Società

Un powerpoint di Buon Natale

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Forse perché pressati dalle pirotecniche esibizioni islamiche, quest’anno ci si scambiano auguri da buoni cristiani, ricordando quando il Natale (come la Pasqua) era una  festa che aveva un sapore diverso e portava ai bambini (fortunati di avere una famiglia) un’intensa gioia, e si depreca che il Natale sia diventato  un evento materialistico in cui bisogna consumare e scambiare regali, per essere felici solo un paio d’ore, fino a quando non si è assaliti dal desiderio di possedere un’altra cosa. Ma in questa nostalgica contrizione si dimentica che anche i musulmani deprecano questo tempo materialistico. Astraendo per un momento dai truci pistoleri dell’Islam, ci sono bravi seguaci di Maometto che, indossando una pettorina gialla con su scritto “Polizia islamica”, vanno in giro per i quartieri di piccole cittadine tedesche, invitando le signore a velarsi e i loro mariti a non bere più una goccia di qualsivoglia alcolico. Non contenti, affiggono volantini qua e là agli angoli delle strade in cui si proclama che quei quartieri sono “zona controllata dalla sharia”, e si bandisce alcol, droghe, gioco d’azzardo, musica, concerti, pornografia e prostituzione1. Esagerati, certo, ma il sospetto è che, tanto nella nostalgia “cristiana” per il parco Natale, quanto nel disprezzo “islamico” per la depravazione occidentale, la radice sia uguale, una reazione “morale” basata sull’identità fornita dal proprio Dio, che taciti la coscienza di fronte ad una pratica che, per quanto si voglia, non riesce a districarsi da quel “materialismo” da tutti deprecato. Cristiani e musulmani, infatti, ma anche ebrei e confuciani, continuano a consumare e a vivere per consumare. Se non fossero attratti da questo modo di vita, perché mai quei bravi maomettani in pettorina gialla brigherebbero tanto per andare a vivere fra i “materialisti” tedeschi, quando potrebbero restare a casa propria, a coltivare la loro “pura” povertà? Le guerre, certo, ma quattro milioni di turchi non si sono mica trasferiti in Germania per sfuggire al genocidio. Il sospetto grande, allora, è che a trionfare sia la religione più subdola, la religione della merce, che approfitta delle vecchie divisioni religiose in cui il genere umano si attarda, per imporre silenziosamente il proprio culto, che si annida implacabile come un parassita nella vita stessa (nei sommovimenti demografici, direbbero gli studiosi positivi). Piuttosto quindi, come impone il politicamente corretto, di astenersi nelle scuole dal celebrare il Natale, sarebbe opportuno riaprire gli occhi su quel modo di vita, che è anche un modo di produzione, magari proiettando, al posto delle canzoncine natalizie, un powerpoint sul-modo-di-produzione-capitalistico-giunto-nella-sua-fase-di-dominio-assoluto. E, in quest’epoca di disdegno per le ideologie, per evitare l’effetto “libretto rosso”, lo si potrebbe fare illustrare da Roberto Benigni.

  1. La Germania legalizza la polizia islamica?, “Il Foglio”, 12 dicembre 2015. []

Cronica del nuovo millennio

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Una scolaresca va in visita ad Auschwitz. La professoressa che l’accompagna, nota che il blocco destinato all’Italia per il ricordo degli ebrei italiani lì deportati è chiuso. Dalla guida apprende che è in quello stato da quattro anni, per mancanza di fondi. La professoressa, sdegnata, scrive a Corrado Augias, il quale pubblica nella sua rubrica la lettera, auspicando che il governo, almeno nella ricorrenza del 70° della Shoah, riapra il blocco1. Passano due giorni, e sul “Fatto” si legge che il blocco è chiuso perché al suo interno ci sarebbe «un’opera d’arte astratta, poco “leggibile”, e per questo considerata inidonea e ora è stato deciso di portarla a Firenze». Il cronista, la cui paratassi richiama quella di una cronica medievale, aggiunge che le autorità locali sono in attesa di capire come l’Italia deciderà di affrontare la questione e in che tempi2. Lo stesso giorno, però, il ministero degli esteri manda una precisazione a “Repubblica”, in cui si afferma che «è la presenza nell’opera di richami artistici al comunismo, oggi considerati fuori legge in Polonia, ad aver indotto la chiusura del Blocco 21»3. Dunque, l’Italia, un paese in cui l’anticomunismo è una pratica spiritica di massa, non può celebrare i suoi ebrei morti ad Auschwitz perché una legge anticomunista vieta i “riferimenti artistici” al comunismo presenti nell’opera che, secondo quanto si afferma nella lettera del ministero degli esteri, nel 1980 l’Associazione Nazionale Esuli e Deportati (Aned) decise di porre nel blocco dedicato all’Italia. È vero, era il 1980, e non si poteva prevedere che i “riferimenti artistici” al comunismo sarebbero stati vietati per legge, e questa è stata sicuramente una mancanza di lungimiranza. Di che si sdegna, dunque, la professoressa? La colpa è degli ebrei del secolo scorso, che hanno commissionato un’opera d’arte “inidonea” che ora è stata deportata a Firenze e lì verrà gasata e Renzi ha detto che i soldi ci sono per fare questa cosa ma poi ha ritirato la manina comunque i polacchi hanno pure fermato Pacifici che dopo avere parlato in tivù cercava di scappare da Auschwitz da una finestrella ma è scattato l’allarme e sono venuti i poliziotti e lo hanno insultato ladro di merda non si sa se gli hanno detto anche ebreo di merda stavano quasi per riaprire i forni ma è intervenuto il consolato italiano e gli ha detto tranquillo è anticomunista e allora l’hanno rilasciato. Non è uno scherzo, è tutto scritto nella cronica del “Fatto”4. Cronica del nuovo millennio.

  1. “la Repubblica”, 27.1.2015, p. 28 []
  2. “Il Fatto Quotidiano”, 29.1.2015, p. 18 []
  3. “la Repubblica”, 29.1.2015, p. 26 []
  4. Pacifici “deportato” per una notte, “Il Fatto Quotidiano”, 29.1.2015, p. 18, articolo siglato con le iniziali “Al. Fer:” []

Ominicidio?

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Nuda e cruda, dalla cronaca: “CATANIA – L’ha investito con la sua auto e poi gli ha gettato dell’acido sul volto. Infine è fuggita. Autrice della violenza, avvenuta ad Acireale, una 38enne, Elena Maria Ciragolo, successivamente identificata e arrestata dalla polizia per tentativo di omicidio e lesioni personali. La vittima dell’aggressione è ricoverato nell’ospedale Cannizzaro di Catania per ustioni a una guancia e a un occhio. Gli agenti sono intervenuti a seguito di segnalazione da parte di alcuni passanti che avevano trovato, disteso sul selciato, un uomo che era stato investito da un’auto e che presentava il viso rovinato da uno spruzzo di acido”.

Patonza

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(16.6.2013) All’inizio fu «A Fra’, che te serve?». Poi vennero i «furbetti del quartierino», «abbiamo una banca», «la patonza deve girare», sino all’ineffabile «a mia insaputa», detto a giustificazione di qualcosa che ti è stato regalato per fare delle porcate. I virtuisti hanno contribuito con «inciucio» e «casta», ma tutti i ceti hanno dato per questo lessico del nuovo millennio. Si prenda il «corpamente» dello ndranghetista calabrese che spiega al neofita lombardo come qualmente un affiliato diviene veramente tale quando per la prima volta riempie di botte qualcuno che non paga il pizzo. Corpamente, dunque, non corporalmente, come avrebbe detto qualche filosofo irrazionalista. E, per finire, fresco fresco di giornata, ecco «quel fango di Falcone», contributo espressivo della nobile schiatta dei calciatori, come risulta dai dialoghetti intercettati tra il centrattacco del Palermo e il suo compagnuccio mafioso di quartiere.

Omeomorfismi

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In questo inizio di millennio, la dialettica appare sempre più scatenata nella sarabanda delle sue inversioni. Si considerino i seguenti eventi: a Tunisi, tre ragazze del movimento internazionale delle femens, si denudano il seno davanti al Ministero della Giustizia, per protestare contro la detenzione di Amina, una giovane tunisina che le ha eroicamente precedute in quella stessa pratica; a Istanbul, turchi di ogni età, sesso e professione protestano, tra bandiere rosse tornate a garrire al vento e getti di idranti e lacrimogeni polizieschi, a difesa di un parco di seicento alberi, minacciato di distruzione per far posto ad un megacentro commerciale e ad una nuova moschea; a Francoforte, manifestanti, ai quali i pavidi media italiani non dedicano la minima attenzione, protestano davanti alla sede della BCE contro quel “pilota automatico”, evocato da Mario Draghi, che esautora i governi e rende l’economia una forza perfettamente aliena. Come direbbero i pedanti cultori dell’intelletto astratto, è la linea dei diritti che avanza, manifestandosi per “equivalenti omeomorfi” nei differenti contesti storici e geografici: diritti civili, ecologici, sociali. Ma queste “passioni” della mente sociale rischiano di imbozzolarsi nella loro soggettività se non si collegano alle profondità della struttura. La coscienza del parco a Instabul è nata quando Erdogan ha promosso l’uso massiccio delle carte di credito, e il seno nudo di Amina è il vettore del flusso di merci che preme per riversarsi nei cunicoli stretti della società tunisina. È irritante doverlo ricordare, ma la lingua dei diritti è parlata alla perfezione dal capitalismo assoluto. A modo suo, Erdogan sembra averlo capito, ma non è certo giustapponendo la moschea al centro commerciale che sfuggirà, da un lato, all’avversione del ceto medio “modernizzato” da lui stesso promosso, dall’altro, alle richieste sempre più stringenti di quel capitalismo che egli si illude di ricondurre alla ragion politica del Corano. Sono questi leader incapaci di sintesi dialettiche che rendono “invisibili” lotte come quelle dei ragazzi di Francoforte, relegate così ad una spontaneità che non turba la perfezione olimpica dell’oderna religione della merce.