Spaventati dalle bordate di dazi sparate da Trump, molti si sono concentrati sui loro effetti sull’economia mondiale ma pochi hanno considerato le loro conseguenze interne agli Stati Uniti. Come nota Jeffrey Sachs in vari suoi interventi, se si prende il caso dell’industria automobilistica, le tariffe aumenteranno i prezzi delle automobili e i salari dei lavoratori del settore automobilistico, ma per effetto complessivo dei dazi questi aumenti salariali non serviranno a compensare l’abbassamento complessivo del tenore di vita degli americani. Sempre Sachs si sofferma sul nesso tra deficit commerciale e deficit di bilancio e mostra che il deficit totale risulta dalla differenza tra la spesa totale dell’America nel 2024 (30,1 trilioni di dollari) e il suo reddito nazionale (29,0 trilioni di dollari). Conclusione, l’America spende più di quanto guadagna e prende in prestito la differenza dal resto del mondo grazie alla forza del dollaro e al suo ruolo di valuta di riferimento. Qui Sachs si ferma, ma è chiaro che la forza del dollaro non deriva solo dalla sua funzione economica ma da fattori politici, altrettante voci del deficit di bilancio, quali le spese di guerra dirette e indirette, quelle per le agenzie di intelligence e da una fiscalità favorevole ai ricchi. E siccome il commercio globale erode la base produttiva dell’America, che così rischia di montare la guardia a un sistema produttivo mondiale che non la rafforza ma la indebolisce, si vede come i costi dell’impero sono dei circoli viziosi che non è folle ma saggio interrompere, proprio quello che sta cercando di fare Trump con il mix di dazi esterni per rinvigorire la base produttiva industriale interna e tagli interni per ridurre la spesa pubblica come quelli avviati da Musk con il suo DOGE. Il fatto però è che il DOGE ha licenziato migliaia di impiegati pubblici, stretto i controlli su chi è rimasto, tagliato fondi per istruzione, ricerca e sviluppo, ma si è guardato bene dal revocare i tagli fiscali per i ricchi e dall’avviare controlli sull’elusione e sull’evasione fiscale, anzi pare che il DOGE, con la scusa di tagliare la spesa pubblica, abbia svuotato la capacità di controllo dell’IRS, l’agenzia governativa per la riscossione dei tributi. Insomma, mentre i dazi sono una guerra inter-capitalistica, il risanamento del bilancio, cioè i costi interni dell’impero, sono tutti a carico delle classi lavoratrici. E siccome i miglioramenti salariali che dovrebbero derivare da un rinvigorimento della base produttiva industriale saranno annullati, come detto prima, dall’abbassamento complessivo del tenore di vita degli americani, cioè dalla riduzione dei loro consumi, tutta l’operazione di Trump si configura come una gigantesca manovra di austerità introdotta nel paese che, grazie al suo ruolo imperiale, non aveva sinora conosciuto questa lebbra del capitalismo. Ma c’è dell’altro. Abbiamo detto che il DOGE di Musk ha tagliato le spese della CIA e di agenzie di intelligence come l’USAID, che per decenni ha distribuito fondi a ogni sorta di amici dell’America, compresi i preti ortodossi ucraini scismatici per la stampa, a questo punto di necessità sospesa, dei loro nuovi calendari liturgici. Inoltre, è stata chiusa Voice of America, la stazione radio simbolo della Guerra fredda. Questi tagli, sommati alla svolta dal consumo all’austerità imposta surrettiziamente alle classi lavoratrici, segnalano sol che lo si voglia vedere che l’America sta iniziando a sganciarsi dall’americanismo, cioè da quel modo di vita libertino e appariscente promosso da ogni sorta di prodotto culturale per la cui suggestione tutto il mondo si identificava con l’America. Intendiamoci, al consumismo, all’edonismo, alla morale libertina dovranno rinunciare non i ricchi, invitati anzi ad arricchirsi di più, bensì i salariati, ma i ricchi, non si sa se per giustificare la svolta che i vincoli della struttura loro impone o perché effettivamente c’è stato un cambiamento nella loro grassa sovrastruttura ideologica, sono entrati in modalità cupa tipica di quando il rimosso si risveglia materializzandosi in inattese inversioni dialettiche. Prendi la lettura a controsenso nei circoli dei miliardari hi-tech, di cui Musk è la figura più in vista, del vecchio libro di James Burnham, The Managerial Revolution, con la quale lo scontro fra capitalisti e manager si trasforma in quello tra capitalisti tecnologi, tornati grazie alla tecnologia smart a mettere le mani nella produzione, e i loro manager e dipendenti soggiogati dall’ideologia Woke con cui insidiano il loro potere. O prendi le analisi, tenute in gran conto sempre nei suddetti circoli, di Alexander Karp e Nicholas Zamisky avanzate nel loro recente libro The Technological Republic: Hard Power, Soft Faith, and the Future of the West, con cui, rifacendosi a Irving Kristol, il troskista che divenne il papa del fondamentalismo “liberal”, si sostiene che compito odierno della nostra civiltà non è quello ormai impossibile di riformare l’ortodossia secolare e razionalista, ma di dare nuova vita con spirito profetico alle ortodossie religiose tradizionali. È tutta la ben nota disperazione un tempo provocata dalla minaccia comunista che oggi si traduce in una funerea morale in cui l’edonismo delle masse viene sostituito dal ritorno del patriottismo quale si espresse nella Seconda Guerra Mondiale, il ruolo dello Stato si rafforza con espulsioni e deportazioni, una nuova etica della partecipazione si afferma tra i talentuosi della scienza e degli affari, l’innalzamento costante degli standard di vita della popolazione a tutti i costi viene abbandonato, e ci si prepara a una dura sopravvivenza nelle condizioni di crescente turbolenza globale, di riduzione delle risorse, di peggioramento delle sfide ambientali e naturalmente di aggressione demografica dall’esterno. Ma nell’attesa che, come vuole Musk, un’avanguardia di cotali eletti voli su Marte per scongiurare la fine dell’umanità, che fare? Anche qui, a capirlo aiuta un dettaglio. Trump freme di abbandonare la NATO e di poter tagliare le spese di guerra in Ucraina (e forse in Medio Oriente). Come mai? È così sciocco da voler abbassare il ponte levatoio permettendo così ai suoi nemici di penetrare nella fortezza occidentale? No, è che la NATO e avventure come il sostegno all’Ucraina (e forse a Israele) non servono più, poiché molto più utile appare, ad esempio, un’Alleanza del Nord tra America e Russia al posto di un’Europa morente, contro Cina musulmani e resto del mondo. Al posto dello “scontro di civiltà”, dunque, un “patto di civiltà” con cui, come pensano i rispettivi circoli dirigenti, per quanto grandi possano essere le rispettive differenze, in quanto ortodossi e protestanti si può rinvenire un terreno comune nei valori della tradizione propri della comune matrice cristiana. E poiché sia cinesi che musulmani, i primi con il loro confucianesimo, i secondi con il loro comunitarismo autoritario, guardano alla tradizione come al modo di vita più sicuro per conseguire la ricchezza, il cristianesimo dell’Alleanza del Nord finirebbe per essere il tempio sconsacrato in cui al posto del tabernacolo potrà essere reinstallato il vitello d’oro che tutto il mondo adorerà. Se così sarà, non sarebbe insensata l’attesa di un nuovo Mosè che, raggiante di due fasci di luce, scende a profligare questi sfacciati sfruttatori che spacciano per civiltà il loro vile commercio.
P.S. La revoca per 90 giorni dei dazi non cambia nulla agli effetti interni sopra descritti perché le trattative tra gli USA e i paesi colpiti dalle misure protezionistiche avranno esito positivo solo se si tradurranno in una ripresa del tessuto industriale americano.