro in chiaroscuro ma ora improvvisamente in difficoltà. E, invece, in quei decisivi frangenti ciò che si è sentito è stato solo l’invito sgangherato a cambiare mestiere rivolto a tali categorie da una esponente assai supponente (altro che commercialista di Bari, come a suo tempo l’altezzoso Andreatta definì il valoroso Formica!) del nuovo che avanza. Questo nuovo a cinque stelle ha così tanto avanzato che nel vuoto creatosi la molla si è ripresa il suo spazio – e con quale maggior vigore. Se l’economia, quell’economia priapica da cui pur con tutte le sue storture dipende l’esistenza delle persone è l’unica effettiva dimensione sociale, beh, quando con la “spinta gentile” del green pass (ah, il genio del paternalismo borghese!)  si riesce con le inoculazioni vaccinali a relegare il virus a un basso continuo della vita quotidiana che, quasi con un brivido di piacere sotteso al rischio di potersi infettare, accompagna gli atti di un nuovo sfrenamento di massa, perché meravigliarsi che sorga e si imponga la figura salvifica del Grande Funzionario novello De Gasperi che sa come manovrarla, questa divina economia del lavoro non-lavoro, dei salari decrescenti e dell’obbligo del maggior consumo, delle crescenti aspettative di vita e delle pensioni a babbo morto? E così, mentre tutto crolla, tutto ancora una volta si tiene, e la nave va, con gli schiavi alla galera cui però è concesso per pochi spiccioli, miracolo dell’economia dei prezzi, di salire in prima classe per una crociera di una settimana. Tanto, se non su uno yacht sempre più grande, c’è sempre un’astronave che può portare in salvo i ricchi scemi su un pianeta very exclusive.

Nuvoloni all’orizzonte

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Mentre questa calda estate culla gli ultimi bagnanti nelle onde di un mare via via più silenzioso, all’orizzonte sono apparsi i nuvoloni degli spropositati aumenti tariffari di luce e gas che rischiano di gravare sulle bollette anche per un 40% in più. I media si sono messi subito all’opera per spiegare questa improvvisa minaccia, e si è incominciato a parlare di cause prossime e cause remote, prezzi all’ingrosso e prezzi al dettaglio, domanda e offerta che non trovano un punto di equilibrio, insomma tutto l’armamentario della migliore scienza economica. In questo profluvio di teorie, la spiegazione più perspicua che abbiamo trovato è la seguente:

«Dal nostro punto di vista, l’alta volatilità e gli eccessivi picchi dei prezzi hanno ragioni più fondamentali. L’industria sa che il nostro sistema energetico sta subendo una profonda e veloce trasformazione. Gli investimenti in fonti fossili non hanno un futuro sul lungo termine. Ma, allo stesso tempo, i governi non si sono ancora impegnati abbastanza chiaramente per un futuro a basse emissioni di carbonio. Quindi, l’equilibrio tra domanda e offerta di energia nell’Ue potrebbe essere molto volatile, a seconda della velocità relativa della graduale eliminazione delle energie fossili e della graduale introduzione delle energie verdi. Impegni più chiari da parte dei governi per introdurre con più forza le fonti di energia verdi – per esempio attraverso il finanziamento delle infrastrutture corrispondenti e l’impegno di prezzi sostanziali per il carbonio in tutti i settori – potrebbero aiutare ad allontanarsi da un equilibrio così precario. Poiché il passaggio alla neutralità climatica implicherà una domanda di elettricità in continua crescita, gli investitori non dovranno preoccuparsi troppo di sovrainvestire in sistemi energetici a basse emissioni di carbonio. A livello dell’Ue, la rapida approvazione e implementazione del pacchetto “Fit for 55” rappresenterebbe quindi la soluzione più strutturale per evitare futuri picchi di prezzo dell’energia e per assicurare una transizione ordinata dal marrone al verde».1

Si dirà, perspicua un corno. D’accordo, bisogna fare qualche piccola parafrasi per rendere più chiaro ciò che nelle parole di questi due onesti corifei è però già abbastanza evidente. Innanzitutto, essi affermano che «l’industria sa che il nostro sistema energetico sta subendo una profonda e veloce trasformazione». Non si capisce perché parlano genericamente di industria, quando dovrebbero parlare di industria connessa alla rendita delle energie fossili (petrolio, gas naturale, carbone, sabbie bituminose, scisti bituminosi). Infatti, della classica trinità, profitto, salario, rendita, qui è di quest’ultima che si tratta, e il futuro a lungo termine è una lotta tra vecchie e nuove rendite per assicurarsi una parte di extra-profitti e determinare il supplemento di spremitura di plusvalore cui dovrà essere sottoposto il salario. Le nuove rendite sono le energie verdi (luce solare, il vento, la pioggia, le maree, le onde, il calore geotermico) che, certo, hanno questo colore rassicurante perché sono rinnovabili, ma quanto terreno bisognerà occupare di pali eolici per sfruttare adeguatamente la rinnovabilità del vento? Essendo la terra limitata, si tratta di una rinnovabilità che un giorno anch’essa si esaurirà, salvo piantarli su terreni sempre più scoscesi, e qui riocchieggia una nuova forma di rendita differenziale. Ma non corriamo. In questo quadro di lotte dentro e tra le classi, nell’onesta prosa dei nostri due turiferari appare l’attore politico, lo Stato, denominato in modo pudicamente liberaldemocratico «i governi». I governi, da bravi comitati d’affari di quell’immenso agglomerato produttivo che è il capitalismo, di cui qui se ancora non lo si è capito si discorre, possono fare molto: pareggiare per tutti i settori produttivi tramite la stabilizzazione del prezzo del carbonio il plusvalore da sottrarre a profitti e salari da girare alla rendita, favorire la sgargiante nuova rendita verde a discapito di quella marrone tristemente penitenziale, foraggiare l’industria legata alla nuova rendita verde. Il tutto naturalmente al nobile fine, sollecitato e magnificato dalla più oggettiva scienza ambientale, della neutralità climatica, ovvero del raggiungimento del punto di equilibrio tra le emissioni di gas serra e la capacità della Terra di assorbirle. Lo abbiamo già detto, a questo scopo, quanti parchi eolici, fotovoltaici, marini e geotermici può assorbire la Grande Madre Terra, delle cui sorti la nuova rendita verde appare così preoccupata, senza entrare in conflitto con le tradizionali coltivazioni alimentari per non parlare di quelle volte alla produzione di biomasse? Beh, per i prossimi cinquant’anni di terra ce n’è abbastanza, poi si vedrà. Così, anche l’avvenire dell’UE, governo di tutti i governi, è assicurato, con il suo “Fit for 55” per il 2030 e soprattutto la “carbon neutrality” per il 2050. Tutto questo per poter rifare quel miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci che è il benessere delle società moderne: usare meno energia per avere la stessa quantità, se non di più, di beni e servizi.2 Al Figlio di Dio ciò riusciva per vie soprannaturali, a noi che non siamo da meno perché finalmente possediamo la tecnologia adatta. E qui vengono in mente le parole del vecchio rivoluzionario:

«Keynes e simili dicono: l’uomo consuma perché e quanto ha desiderato. Noi marxisti diciamo che l’uomo desidera secondo quanto ha potuto consumare, e per tanto il moderno sistema di potere e di falsa scienza borghese lo alleva con le droghe alimentari e ideologiche. La Dittatura sarà necessaria a cavallo della palingenesi del Lavoro oggettivato, del rovesciamento di Praxis del Capitale fisso, non tanto per dominare la produzione, che basterà lasciare cadere a livelli inferiori liberando i servi del lavoro e delle galere aziendali per miliardi di ore, ma soprattutto per capovolgere la prassi consumatrice, sradicare le forme patologiche del consumare, eredi di forme di oppressione di classe. L’uomo singolo, il cittadino, l’individuo, come perderà anche sotto il Terrore rivoluzionario la possibilità di possedere ricchezza e valore, uccidendosene in lui la propensione belluina, così perderà, divenendo una cellula dell’eterno – e saremmo per scrivere “sacro” – Corpo sociale, ogni diritto a ledere se stesso, a rovinare il proprio organismo animale, ad intossicarsi. Con ciò non lederebbe solo il proprio corpo, ma la società. Il rivoluzionario non può essere che un disintossicato, ed è una delle ragioni per cui nelle Rivoluzioni più della massa, che sarà disintossicata in seguito dal marchio di servaggio, opera la minoranza del partito, nutrita nel vivo suo sangue dell’antiveggente e combattente Dottrina Integrale».3

Al bagnante che buon ultimo si fa cullare dalle onde silenziose del caldo mare di questa fine estate, questi tremendi propositi debbono sembrare un nuvolone ben più minaccioso del super rincaro di luce e gas. Meglio pagare alla rendita, vecchia o nuova che sia, un botto di plusvalore piuttosto che acconciarsi a questa furiosa allucinazione.

 

  1. S. Tagliapietra, G. Zachman, Cosa c’è dietro l’impennata dei prezzi in tutta Europa, «Domani», 14.9.2021, p. 9 []
  2. G. Ruggiero, La transizione ecologica nel PNRR: bene, ma ora servono le riforme, https://www.agendadigitale.eu/smart-city/la-missione-ecologica-priorita-assoluta-del-pnrr-occasione-storica-ora-le-riforme/ []
  3. A. Bordiga, Traiettoria e catastrofe della forma capitalistica, 1957, 3a parte, https://www.quinterna.org/archivio/1952_1970/traiettoria_catastrofe3.htm []

A ciascuno il suo burqa?

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Torna tragicamente il burqa in Afghanistan, ma pare che anche in Italia alle donne sia imposto un burqa particolare, la difficoltà sempre più grande di poter abortire. Infatti, secondo un dato del 2016 del Ministero della Salute, quindi sottostimato rispetto alla tendenza ulteriormente affermatasi negli anni successivi, si registra un tasso di obiezione di coscienza negli staff delle strutture italiane pari all’85,2 per cento1. Ma cosa spinge ginecologi e anestesisti, sebbene questi ultimi in misura minore, a questa scelta di massa? Se si chiede in giro agli addetti del settore, la risposta è che una minoranza esigua lo fa per motivi religiosi, ma una parte più cospicua cerca di sottrarsi a un grosso carico di lavoro che si ritiene non essere adeguatamente remunerato. Alcuni anni fa all’ospedale Cervello di Palermo fu finanziato un progetto che agevolava e sveltiva le interruzioni di gravidanza farmacologiche. Pare che in quel periodo nessuno fosse più obiettore, e quando il progetto finì e con esso i soldi ecco di nuovo che si risveglia l’obiezione di coscienza. Morale della favola, ma visto che di mezzo c’è il denaro sarebbe il caso di dire immorale della favola, se ci fosse un riconoscimento economico il tasso di obiezione si dimezzerebbe. Ma, come si è detto all’inizio, chi fa obiezione di coscienza si appella spesso alla fede. «L’ho fatto per motivi religiosi — spiega un medico di Palermo, che pure rispetta la decisione delle donne, presa giustamente in autonomia — mi sentivo troppo in colpa e ho smesso». Come dargli torto? E una ginecologa obiettrice di Catania spiega che «l’obiezione quando c’è è totale: non fai differenza tra interruzione volontaria e aborto terapeutico, non interrompi nessuna gravidanza».  Giusto, per la dottoressa. E per la donna alle prese con un aborto terapeutico, chi le dà una risposta? Quanto agli anestesisti obiettori, semplicemente non vengono messi di turno quando ci sono da fare le interruzioni volontarie. «Li comprendo — commenta uno di loro — nemmeno io lo faccio a cuor leggero, mentre sono lì cerco di convincermi che sto facendo altro». Ecco l’estraneazione che esce dai libri di filosofia e plana sulla vita quotidiana. Si dirà, l’arretrato Sud. No, l’obiezione di coscienza contro l’aborto sembra che annulli il divario tra Nord e Sud. Infatti, la Sicilia e Bolzano negano questo diritto in modo identico. E forse anche i comportamenti sono identici. Molti medici lamentano l’abuso della procedura, anche quella chirurgica, da parte di donne che sembrano non usare contraccettivi: «ero a Trapani anni fa e ho visto praticare l’interruzione volontaria a una donna per l’ottava volta — afferma uno di loro, un anestesista — e non è un caso rarissimo». È vero, è un caso tutt’altro che raro che si verifica non da ora ma da molto tempo. Chi scrive ricorda che già all’inizio degli anni Novanta una ginecologa gli riferì una identica situazione, e si conosceva anche qual era la causa: il compagno della donna rifiutava di usare il preservativo e non voleva che lei prendesse la pillola o si facesse impiantare la spirale. L’anestesista di cui sopra conclude con molto understatement che «è chiaro che c’è un problema di informazione generale rispetto alla salute riproduttiva». È chiarissimo, ma più che informazione forse sarebbe il caso di parlare di formazione. Si può, in un paese dell’Occidente progredito? A quanto pare, no, perché l’individuo autonomo non tollera pedagogie. E non tollera il burqa delle donne afghane. Vuole solo i diritti. Il burqa delle donne italiane, anch’esse beninteso individui autonomi, quello si può fare, tanto è invisibile. E qui viene da pensare, ma è solo un cattivo pensiero, che a volte i diritti, nella loro unilaterale astrattezza, se è consentito dirlo en philosophe, sono mine anti-uomo, che anziché i corpi fanno saltare in aria la coscienza di uomini e donne.

 

  1. Eugenia Nicolosi, Troppi obiettori. Gli aborti tornano clandestini, «la Repubblica – Palermo», 17.8.2021, p. 5. Tutti i dati cui si fa riferimento successivamente nel testo sono tratti da questo articolo. []

Ragioni oggettive a favore dei fratelli no vax

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Premesso che chi scrive ha fatto il suo dovere vaccinale, è fuor di dubbio che chi non vuole vaccinarsi e si oppone al controllo del lasciapassare ha dalla sua parte delle ragioni oggettive fra le quali possono essere messe in evidenza le seguenti:

 

1) il consenso informato da firmare all’atto di vaccinarsi, in mancanza di una legge che fissi dettagliatamente gli obblighi dello Stato verso il vaccinando e i suoi congiunti in caso di eventi avversi prossimi o venturi, lascia il cittadino in balia di tali eventi e scarica di responsabilità lo Stato, il quale però, pur in una situazione di sperimentazione sanitaria di massa quale non si nega essere da parte di molti competenti in materia quella attualmente in corso, obbliga di fatto al vaccino con la misura amministrativa ex post del lasciapassare. Questo modo obliquo di procedere non può che generare sfiducia;

 

2) si afferma che il vaccino serve a evitare la malattia grave che richiede il ricovero in ospedale. Ciò significa che si dà per scontato che la malattia si diffonda e persista a bassa intensità nella maggioranza della popolazione, ma senza predisporre alcun significativo potenziamento dell’assistenza medica a casa che resta carente o inesistente. Lo Stato quindi fa il calcolo minimo di evitare l’allarme sociale e il costo economico del sovraccarico ospedaliero, lasciando che il cittadino se la sbrighi privatamente nel caso più che probabile, anche quando vaccinato, che la malattia lo colpisca sebbene in forma non grave o mortale. Anche qui, questo modo obliquo di procedere non può che generare sfiducia;

 

3) posto che la strada delle cure (monoclonali, immunosoppressori) è stata sostanzialmente scartata perché ritenuta troppo lenta rispetto all’obiettivo di rimettere in moto al più presto l’intero ingranaggio della vita sociale, e posto che lo stesso vaccino non sembra poi l’arma infallibile contro l’insidioso virus, non c’è stata e non c’è alcuna seria possibilità di scegliere fra i vari tipi di vaccino (mRNA, vettoriale, proteine) in sperimentazione non solo in paesi “reprobi” come Cuba, Russia e Cina, ma anche nel blocco dei “virtuosi” paesi occidentali. Si è alimentato invece un dibattito fittizio tra marchi (Astrazeneca vs. Pfizer), impedendo di fatto un’informazione obiettiva e completa su tutte le opzioni possibili, lasciando che tutto fosse regolato da dinamiche economiche riconducibili a pochi, salvifici monopoli farmaceutici. Tutto ciò ancora una volta non può che aver generato sospetto e sfiducia;

 

4) non è mancato e manca solo il dibattito scientifico su opzioni effettive e non fittizie, ma ancor più manca un dibattito serio su come uscire dalle “situazioni di guerra” causate dalle ormai ricorrenti pandemie. Al contrario, la fuga dalle responsabilità, i ragionamenti grettamente utilitaristici, la riproposizione di modelli organizzativi obsoleti, le contrapposizioni schematiche rispondenti più al marketing che al dibattito democratico, non fanno che ribadire la grande divisione tra uno Stato nella sua essenza autoritario e un cittadino relegato nella sua privatezza, la cui àncora di salvezza per entrambi è un’economia che si rimetta a regime quanto prima per poter continuare a stillare quelle ormai sempre più grame risorse necessarie a tenere in vita un’organizzazione sociale di cui da tempo si è più prigionieri che protagonisti.

 

Tutto ciò considerato, sembrano eccessive e spropositate le misure che vengono minacciate per coloro che non intendono vaccinarsi e sottostare al controllo del lasciapassare. Privare qualcuno del lavoro e dello stipendio è come spedirlo in prigione senza neanche volergli passare il vitto dell’amministrazione carceraria. Se si vogliono adottare misure così estreme, ci si assuma la responsabilità di leggi chiaramente discusse ed emanate, senza più far ricorso a decreti che producono solo rabbia e frustrazione. O è proprio la rabbia e la frustrazione che si vogliono alimentare, per poter ricorrere al pugno di ferro che ribadisca i presupposti indiscutibili dell’ordine vigente?

Zan! Ed è subito gender

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Il punto cruciale del ddl Zan è l’identità di genere, tanto è vero che i machiavelli di Italia Viva per fare la “mediazione” stanno proponendo di tagliarla, dando anche il contentino alla Chiesa del rispetto dell’autonomia scolastica. Ma che cos’è l’identità di genere? Nella teoria di genere, elaborata in ambito accademico anglosassone a contatto con i gruppi LGBT e poi diffusasi un po’ ovunque nel mondo liberal e progressista occidentale, l’identità di genere si basa sulla tesi secondo la quale ogni individuo possiede un’identità di genere interna che in certi casi può non corrispondere al sesso biologico della persona. È decisiva dunque l’opposizione tra interno ed esterno, tra ciò che è percepibile e ciò che non è percepibile con i sensi. Basta aggiungere a questa tesi che ciò che è percepibile con i sensi è il finito e ciò che non è percepibile è l’infinito per riconoscere in essa l’impronta del vecchio Hegel, il quale appunto sosteneva che il finito non ha vera realtà poiché ha il suo fondamento nell’altro da sé, cioè l’infinito, l’immateriale, il pensiero, con la conseguenza che, se il finito ha per essenza l’altro da sé, per essere essenzialmente sé, esso non dovrà essere più sé, cioè il sé che è in apparenza, il suo essere finito, bensì l’altro, ovvero infinito. Il sesso biologico è dunque il finito da abolire per potere accedere all’autodeterminazione infinita dell’identità di genere. Da questa tesi ontologica che fa da assunto implicito al riconoscimento della condizione psicologica di dissociazione avvertita da alcuni individui tra il proprio sesso biologico (la propria finitudine sessuale) e la propria diversa identità di genere (la propria interna infinità di genere), derivano poi obblighi morali, come quello di proteggere chi si venga a trovare in simili situazioni, o obblighi giuridici, come quelli in discussione con il ddl Zan, come le giornate di sensibilizzazione scolastica (anche) sull’identità di genere o i condizionamenti cui andrebbero incontro coloro che volessero esprimere convinzioni alternative (anche) all’identità di genere. In tutto ciò non vi è nulla di scandalosamente “ideologico”, come gridano i contrari al “genderismo”, trattandosi di un normale dibattito democratico dove nessuno possiede la “verità”, ma è lecito chiedersi cosa significhi questa riproposizione della distruzione del finito (sesso biologico) ad opera dell’infinito (identità di genere) nel contesto delle trasformazioni attuali dell’etica sessuale. Vengono in mente qui le osservazioni di Pareto sui cicli virtuisti e i cicli libertini, e sul “residuo sessuale” come elemento irriducibile della mente sociale rispetto a tutte le altre sue componenti. La sua psicologia meccanicistica non va però al di là di questa pur importante constatazione. Bisogna invece rivolgersi alla profonda teorizzazione di Freud intorno all’antagonismo psichico tra l’Io, l’Es e il Super Io per scorgere che l’aspirazione all’indeterminatezza infinita insita nell’affermazione dell’identità di genere è una sorta di squadernamento in pubblico dell’indeterminatezza inconscia dell’Es, una “presa diretta” dunque della sfera libidica sulla realtà esterna che riduce al minimo l’Io e non trova più un limite in un Super Io gravato da una decrepita morale. È dall’epoca della Rivoluzione francese che De Sade incita i borghesi ad abolire la morale corrente e a emanare poche, miti leggi che si confacciano alle pulsioni fondamentali dell’essere umano. Ma non c’è classe più inconseguente di quella borghese. Essa infatti apre le porte dell’Inferno ma si arresta sulla soglia lasciando che chi vi si precipita dentro venga istantaneamente giudicato secondo i dettami della vecchia morale. Né è in grado di proporre una morale nuova che non sia il libertinismo di chi per censo o per status può sottrarsi a quella condanna. Ecco allora i cicli disforici di virtuismo e libertinismo di cui parla Pareto, il cui significato Gramsci intese così bene che individuò nel libertinismo la principale causa di corruzione delle classi lavoratrici. Ora, posto che tutto questo psichismo non vive in un mondo separato ma è in stretto rapporto con tutte le altre sfere sociali, è facile vedere una omologia non solo tra i “cicli” capitalistici e le disforie sociali sessuali, ma anche tra l’infinitezza pulsionale dell’Es sottesa alla rivendicazione dell’identità di genere e la fluidità infinita cui aspira il capitale in quest’epoca di comando assoluto sul lavoro. Così come, infatti, si aspira ad abolire la finitezza sessuale a favore dell’infinitezza dell’identità di genere, così pure si procede alla polverizzazione delle forme sensibili e finite della merce lavoro a favore di un flusso immateriale e infinito di forza lavoro, in entrambi i casi come un processo illimitatamente ricorsivo. Qui si aprono però dei paradossi. Il primo, piccolo piccolo ma a suo modo significativo, riguarda il PD che con il suo progressismo si trova in una posizione più filocapitalistica di quella di IV. Ma qui non sono certe le scariche libidiche a contare quanto, da un lato, il vecchio riflesso a vuoto presente nel PD di un femminismo protettivo nei confronti del mondo LGBT, da cui però tale mondo si è emancipato, specie nella sua componente gay, caratterizzata da un machismo tanto più forte quanto più alto-borghese; dall’altro, in IV un bigotto machiavellismo tutto interno alle lotte di potere di quel capitalismo, lustrini e copertine patinate, oltre il quale non si concepisce che possa esistere un mondo altro. Molto più grande e importante, invece, l’altro paradosso che riguarda un intero continente, ovvero la stretta alleanza che esiste in molti paesi sudamericani tra movimenti di lotta e organizzazioni LGBT, che sembra contraddire la consonanza tra l’infinitezza dell’identità di genere e il flusso infinito del capitale. Ma lì non solo vale ancora il principio strategico dell’alleanza tra tutte le minoranze oppresse, ma c’è anche, come nel socialismo chavista, un’applicazione creativa dell’egemonia, il cui sincretismo morale non è riconducibile né alla vecchia morale del Super Io borghese-occidentale né alla nuova non-morale dell’Es liberal-progressista tipica del crepuscolo del capitalismo.