In un articolo pubblicato ieri sul “Fatto Quotidiano”, Giancarlo Caselli se la prende con i No Tav, paragonandoli agli squadristi fascisti, che intimidivano e picchiavano, a Berlusconi, che quando è processato si lagna dei giudici che lo perseguitano ingiustamente, e alle BR, che terrorizzavano gambizzando e ammazzando. Caselli, che è stato contestato dai No Tav in alcune iniziative pubbliche cui ha preso parte, vorrebbe solidarietà da quegli intellettuali che invece, a suo dire, si voltano dall’altra parte e sono più propensi a denunciare l’accanimento giudiziario contro i No Tav. Ma “L’Espresso” di questa settimana (n. 28/29.5.2014), con un servizio richiamato addirittura in copertina, documenta il caso di quattro giovani che, nel corso di una protesta in Val di Susa, avrebbero partercipato alla manomissione di un compressore, e che per questo sono stati arrestati nottetempo con l’accusa di terrorismo, subendo ancora oggi una pesantissima carcerazione. Caselli afferma che con le loro contestazioni i No Tav mirano a “colpirne uno, per educarne cento”, ma qui la magistratura ne ha sicuramente colpiti quattro, e da mesi ormai, come si sottolinea nell’articolo, le proteste in Val di Susa si sono fatte rare e guardinghe. Ciò che Caselli chiede è che la magistratura possa liberamente svolgere «l’esercizio della giurisdizione» per i reati «ricondotti dall’accusa all’area dell’estremismo No-Tav». Ma nel caso dei quattro giovani arrestati con l’accusa di terrorismo pare che questa libertà sia andata ben oltre i limiti. Caselli, che ha maneggiato il delicatissimo reato di concorso esterno in associazione mafiosa, non può non sapere che l’esercizio della giurisdizione non è un algoritmo sacerdotale, ma una pratica che deve essere ispirata dalla prudenza. La magistratura è un potere dello Stato, ma di uno Stato che non appaia come l’espressione di interessi politico-economici tanto giganteschi, quanto lontani dalla vita quotidiana delle persone. Questo è il problema che i No Tav pongono, che non può essere affrontato con lo stesso metro con cui si affronta un reato di mafia o di corruzione nella vita pubblica.