Bosoni Barilla

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Il nuovo realismo è la pasta Barilla della filosofia. Un marchio conosciuto che anche l’idraulico Pippo ha potuto vedere in qualche trasmissione televisiva. Contro i detrattori, che pur non mancano, su “Micromega” on line, il giovane e razzente Enrico Terrone scrive che la tesi fondamentale di questo nuovo realismo «è che la nostra esperienza condivisa del mondo non riguarda fenomeni, apparenze, interpretazioni, bensì fatti veri e propri. Kant aveva torto a sostenere che le intuizioni senza concetto sono cieche. La maggior parte delle intuizioni ci vede benissimo, senza bisogno di concetti di complemento. Dunque, per rispondere alla domanda ontologica fondamentale, ‛che cosa c’è?’, non occorre per forza rivolgersi ai fisici dei bosoni o ai metafisici dei tropi. Le nostre intuizioni ci informano con sufficiente approssimazione su come stanno le cose nel mondo reale. Per quel che riguarda le regioni dell’essere da cui dipende la nostra vita e la nostra felicità, la fonte primaria dell’ontologia può essere benissimo la nostra esperienza condivisa del mondo»1. Quel che si vorrebbe sapere, però, è con che cosa si fa questa nuova ontologia. Eh, già, perché non è che va a petrolio, ma funziona con teorie che spesso sono molto più contro-intuitive della fisica dei bosoni e della metafisica dei tropi. D’accordo, lo scopo è chiaro, salvaguardare l’autonomia di un certo discorso filosofico dallo strapotere di una scienza che si propone come la nuova metafisica. Un certo discorso filosofico che abbia al suo centro la nostra intuizione spontanea del mondo. Ma com’è fatta questa intuizione? In tutt’altra sede, nel quotidiano “il manifesto”, e trattando apparentemente di tutt’altre cose, lo psicanalista Sarantis Thanopulos ci offre una risposta, quando così riassume l’intervento del neuroscienziato Vittorio Gallese al recente Congresso Nazionale della Società Psicoanalitica Italiana: «L’interesse di Gallese nei confronti della psicoanalisi nasce dalla necessità di superamento della concezione solipsistica della mente propria del cognitivismo classico ed è centrato sul concetto di “simulazione incarnata”: la comprensione delle emozioni, delle sensazioni e delle azioni dell’altro è ottenuta direttamente, senza la necessità di meta-rappresentarle, attraverso il riutilizzo degli stessi circuiti neurali su cui si fondano le nostre emozioni, sensazioni e azioni come se le vivessimo e le eseguissimo noi in prima persona. La concezione di se stessi come un sé è ancorata in una “matrice intersoggettiva condivisa, noi-centrica”. Questa matrice intersoggettiva è strettamente legata alla consapevolezza del sé corporeo e in particolare al sistema motorio che “ben prima della nascita manifesta già quelle proprietà funzionali che rendono possibili le interazioni sociali”»2. A commento di questo impeccabile resoconto, Thanopulos aggiunge che quelle di Gallese «sono visuali che sostanzialmente gli psicoanalisti condividono», salvo «due punti problematici», ovvero la questione del desiderio, che in psicanalisi “anima” il corporeo-motorio, e quello della intersoggettività, che la psicoanalisi dovrebbe secondo Thanopulos rimodulare in quello più rispondente alla pratica psicoanalitica di “intra-soggettività”. Per la verità, più che punti problemtatici, sembrano semplici adattamenti del quadro teorico di Gallese, accettato integralmente. E quanto alla “intra-soggettività”, bisogna vedere se si tratta di un “fatto” che la pratica psicoanalitica rileva, oppure di un “fare” verso cui lo psicanalista orienta il paziente, a partire da una implicita opzione teorica anti-soggettivistica. C’è da chiedersi quanto resti qui della mirabile indagine freudiana circa la genesi del normativo, ma quello che si vuole alla fine rilevare è che dai propositi di Torrente, Thanopulos e Gallese si vede chiaramente come nuovo realismo, neuroscienze, psicoanalisi postfreudiana, sono rivoli disparati che confluiscono nell’unica corrente del rifiuto del soggettivo-concettuale-normativo. Non drammatizziamo, non è una nuova “distruzione della ragione”, ma solo l’agitarsi di una razionalità talmente debole e insicura di sé, che cerca di sedurre il colto e l’inclita con morbide atmosfere alla Mulino Bianco.


  1. E. Terrone, Il realismo senza intuizioni è libresco. A proposito di “Realismo? Una questione non controversa” di Franca D’Agostini []
  2. S. Thanopulos, Psicoanalisi e neuroscienze, “il manifesto”, 7.6.2014, p. 14. []

Sacerdozio giurisdizionale?

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In un articolo pubblicato ieri sul “Fatto Quotidiano”, Giancarlo Caselli se la prende con i No Tav, paragonandoli agli squadristi fascisti, che intimidivano e picchiavano, a Berlusconi, che quando è processato si lagna dei giudici che lo perseguitano ingiustamente, e alle BR, che terrorizzavano gambizzando e ammazzando. Caselli, che è stato contestato dai No Tav in alcune iniziative pubbliche cui ha preso parte, vorrebbe solidarietà da quegli intellettuali che invece, a suo dire, si voltano dall’altra parte e sono più propensi a denunciare l’accanimento giudiziario contro i No Tav. Ma “L’Espresso” di questa settimana (n. 28/29.5.2014), con un servizio richiamato addirittura in copertina, documenta il caso di quattro giovani che, nel corso di una protesta in Val di Susa, avrebbero partercipato alla manomissione di un compressore, e che per questo sono stati arrestati nottetempo con l’accusa di terrorismo, subendo ancora oggi una pesantissima carcerazione. Caselli afferma che con le loro contestazioni i No Tav mirano a “colpirne uno, per educarne cento”, ma qui la magistratura ne ha sicuramente colpiti quattro, e da mesi ormai, come si sottolinea nell’articolo, le proteste in Val di Susa si sono fatte rare e guardinghe. Ciò che Caselli chiede è che la magistratura possa liberamente svolgere «l’esercizio della giurisdizione» per i reati «ricondotti dall’accusa all’area dell’estremismo No-Tav». Ma nel caso dei quattro giovani arrestati con l’accusa di terrorismo pare che questa libertà sia andata ben oltre i limiti. Caselli, che ha maneggiato il delicatissimo reato di concorso esterno in associazione mafiosa, non può non sapere che l’esercizio della giurisdizione non è un algoritmo sacerdotale, ma una pratica che deve essere ispirata dalla prudenza. La magistratura è un potere dello Stato, ma di uno Stato che non appaia come l’espressione di interessi politico-economici tanto giganteschi, quanto lontani dalla vita quotidiana delle persone. Questo è il problema che i No Tav pongono, che non può essere affrontato con lo stesso metro con cui si affronta un reato di mafia o di corruzione nella vita pubblica.

Dialogo post Europee tra la luna e un pastore errante dell’Italia contemporanea

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Ecco il dialogo tra la luna, tutt’altro che indifferente, anzi molto impegnata nelle cose terrene, e un trafelato pastore errante dell’Italia contemporanea, svoltosi qualche giorno dopo le elezioni europee del 25 maggio 2014:

   P. E, allora, ô luna, che te ne pare di questo ritorno della DC (40%: la percentuale è quella)? Hai visto il video di Grillo che prende il maalox?

   L. Ho votato contro Grillo. Il risultato è stato migliore delle previsioni. Ho imparato a contentarmi. No, non ho visto Grillo, né prima né dopo il maalox. Non guardo la gente che vomita. Mi volto dall’altra parte. E quell’altro pupazzone, fresco della sua quotidiana iniezione di formalina? Con questa galleria di mostri guardi tanto per il sottile? Che ne dice la pastorella tua compagna?

   P. E che vuoi che dica, la pastorella mia compagna, pensa a quant’era bello il PD di Bersani, con quelle  allegre assemblee nazionali, dove ci si recava ognuno con le sue greggi… Peccato che ci siano tanti kilometri tra di noi, potremmo fare delle belle tavolate politico-gastronomiche…

Una nuvola grigia si intromette tra il pianeta pallido e l’italico pastore errante. Quando il cielo si rischiara…

   L. Nel frattempo ho visto la scenetta del maalox. Mi è parsa  un’ottima gag. Inquietante invece la comparsa di Casaleggio sul palco a San Giovanni nella conclusione della campagna elettorale. Anche quella l’ho vista solo oggi. L’abbiamo scampata bella.

  P. Ma, tra un’elezione e l’altra, ci sono le mungiture, il flauto, le composizioni poetiche, insomma, il für ewig. Lì non ci acchiappa nessuno. A breve, spero di suonarti dei bei nuovi motivetti e di leggerti qualche altro bel canto.

   L. A parte i formaggi e le zufolate e i canti  (che bei vizi…), certo,  a parte tutto….Ma tornando alla politica: perché tu, come tanti altri amici, dici: la nuova DC? checché se ne pensi, mi pare tutt’altra cosa. Diverso il radicamento sociale, il tipo di comunicazione, le facce, lo stile. C’è tutta la distanza che ci divide nel bene e nel male dall’Italietta postbellica. Solo per il 40 per cento? Un mio vecchio ed ora defunto amico, a ogni competizione elettorale, se si chiedeva a lui, pubblicista di un giornale della sera, come sarebbe andata, rispondeva: Questa volta sfioreremo il quaranta per cento. La storia è andata diversamente. Dunque ben venga un qualsivoglia quaranta percento. Mio nipote, ha votato per la prima volta. Timori e tremori, poi trionfale WhatsApp: “vittoria schiacciante!“. Sono stata molto contenta e ho pensato che non bisogna andare tanto per il sottile. Che provino loro a fare qualcosa.

Un altro nuvolone si intromette. Per lunghi minuti la luna scompare dalla vista del pastore, che approfitta per correre dalle sue discole pecorelle. Al ritorno, con il fiatone…

   P. Scusa il ritardo, eccomi alla tua domanda: perché dico, diciamo, la nuova DC. Ma con uno come Renzi, è il primo pensiero che ti viene. Poi, certo che è tutto diverso, con gli ottanta euro stanno pure ridistribuendo, se non è sinistra questa… Ma non ridistribuiva anche la DC? E ci risiamo. Insomma, c’è molta ambiguità, voluta, cercata, perchè bisogna essere “post-ideologici”. Così si arriva al quaranta per cento. Adesso, ci siamo. La “vocazione maggioritaria” vagheggiata dal cineasta Veltroni, eccola a portata di mano, ancora uno sforzo e siamo al cinquanta per cento. Vorrei tanto che mi sorprendessero, che con questo consenso plebiscitario cambiassero non solo alcune storture di questo paese, ma anche di questo sistema. Ma non si sa bene verso che direzione vanno, il programma prende forma mentre fanno, anzi consiste nel fare. Quindi, o ti sono simpatici, o non li puoi seguire. E io li guardo, quel poco che resisto davanti alle loro comparsate televisive, guardo le loro facce, e mi sembrano ancora più di plastica di quelle berlusconiane del ventennio passato, facce puramente agonistiche, animali da combattimento verbale. E così, alla fine, che fai? Voti Tsipras, ma solo perché c’è qualcuno che stimi, Gallino, la Spinelli. Ma ti senti un rifugiato in una terra che non è la tua, dove litigano per niente e su tutto, e fremono aspettando la prima occasione buona per saltare sul carro “riformista”. Mi rincuoro pensando che per un ventenne, un voto all’“estrema” ha tutt’altro significato. Un giovane pastorello che, sfacciato, fa le fusa alla mia figliola, studia il russo come usava un tempo, e coltiva i classici del marxismo-leninismo. Viene da ridere, ma per loro non è nostalgia, ma un giudizio sprezzante sull’oggi, e la prospettiva del domani. Fra tre anni, saranno cent’anni dalla “sfida al cielo”, e per ragazzi come questi è come se fosse ieri. E noi, come celebreremo quella data? Nella sua post-ideologica apertura ecumenica, Renzi tacerà, o dirà qualcosa? E se dicesse, no signori, Enrico si sbagliava, la spinta propulsiva della Rivoluzione d’Ottobre non si è esaurita, e noi siamo qui, tra un tweet e l’altro, a portarla avanti, dentro e fuori Palazzo Chigi. Più dentro, che fuori. O più fuori, che dentro? Chi lo sa, è l’ambiguità.

   L. Oddio, come rispondere ai tuoi argomenti. Che Renzi abbia fatto il boyscout e vada alla messa la domenica mi disturba un po’, ma per ragioni estetiche, non altro. Niente a che vedere con la puzza di sacrestia dei marpioni democristiani, barattieri anche in cose di religione. Mi disturberà politicamente se inciderà per esempio sulle scelte in fatto di diritti civili, allora sì, non prima. Una ridistribuzione del reddito mi pare una politica di equità minimale che saluto con un plauso (anche se parzialmente finanziata con una riduzione del sei per cento del mio vitalizio). Niente a che vedere con la (ri)distribuzione democristiana fatta di strizzatine d’occhio ai finti invalidi, ai baby pensionati, al forestale fasullo mentre bruciavano i monti della Calabria, all’evasione fiscale generalizzata…. E’ stato questo tipo di distribuzione che ha distrutto quel po’ di etica pubblica che c’era in Italia, ha reso i nostri connazionali parassiti e piagnoni, ha preparato il craxismo e tutto il resto che è venuto dopo. Quando la vedrò praticare da Renzi dirò: ecco il democristiano. Certo, le facce sono quelle di chi è cresciuto nel ventennio berlusconiano, specie le donne mi fanno impressione (salvo alcune: adoro il vostro Ministro della Guerra). Ma prova a guardare gli altri: le maschere ebeti dei grillini, immobili nel sorriso di disprezzo per le cose che non capiscono, le pance e le giacche (quelle sì democristiane) dei berlusconiani, e di nuovo, anche lì, le donne, aiuto, le donne. E non erano molto più democristiani, fra i “nostri”,  un Fioroni con quella faccia di pappone o una Turco che pareva di quelle che distribuiscono gli abiti usati ai poveri della parrocchia? Spinelli, ottima pubblicista e donna di studi. Leggo sempre con interesse i suoi articoli. Ma come votare una che ti dice che se viene eletta si dimetterà perché non vuole fare la deputata? Votare la lista di Casarini? votare una lista patrocinata dal micromegologo amico di Travaglio, che poi subito litiga (manco ho capito con chi e su cosa) e se ne va. E pure col rischio, per fortuna evitato per il rotto della cuffia, di buttare via il voto. Il tuo pastorello ventenne che zufola appresso alla tua figliola, fa bene a studiare il marxismo-leninismo, ma forse farebbe bene a studiarsi anche un po’ di geopolitica, lasciando a voi vecchietti la paura e la nostalgia. Renzi che celebra la Rivoluzione d’Ottobre è il teatro dell’assurdo, ma Renzi ha fatto entrare il PD nel gruppo socialista, cosa che nessuno dei gloriosi eredi di Enrico Berlinguer aveva osato fare (e neanche vi avevano mai spiegato perché). Mi chiederai se sono diventata renziana. No. Ma erano millanni e ancora mille che aspettavo il gran giorno e, non dico per me, ma per voi, ora me lo godo. Ti ho convinto?

   P. Beh, tu sei la luna e io solo un pastore, per giunta da secoli e secoli errante in questo monno bruto. C’è una bella differenza. Ma a proposito del sei per cento sottratto al tuo vitalizio, la mia paga è bloccata dal 2010. E, allora, siccome ci stiamo mettendo soldi nostri, vorrei dire alla deputata Picierno, ora europarlamentare, ma è proprio necessario metterci, nella spesa che può fare con gli ottanta euro, le due buste di salmone? Non potrebbe comprare un sacchetto di fagioli, e cucinarli con la ricetta della nonna? Questo per dire che si può redistribuire in tanti modi. Ad esempio, ripristinando un diga da cui dipende l’economia di un’intera piana. È da anni che Luciano Gallino spiega cose simili dalle pagine, non della Gazzetta di Forlì, ma da quelle tronitrinuanti di Repubblica. Ma mentre a lui, tutto quello che gli fanno fare è il garante della lista Tsipras, al Tesoro ci chiamano Pier Carlo Padoan che, tra una partita e l’altra di squash, ci spiega in pubbliche interviste che “la sofferenza sta funzionando”. Allora viene il sospetto che la crisi sia uno strumento che coloro che si sono arrogati il diritto di governarci, usano per disciplinare quelle che giudicano le nostre inamissibili pulsioni edonistiche, salvo poi chiederci di tornare a consumare. Renzi, rispetto a questo, che mi rappresenta? L’ho sentito battibeccare con Floris, a Ballarò, e la frase che mi è rimasta nell’orecchio è ancora una volta quella dei sacrifici. Non è la prima volta che le pulsioni sadiche prevalgono in chi governa. Il guitto di Genova aveva colto paradossalmente la cosa, quando ha pubblicato il post con la fotografia del cancello di Auschwitz. Ma Renzi ha prontamente cambiato discorso, ingiungendogli di sciacquarsi la bocca prima di parlare di Berlinguer. Come vedi, alcune battute del teatro dell’assurdo sono già state pronunciate. Perché non aspettarsene altre, a proposito del 1917? Per quella data, Veltroni farà un altro film, magari su Apollon Schucht e Vladimir Ilic Ulianov detto Lenin, mentre guardano amorevolmente Giulia, figlia di Apollon, e Antonio Gramsci passeggiare mano nella mano, e alla prima ci sarà ancora Napolitano che si commuoverà, con Maria De Filippi in tubino nero a fare le accoglienze. La geopolitica? Pensa se nel 1989, al posto di Gorbaciov, ci fosse stato Putin, magari nelle vesti di un Andropov in buona salute: come credi che sarebbero andate le cose? Hai visto da lassù il libro del nipote di Gramsci, Antonio jr., sulla storia della sua famiglia? Figurati se in Italia gli danno il Viareggio…

  L. Sì, d’accordo. Ma eravamo partiti dal voto e dai suoi risultati… Riprendiamo il discorso alle prossime elezioni!

Altro nuvolone e interruzione della vista. Quando il cielo si rifà limpido…

    L. … ma poi perché i fagioli sarebbero più comunisti del salmone?

   P. Il terreno della lotta di classe alimentare è scivoloso. Ciò che volevo dire è che mi sembra stupido togliere soldi ad alcuni che ne hanno un po’ di più e darli ad altri che ne hanno un po’ di meno, solo per far ripartire il fuoco di paglia di piccoli consumi, soprattutto se di lusso. Se si devono fare sacrifici, facciamoli per cose – ad esempio, una diga in secca che sta distruggendo l’agricoltura, che ne so, della piana di Gela – che rafforzino in modo duraturo l’economia di intere regioni. E se l’economia circola, poi tanto il ragionier Rossi, quanto il professor Bianchi potranno liberamente scegliere di consumare fagioli comunisti o salmone borghese.

    L. Certo, è piccolo cabotaggio, e inoltre soldi tolti da una parte e spostati dall’altra non fanno ripartire i consumi, ma ha avuto un valore simbolico e i simboli non sono acqua. Applicato in maniera massiccia, dando per esempio più soldi ai professori di scuola media e un po’  meno (non per questo pochi) soldi ai supermen, forse farebbe funzionare meglio la scuola. Il tuo ragionamento somiglia a quello letto, credo oggi, credo su Repubblica: coi miliardi della cassa integrazione si farebbero investimenti capaci di far ripartire l’economia. Vero, falso, equo? Mi contento di poco, hai ragione. Sarà che i fagioli mi piacciono più del salmone. E poi non era peggio quello che abbiamo passato prima? o l’orrore che ci toccava senza il famigerato quarantapercento? Insomma, non se ne esce. Tu hai ragione, in questa diatriba, e io ho ragioni. Mi pare proprio tempo di farci una chiacchierata al plenilunio, quando sarò proprio uno splendore (e un po’ di cortiglio, alla prima occasione: mi piacerebbe conoscere l’evoluzione politica dei nostri amici berlusconiani, ad esempio).

   P. Gli amici berlusconiani suppongo che siano diventati renziani. Ma il quarantapercento cui hanno contribuito, potrebbe riservare loro sorprese. In questo non hai solo ragioni, ma anche ragione: stiamo a vedere. Perché paradossalmente il quarantapercento, in presenza di una destra in sfacelo, può portare Renzi su una strada di sinistra che, Zelig qual è, non esiterebbe a percorrere.

Nuvole, nuvole, ancora nuvole, è proprio una capricciosa notte di maggio. E il nostro pastore corre di nuove dalle sue pecorelle che strepitano e ondeggiano nell’ovile. Quando la vista finalmente si rischiara…

   P. Non avevo inquadrato bene la domanda, che invece è importante. Non credo che il mio ragionamento sugli ormai famigerati ottanta euro sia lo stesso del ragionamento di Repubblica che citi. La cassa integrazione è un controllo sulla condizione del lavoro che, lottando, il lavoro si è guadagnato contro il capitale: se vuoi licenziare, paghi dazio. Gli ottanta euro sono una concessione unilaterale ad una platea indistinta di tartassati. I fatti storici sono una fastidiosa lisca nel cannarozzo vorace del capitale, che Repubblica spesso contribuisce a rimuovere con quei discorsi tutti rivolti al presente che il suo fondatore, il devotissimo monsignor Scalfari, tanto depreca.

   L.: In cose politiche, fra me e te  la differenza non è tra il bicchiere mezzo pieno e il bicchiere mezzo vuoto. E’ tra chi reputa che i bicchieri siano andati tutti in frantumi e ci si debba perciò  contentare se ci resta un mestolo bucato (io) e chi invece reputa che il diritto di ciascuno a un bicchiere pieno sia ancora all’ordine del giorno (e allora si arrabbia: tu)

   P. È vero, i bicchieri sono tutti rotti. Ma, come diceva Rossella O’Hara, “domani è un altro giorno”. E qui, ahimé, parte la sigla del perfido Vespa.

   L. No, “Porta a porta”, no! Devo andare, fa quasi giorno, e sorge il sole. Spero per te, che sia quello dell’avvenir.

Il gregge bela e il pastore si avvia alla mungitura. Ricotte e caci si preparano, per allietar la tavola anche di chi non ha, ora che gli ottanta euro rimpinguano l’esigua tasca, e il quaranta per cento conforta in cambio chi l’ha preso.

Fede

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Intervistato oggi da “la Repubblica”, in occasione delle imminenti elezioni del Parlamento europeo, il Ministro degli Esteri polacco, Radolaslaw Sikorski, ha dichiarato. «io spero che la nuova leadership europea, quella che uscirà dalle elezioni, sia all’altezza del grande compito cruciale: rispondere alle sfide resuscitando e restaurando la fede e la fiducia degli europei, dei loro cuori e della loro ragione, nell’Europa». Ecco, la fede. E se al posto di Europa, ci metti 60 x 3 x 5, cioè i parametri di Maastricht, che assicurano la ferrea presa del capitalismo assoluto sul continente, è proprio un auspicio di quella “religione della merce” che proprio in Europa annovera vaste moltitudini di fedeli.

Populismo 2

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In risposta a dei precedenti interventi di McCormick e di Del Savio e Mameli sul populismo, Nadia Urbinati rileva l’ambiguità del termine ed esprime tutta la sua apprensione per il pericolo che il populismo fa correre alla democrazia rappresentativa. Che il termine sia ambiguo, c’è poco da fare, lo si usa, e allora bisogna pur vedere che significa, magari osservando cosa fanno coloro che imputano il populismo e coloro che sono accusati di populismo. Preoccuparsi poi per la democrazia rappresentativa è un bene. In mancanza di meglio, è bene tenersela stretta. Ma se la democrazia rappresentativa deve servire a far comandare i pescecani della Morgan Stanley, per i quali le Costituzioni antifasciste dei Paesi dell’Europa mediterranea sono un ostacolo alla completa glorificazione del capitale, beh, questi antipopulisti sono peggio della toppa sul buco. Il problema vero è come determinare un effettivo cambio di potere nella società, ovvero il capitale che non comandi più sul lavoro. Occupy Wall Street ci ha provato, ma è stata sfiancata a manganellate. Il populismo ci può riuscire? Sta nelle sue finalità? Vediamo. Grillo vuole dare addosso alle banche, per far comandare la piccola e media impresa. La piccola e media impresa fa parte dei subalterni o no? Culturalmente, forse sì, spesso sono degli ex operai divenuti padroncini, ma la loro aspirazione è a staccarsi da quella condizione per andare a comandare capitalisticamente. Quindi, Grillo e soprattutto Casaleggio, al quale danno fastidio coloro che sono «ideologicamente connotati», ciò che vogliono è una ridistribuzione del potere dentro l’attuale assetto sociale. Per ottenere questo, a loro basta e avanza un rivolgimento politico, cioè l’azzeramento dell’attuale classe politica e la sostituzione con un’altra più sensibile agli interessi di un segmento meno “nobile”, meno “titolato” del capitale. Formalmente, questo lo intendono ottenere con un po’ meno di democrazia rappresentativa e con un po’ più di democrazia cosiddetta “diretta”, per la quale la rete, con i suoi tempi e modi spontaneamente autoritari, si presta meravigliosamente. A parte il velleitarismo di questo programma, la situazione non cambierà non solo per la vecchia classe operaia residuale, non solo per i nuovi lavoratori del precariato più o meno cognitivo, ma soprattutto per la nuova e sempre più estesa massa di giovani donne e giovani uomini descolarizzati e disoccupati. Per loro ci sarà qualche mancia, come il cosidetto “reddito di cittadinanza”, magari realizzato licenziando un po’ di statali, vil razza dannata. Una prospettiva di indigenza per tutti. Naturalmente, la miseria del populismo non cade dal cielo. È l’espressione di un momento storico, in cui i rapporti di forza tra capitale e lavoro sono completamente sbilanciati a favore del primo. I subalterni sono perciò un esercito in sfacelo, e non meraviglia che abili capitani di ventura ne ottengano il consenso elettorale da usare per le loro lotte tese a ridistribuire gli interessi dentro l’attuale configurazione di potere. La colpa più grave del populismo non è perciò di attentare alla democrazia rappresentativa, ma di perpetuare la subalternità dei subalterni. Questo è un danno non solo per i subalterni, ma per l’intera società, perché dissipa energie umane che potrebbero rinnovare la condizione di tutti, anche dei pescecani promossi dalla Morgan Stanley, che vanno avanti sniffando cocaina e stuprando bambini delle periferie del mondo.