Nei manuali di scienza della politica si parla di cesarismo come di un regime politico di transizione, che sorge in risposta alla decadenza di istituzioni politiche preesistenti, ed è fondato su un rapporto emotivo fra leader e cittadini. Ma il cesarismo è anche un conflitto di classe. Nel 18 Brumaio di Luigi Bonaparte, Marx, che tratta del cesarismo sotto il termine di bonapartismo, mostra che esso si afferma quando c’è uno stallo nel conflitto fra le due principali classi sociali, la borghesia e il proletariato. Poiché il terzo attore, i contadini, non riesce ad organizzarsi come soggetto collettivo, essendo disperso sul territorio e privo di legami organizzativi stabili, il leader che emerge sfrutta la forza degli apparati dello Stato (burocrazia, forze armate, corpi di polizia, ecc.), e riesce ad operare come forza autonoma. A questa analisi marxiana, Gramsci apporta la ulteriore distinzione tra cesarismo “progressivo” e cesarismo “regressivo”. Il cesarismo, ovvero la soluzione “arbitrale” di un “equilibrio catastrofico” fra classi in lotta tra loro, è progressivo quando il suo intervento aiuta la forza progressiva a trionfare, regressivo quando aiuta a trionfare la forza regressiva. Progresso e regresso restano evidentemente da definire, ma qui possiamo mettere da parte la teoria, e volgerci direttamente alla realtà politica, la quale, in questa momento, in Italia, ha caratteri così particolari, che è impossibile ridurla entro le categorie delle teorie stabilite.
Infatti, 1) negli anni scorsi, al vertice della politica ci sono stati non uno, ma tre cesari in competizione tra loro, specialisti nel rapporto emotivo con i propri seguaci, ovvero Renzi, Berlusconi e Grillo. Salvini sgomitava, ma a lungo non è riuscito ad assurgere al loro rango. Adesso, con abili mosse, ha rigettato in un’opposizione rancorosa i primi due e, via Di Maio, ha addomesticato il terzo. Da plurale, il cesarismo sembra avviarsi alla sua normale condizione di un capo solo al comando. Sarà così? Staremo a vedere; 2) il regime politico continua a ristagnare in una transizione infinita, in cui si succedono Prime, Seconde e Terze Repubbliche. La Terza Repubblica non si capisce bene in che cosa si differenzi dalle altre due, se non nella formula politica, una bizzarra alleanza tra forze che sino a non molto tempo fa si contrapponevano. Si uscirà dall’euro? Cambieranno le alleanze internazionali? Anche qui, staremo a vedere, mentre sempre incombe la Costituzione del ’48, che sinora nessuno riesce a svellere dal suo fondamento storico. Questa dovrebbe essere una buona cosa per le forze non cesaristiche, nelle cui bande però ancora imperversa l’alieno Matteo Renzi. La prima misura per la loro rinascita dovrebbe essere di espellerlo formalmente dal loro seno, ma questo richiederebbe una metamorfosi di cui pardossalmente esse stesse hanno il terrore; 3) ognuno dei leader cesaristi rappresenta un segmento degli interessi non di due classi contrapposte, ma di un’unica grande classe media, divisa e frammentata al suo interno. Una sorta di moderno “contadiname”, disperso sul territorio e privo di legami organizzativi stabili, che riscatta la propria “ruralità” con la “modernità” dello “stile di vita italiano” – mangiare, vestirsi, abitare, nel trionfo del corpo e dei sensi. I leader diventano allora avventurieri che scalano lo Stato e lo occupano con le bande al loro seguito. Il “Giglio magico” di Renzi ha fatto scuola, ed ora qualcosa di simile tenterà la Casaleggio Associati; 4) quest’ultimo punto rinnova la vexata quaestio del “conflitto di interessi”. La società borghese è in conflitto di interessi per definizione, dal momento che lo Stato è il suo consiglio di amministrazione. Ma con la democrazia rappresentativa, dove anche chi era contro poteva avere formalmente voce in capitolo, essa ha cercato di diventare una società universale. Da qualche decennio la società borghese non ha più questa ambizione, e di volta in volta si staccano da essa singoli esponenti che volgono a loro esclusivo favore l’intrinseca parzialità dello Stato. Questo avviene soprattutto nei settori nuovi della produzione sovrastrutturale, la televisione e le reti sociali, dove la merce da trafficare è il consenso, utile ad alimentare il cesarismo. Politica ed economia sprofondano in una sorta di rallentamento cellulare che si traduce in una microcefalia sociale, il cui sintomo è l’emergenza dell’uomo comune, un idiota che reclama l’onestà come difesa dalla guerra di tutti contro tutti che lo opprime, ma che è la conseguenza del suo cieco individualismo; 5) tra Berlusconi e Casaleggio c’è tuttavia una bella differenza. Il primo modificò prima il costume, con la televisione commerciale degli anni Ottanta, poi si servì della infrastruttura di Publitalia per costruire un partito fedele e disciplinato. Casaleggio è un’agenzia di reclutamento di personale politico, su parole d’ordine e linee politiche labili e sognanti, quanto basta per mandare illustri nesci, battezzati da micro-plebisciti informatici, ad occupare cadreghe impensabili. Perciò, mentre Salvini può contare su un partito rodato da un ventennio di governo intermedio e pronto ad assorbire Forza Italia, il M5S è un torrente alluvionale in piena che può prosciugarsi non appena cessino le pioggie “rivoluzionarie” che il malcontento della suddetta classe media alimenta. Ciò vuol dire che alla fine il cesarismo si rivelerà un’offensiva del Nord, cui il Sud fornisce truppe che combattono per scopi immaginari. Un altro inganno “regressivo”, che richiederà un buon numero di anni per essere amaramente compreso dalle creduli genti meridionali.