Il conservatorismo di Giorgia Meloni

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Capita di leggere un libro quando ancora i problemi che vuole agitare non si sono surriscaldati e si pensa che non si surriscalderanno. È il caso per chi scrive del libro di Giorgia Meloni, Io sono Giorgia, pubblicato da Rizzoli nel 2021, in cui l’autrice racconta la sua vita ma espone anche le sue idee. Ecco con riferimento a quest’ultimo punto gli appunti e le impressioni di lettura che chi scrive all’epoca annotò a margine di pagina:

– rivendicazione del sincretismo culturale in nome della libertà “anti-ideologica” e di un sapere posseduto spontaneamente dall’individuo che deve essere solo “chiarito” dalla cultura (198)

– rivendicazione di un aristocraticismo cognitivo e morale (“tutti gli uomini di valore sono fratelli”) (196). Gramsci, che pure è reclamato dal sincretismo della Meloni e sodali, sosteneva invece che “tutti gli uomini sono filosofi”. Una bella differenza!

– caricatura e falsificazione della sinistra additata sommariamente come marxista-uniformante, liberal-globalista, utopista-egualitaria (195)

– richiamo enfatico al principio di realtà come tratto tipico della destra che però con tipico salto sofistico diventa principio della tradizione, con tanto di richiamo alle “radici che non gelano” magnificate dall’immancabile Tolkien (194, 200)

– destra non materialista ma “divina” che difende, conserva e prega, anche qui benedetta sincreticamente da Pier Paolo Pasolini descritto come un “irregolare” al quale chi possiede il sapere spontaneo “anti-ideologico” si può liberamente richiamare (200)

– anti-utopismo (202), ovvero realtà = quella esistente ma che non si nomina, cioè il capitalismo

– progressismo, mondialismo, globalismo, islamismo, comunismo, un unicum indistinto di nemici della persona (194. 202)

– Black Lives Matters = la disprezzata cancel culture (203) ovvero disconoscimento della questione razziale

– contro il genderismo, esaltazione della persona, della famiglia, della patria ovvero facendo leva sugli eccessi disconoscimento di tutte le questioni che ciascuna di queste realtà pone tramite una contro-retorica della potenza, della bellezza, del libero arbitrio e del fascino della tradizione “classica” (203)

– in generale, disconoscere tutte le questioni aperte della crisi dell’Occidente evocate con l’apparente profondità del professionismo politico tramite un sincretismo che vuole rimettere in circolazione l’irrazionalismo del pensiero europeo reazionario soprattutto nelle sue ultime e più popolari propaggini (insistenza molesta su Tolkien). Ma questo non avviene a partire da una base di conservatorismo liberale “classico”, per quanto verbalmente rivendicato, bensì da una posizione politica non solo di fascismo storico ben dissimulato ma anche di neofascismo su cui si tace se non per rimarcarne vittimisticamente una presunta marginalizzazione (la “fiamma” non è solo il simbolo di una “radice che non gela” ma anche l’insegna di un movimento politico attivo dal dopoguerra in poi con un ruolo essenziale benché subalterno nell’anticomunismo dell’epoca)

– risalire all’indietro per divincolarsi dall’esito storico fascista e nazista in cui la tradizione reazionaria borghese precipitò tra le due guerre, in modo da poter riscattare quell’esito minimizzato ma al quale nascostamente ci si richiama perché rappresenta il momento in cui tale tradizione divenne universale (“totalitaria”) e costituisce quindi nelle sue “radici non gelate” un modello ideale con cui nobilitare il “grigiore” del “servizio” reso dal neofascismo in nome dell’anticomunismo alle forze che subentrandovi sconfissero il fascismo storico, ovvero l’americanismo e l’atlantismo

– il conservatorismo rivendicato da Meloni e sodali, un’ideologia di sconfitti che anelano alla rivincita assoggettandosi ai vincitori ai quali, presentendone l’attuale debolezza, vorrebbero finalmente subentrare pensando di poter riaffermare valori che, per quanto stentoreamente declamati (“donna, madre, italiana”), sono intimamente negati dalla “civiltà” al cui comando aspirano.