Mentre il liberalismo agonizza, il liberismo celebra il suo sabba. Eppure, agli esordi, Adam Smith riusciva a tenere assieme i due estremi. Se da un lato esaltava la divisione del lavoro, dall’altro auspicava che l’atrofia mentale che essa provoca nel lavoratore fosse contrastata da programmi di istruzione pubblica. Oggi la mente del lavoratore è un campo arato dai magnati della rete che fanno e disfano secondo le convenienze i regolamenti che stabiliscono come, quando e quali contenuti essa deve assumere. Le metastasi di questa disumanizzazione si propagano in ogni dove. Si pensi al denaro. Il liberalismo-liberismo dell’economia politica classica partiva dal proverbio che “il denaro fa denaro”, ma nel suo onesto realismo non nascondeva affatto che il denaro è solo il sostituto del lavoro con il cui valore si acquistano tutte le ricchezze che gli infiniti scambi produttivi consentono di accumulare. Nel liberismo della scienza economica che subentra all’economia politica classica, la necessità di occultare questo riferimento umano-sociale fa del denaro, ormai moneta, una delle tante possibili attività nelle quali i risparmiatori possono detenere la loro ricchezza. La scienza economica allora non deve fare altro che scoprire le regole che ne consentano la manipolazione economicamente più redditizia. Questa tendenza feticistica raggiunge il suo culmine nell’odierno capitalismo informatizzato che si propone di strappare allo Stato il monopolio dell’emissione di moneta, salvo esigere che faccia la guerra e imponga i dazi, e magnifica la produzione di criptovalute (bitcoin) ottenute con una vera e propria attività industriale privata basata sulla potenza di calcolo di computer su cui gira la tecnologia blockchain. Le speculazioni monetarie che tale “decentramento” rende possibile, addirittura all’interno della coppia presidenziale che l’altro giorno si è insediata al comando degli Stati Uniti, demoliscono ogni residuo di “ragione” che il liberalismo-liberismo delle origini, con il suo richiamo “umanistico” alla sostanza del lavoro, assicurava al capitalismo. Questo è un chiaro segno di debolezza che però non riesce a suscitare un grande fronte anticapitalistico. Le lotte si svolgono a ranghi sparsi e la loro direzione è usurpata da organizzazioni in cui dilaga l’opportunismo. Le grandi masse che un tempo la “coscienza di classe” trasformava in un esercito potente e disciplinato, giacciono nella sfiducia e nella disillusione che le induce a prestare orecchio ai discorsi falsamente rivoluzionari in cui la nuova destra tecnopatica, sovranista e anarco-capitalista è esperta, tanto quanto lo era quella fascista e nazista del tempo che fu. Eppure, è proprio la riconquista di queste grandi masse alla “politica della ragione” che, ancora una volta, può salvare tutti da un destino di distruzione. Ma come e dove deve avvenire questa riconquista? Lo si deve ammettere a malincuore, ma tutto lascia pensare che l’innesco non possa che essere opera di realtà come la Russia di Putin, l’Iran degli ayatollah, la Cina della crescita spasmodica. Come in uno specchio in frantumi, tali realtà riflettono moltiplicandolo il mondo cui si oppongono. È l’illusione che il multipolarismo possa essere la soluzione del problema. Ma pretendendo di far valere stratificazioni culturali e ideologiche del passato, il colpo di maglio che possono infliggere può solo suscitare il caos ma non avviare il futuro. Arroganza e disperazione di un capitalismo morente, da un lato, brama di spartirsene le spoglie, dall’altro, questi dunque gli estremi tra cui è stretta la prospettiva rivoluzionaria, il cui bisogno è però dimostrato dall’esistenza di quei milioni di individui che, costretti nell’economicismo della vita quotidiana, non si rassegnano a esso e aspirano a liberarsene. È questo rifiuto ancora prepolitico ma profondamente umano che deve essere raccolto da nuove organizzazioni da cui già traspaia finalmente chiara la finalità della rivoluzione, quella di generare da un popolo sparso un corpo politico in cui non vi siano più le millenarie divisioni tra ricchi e poveri e tra dominanti e dominati.