Il diritto di proprietà è più arcaico, legato com’è all’ozio del padrone, mentre il diritto del lavoro è più moderno, poiché si afferma nello scontro tra lo schiavo e il padrone, che è uno scontro, come mostra Hegel, che illumina pure la coscienza del padrone. Che ciò non sia mera speculazione filosofica, lo si vede bene nella pratica dei giuristi romani i quali, di fronte alla questione di chi fosse l’oggetto, se di chi lo aveva posseduto da sempre, o di chi lo aveva modificato con il proprio lavoro, in epoca più recente facevano prevalere la seconda soluzione, a differenza di quanto accadeva in un’età più risalente quando, essendo ancora il lavoro disprezzato come pratica vile, si faceva prevalere il diritto proprietario. È vero che non bisogna scomodare le grandi cose del passato per i miseri casi del presente, ma non si può fare a meno di pensare ad esse sentendo Matteo Renzi declamare che la sinistra sta «dalla parte dei più deboli»1. Ma quali deboli?! Nel tanto esecrato Novecento, gli operai e i contadini sono stati protagonisti non perché deboli, ma perché si battevano per far prevalere, sull’arcaico diritto di proprietà, il ben più moderno diritto del lavoro. Erano quindi gli agenti di una trasformazione sociale che apriva per tutti, padroni ed operai, orizzonti più larghi ed universali. È questo il nocciolo del discorso di Gramsci sulla funzione dirigente dei subalterni, in rottura con un certo socialismo sentimentale, nel quale invece con rivendicazioni “debolistiche” come quelle del Gianburrasca fiorentino si ricade con tutti e due i piedi. Ma cosa gliene importa a Renzi di tutte queste storie, lui è mica un “margheritino” che si impunta sull’adesione del PD al “socialismo europeo”, lui è spregiudicato, per lui il “socialismo” è solo un taxi che gli serve a fare un certo tratto di strada della sua bella carriera di uomo di potere, e poi scenderà, e farà il gesto dell’ombrello, tra gli applausi del pubblico in delirio.
- M. Renzi, Ecco la mia sinistra: sta con i più deboli e non ha bisogno di esami del sangue, “la Repubblica”, 22 novembre 2014 [↩]