La Grecia è all’ultimo miglio. Non accadeva da tempo che una forza proveniente dalle viscere dolenti di questa società sedata, si avvicinasse così tanto al restaurato e ben difeso Palazzo d’Inverno. Le rare cronache obiettive raccontano degli spostamenti, ora per ora, da una posizione all’altra degli ufficiali che guidano la marcia, trattare o non trattare, l’incertezza che coglie il leader, i piani per il dopo di una possibile vittoria, le strade da lasciarsi aperte per una ritirata1. Tutto poi sarà raccontato come epico o tragico, ma c’è la coscienza di un passaggio cruciale. La Grecia era il paese dove la faglia aveva provocato in superficie la guerra civile che aveva cristallizzato gli schieramenti. Nei successivi settant’anni, sembrava un rudere evolutivo, completamente oscurato dalle magnifiche sorti e progressive della partita “egemonica”, un colossale equivoco teorico e un sempre più vergognoso opportunismo pratico che ha portato la “moderna” sinistra italiana all’estinzione, e l’“arcaica” sinistra greca a sfidare il capitalismo della Troika che, nelle parole di chi se ne intende, «significa umiliazione e politica neocoloniale»2. Il referendum dirà se la porta di quel Palazzo dovrà aprirsi, per far passare la colonna vittoriosa, oppure se ci dovrà essere un’altra ritirata, più o meno precipitosa, più o meno ordinata. Anche prima di indire il referendum, si sapeva che il sì era maggioritario. Altrimenti, perché chiedere voti alle ultime politiche non per uscire dall’euro, ma per un’“altra Europa”? Ma la “riforma economica”, senza cui non c’è riforma intellettuale e morale, non c’è egemonia, non c’è governo delle classi subalterne, non c’è nulla di tutto quel verbiage di cui ci si è beati nella bonaccia lunga decenni scambiata per rivoluzione, la “riforma economica”, si diceva, ha tanti nemici, dal panico del buon senso immediato (“come farò con 60 € al giorno?”) alla paura di un domani che si avverte non più retto dalla “distinzione” ma dal principio incognito della “cooperazione”. Tutto nell’immediato cospira contro quelli che oggi sono gli eversori, ma che domani, se il loro “taglio” avrà prodotto la “scissione” nella “placenta” che tutti ci contiene, diventeranno coloro che hanno aperto la via a nuove esperienze, nuove pratiche, nuovi rapporti sociali. La Troika sta con il fiato sospeso, e nei suoi esponenti più pragmatici sino all’ultimo cerca di sottrarsi al verdetto. Perché anche un sì è pericoloso. Il sì significherebbe che nell’immediato l’umiliazione e la politica neocoloniale sarebbero totali e spietate, ma l’odio dei popoli diverrebbe non solo inestinguibile, ma anche inconoscibile nelle forme demoniache che potrebbe assumere. Non solo attenti ai vinti, ma anche attenti ai vincitori.