Proposte semiserie per la pace tra i sessi

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L’incalzare del Me Too sta producendo prese di posizione sino a poco tempo fa impensabili. Il disfattismo maschile prima era confinato in certi fogli di riferimento per i resti di nobili ma decaduti casati di sinistra. Ma quando un caso di violenza di genere, dalla dinamica per altro controversa, tocca una coppia star come il duo Piketty-Filippetti, anche il Corriere della sera si schiera, con un sermone che invita i maschi a pentirsi del loro potere millenario, a riconoscere le proprie colpe, a prendere atto che il potere femminile incombe, e che è inutile resistervi1. Bene, mea culpa, mea culpa, mea maxima culpa. Ma la questione vera è il nuovo potere femminile o la crisi irreversibile della coppia monogamica? Non è che il nuovo potere femminile è solo un prodotto secondario di questa lunghissima e tragica crisi, che ci si ostina a non vedere, e che si cerca di curare con i pannicelli caldi del divorzio, dell’autonomia della donna, della parità dei sessi, delle nuove e bizzarre figure giuridiche dello stalking e del femminicidio? Usciamo fuori dai punti interrogativi e, a costo di romperci l’osso del collo, proviamo ad affermare qualcosa in positivo. La coppia monogamica consacrata in matrimonio può andar bene per una coppia di cardellini, ma non e non più per un maschio e una femmina che Homo sapiens sapiens nel succedersi dei modi di produzione ha elevato a ruoli che ora scoppiano, anche se gli omosessuali con la loro richiesta fuori tempo massimo di riconoscimento matrimoniale le stanno assicurando una sopravvivenza che ha tutta l’aria di un accanimento terapeutico. Non funziona più rinchiudere in un unico cubicolo la funzione riproduttiva, la funzione sessuale, quella economica e quella affettiva. Tutta la società è anacronisticamente organizzata per spezzettare ed ergere a strutture feticizzate le articolazioni e i momenti di queste funzioni, e gli individui, maschi, femmine, presto omosessuali e chiunque del variegato universo LGBT voglia infilarsi in questo ginepraio, semplicemente ne sono stravolti, sino a cadere in nevrosi e psicosi che sfociano nella rabbia e nell’aggressione. Si prenda la funzione riproduttiva. Non c’è bisogno di essere il triste Foucault per osservare che, appena nato, il pargolo, certo con le migliori intenzioni igienico-sanitarie, viene tolto alla madre ed eguagliato nella nursery (più recentemente a volte sostituita da un rooming-in sempre retto però da “oggettive” esigenze igienico-sanitarie). Tornata a casa, la madre è risucchiata dai suoi doveri produttivi, che la spingono a reclamare “democraticamente” di poterlo affidare all’asilo nido, alle baby sitter e ai baby parking. Quale migliore prova, dopo il censitario dare a balia, della servitù volontaria che ha stravolto in massa il rapporto materno? Se invece la madre ha la fortunata sfortuna di non lavorare, essa è abbandonata a se stessa nel chiuso della propria casa, pronta a sviluppare la “normale” depressione post partum che a volte, certo, non sempre, sfocia nell’uccisione del bebé. Con un pizzico di allegra follia, allora, perché non immaginare, in alternativa, una maternità in compagnia? Non asili nido per soli bimbi, ma maternai in cui le madri, se vogliono, crescono assieme alle altre madri il più a lungo possibile i loro rispettivi figli, senza che ci sia un padrone che le licenzi, uno Stato che si occupi intrusivamente dell’educazione collettiva dei loro nati, di un marito che reclama di nuovo l’accesso dopo tanta attesa alle loro parti erotiche. E qui si può dire qualcosa circa la funzione sessuale e quella affettiva. Certo, caro Ilič, il rapporto sessuale non può essere come bere un bicchier d’acqua, e l’amore libero è un mito libertino che funziona quando per tutti gli altri libero non è. Ma, anche qui rendendo il giusto omaggio al futurismo fourierista, che ne sarebbe di una prostituzione gratuita? Già si levano le alte strida del benpensantismo di tutto l’arco costituzionale. Ma immaginiamo che, all’epoca del passaggio dalla Repubblica all’Impero romano, che gli storici individuano come una svolta decisiva nelle trasformazioni profonde della mente greco-romana e quindi capitalistico-borghese-occidentale, immaginiamo, dicevamo, che anziché l’orientamento repressivo colto al volo per fini di potere dall’incombente Cristianesimo, avesse trionfato la già fiorente religione sessuale, con i suoi riti e culti. Anziché preti e suore che donano gratis il loro amore spirituale, non avremmo forse avuto baccanti e sacerdoti che avrebbero fatto dono spirituale del loro corpo materiale? Si tratterebbe dunque di riprendere questo filo interrotto, anzi sepolto sotto la coltre di una proscrizione corporale, la cui spiritualità isterica deborda ormai continuamente nel patologico. Che dire infatti della pedofilia, dell’omosessualità e del lesbismo che alligna in chi professa la donazione gratuita di amore spirituale? Ci sarebbe dunque da riflettere spregiudicatamente su una prostituzione maschile e femminile che, anziché essere abbandonata alla bassezza del mercimonio e della pornografia, ritornasse nuovamente nel recinto del sacro, liberando così il rapporto affettivo tra maschi e femmine, e in generale tra gli individui, dalla malafede del reciproco possesso sessuale mascherato da amor cortese. Un rapporto affettivo reso a se stesso, infine, in cui il sesso potrebbe esser compreso come una delle possibilità, non necessariamente da esperire, poiché l’affettività liberata finalmente da secondi fini potrebbe generare quell’amicizia perfetta cui ogni essere umano aspira, e che, nella sua perfezione, è già così difficile da esperire, poiché nella fusione reciproca continuamente risorge il sé che insidia l’integrità dell’altro2. E perciò, caricare questa già fragile navicella di compiti impropri è davvero cosa eccessiva che l’ipocrita società in atto richiede agli individui. E quando lo scollamento di tutte queste incongrue contiguità fosse stato messo in opera, la funzione economica, con tutti i suoi ingranaggi produttivi e i suoi feticci patrimoniali, non avrebbe più tutta quella nefasta voce in capitolo che adesso ha, anche perché abbiamo volutamente omesso di dire che essa dovrebbe per prima essere scollegata dal viluppo infernale in cui giace, spinta al massimo nella sua potenzialità produttiva, ma sotto l’egida di una rigorosa utilizzazione collettiva della propria indispensabile energia. Se è difficile pensarla tra le nazioni, la pace perpetua ancora più difficile è immaginarla tra i sessi, dove fra l’altro si tingerebbe di involontaria ironia, dal momento che il senso comune rifugge giustamente dalla pace dei sensi. Ma sembra di buon senso affermare che almeno una tregua tra i sessi non la si ottiene costringendo il maschio a pentirsi del suo lungo potere sulla femmina, bensì sottraendo gli individui all’anacronistica coppia monogamica e alla sua strutturale ingiustizia. In essa, infatti, per somma ingiuria, non c’è un terzo che ne dirima le controversie che quotidianamente sorgono, se non nella fase estrema e meccanica della dissoluzione giudiziaria. E gli individui che in essa sono presi, sono costretti dalle sue perverse dinamiche ad offendere e a farsi giudici di tali inevitabili offese, in un tormento interiore che li logora ed immiserisce. Come tutto ciò che riguarda la società in atto, tanto dunque appare lontano ed irrealistico tale rivoluzionamento, tanto invece è urgente e richiesto dalla gravità della crisi etica in cui gli individui tragicamente si dibattono.

 

  1. A. Polito, Come nasce la violenza degli uomini sulle donne, «Corriere della sera», 3 dicembre 2019, pp. 1 e 20. []
  2. Su questo punto, splendide pagine in C. Montaleone, Atomi, corpi, amori. Saggio su Montaigne, Milano, Mimesis, 2019. []