democrazia

Democrazia e benessere

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Mentre continua la sfrenata concorrenza tra Pfizer, il cui vaccino anti-Covid è magnificato dai mezzi di disinformazione di massa, e Astrazeneca, il cui vaccino è denigrato forse perché, secondo il sospetto di molti, non costa abbastanza caro, lo Sputnik russo e i vaccini cinesi, per non parlare di quelli cubani in fase di avanzata sperimentazione, ridicolizzano la famelica voracità di codeste compagnie delle buone opere cui è affidato il benessere delle democrazie occidentali e del mondo intero. Benessere è il valore che, nel nuovo corso di Biden, deve legittimare la democrazia nella sua sfida alle autocrazie, il nuovo campo avverso che nella politica estera statunitense ha preso il posto dei fantasmi del passato. L’assunto di base è che il mondo ha ormai un’unica costituzione economica, il cui sviluppo ininterrotto deve essere assicurato dal gioco di cooperazione e competizione le cui redini siano tenute saldamente in mano dall’Occidente e dalla sua spina dorsale, l’America, che, dopo la sbandata trumpiana, è finalmente ritornata in forze1. Il conflitto riguarda quindi solo la sfera politica, mentre tutto il resto è fissato per sempre. Quanto sia illusoria questa tesi è dimostrato anzitutto dall’incapacità di tale costituzione economica di assicurare, nel pieno della più grande epidemia della storia moderna, non tanto il benessere ma anche solo la salute della popolazione dell’Occidente capitalistico, per non parlare di quella mondiale. La sfrenata concorrenza tra i monopoli farmaceutici cui si accennava all’inizio impedisce, infatti, l’ottimale produzione e distribuzione di farmaci e vaccini, e anzi dà luogo ad accaparramenti che evidenziano ancor più le rivalità e le divisioni interne del fronte occidentale. In secondo luogo, la forma tutta politica del conflitto è resa al momento possibile da una dittatura finanziaria mondiale necessaria alla riproduzione del capitale, la cui conseguenza è la crescita dei conflitti intercapitalistici, la polverizzazione del lavoro e la distruzione di quel ceto medio che il nuovo corso di Biden intenderebbe ricreare. Una situazione tecnicamente “fascista”, che non si tramuta come negli anni Trenta del secolo scorso in aperta dittatura politica solo perché il fascismo, sfrondato dei suoi storici addobbi simbolici, permea occultamente con la sua essenza autoritaria un gioco parlamentare asfittico e corrotto, come dimostra il caso italiano, dove nella recente crisi di governo pur di non andare alle urne si è preferita una maggioranza ancora più eterogenea della precedente, sicuro viatico di paralisi e fallimento. Il risultato di queste sottrazioni di volontà popolare, di un popolo per altro annebbiato nelle sue capacità di scelta da decenni di ottundimento del conflitto sociale, è che la democrazia si tramuta in un’anarchia plutocratica, aggravata dal fatto assai urticante per i democratici che, in determinati momenti, come la attuale pandemia, le autocrazie non solo si rivelano più efficienti nell’assicurare quanto meno la salute alle loro popolazioni, ma sono più convenienti della democrazia per le nazioni ai margini dello sviluppo capitalistico, che oggi si rivolgono a loro nella lotta contro la pandemia, e domani, chissà, anche per il modello di organizzazione sociale. Così, la legittimità della democrazia frana e le autocrazie possono proporsi al mondo come nuove e benigne potenze egemoni. Purtroppo, per il loro passato che ha ripreso il sopravvento su negazioni troppo “illuministiche”, questa nuova egemonia non potrà che realizzarsi come una “feudalizzazione” economica, poco importa che prenda il sembiante di un insieme di “mondi a parte” o di una “armonia” mondiale. Perciò, per evitare un tale “nuovo medioevo”, l’Occidente, contrariamente a ciò che ritengono i democratici alla Biden, deve tornare a parlare al mondo non restaurando un benessere già sperimentato nella forma di una ormai insostenibile vita affluente incarnata dalla sua defunta classe media, ma in nome di una critica finalmente pratica di quella struttura economica capitalistica che le autocrazie non esitano a far propria in maniera reazionaria e che imprigiona l’Occidente stesso rendendolo debole e inviso.

 

  1. Cfr. il discorso di Biden alla Conferenza di Monaco sulla sicurezza (https://www.whitehouse.gov/briefing-room/speeches-remarks/2021/02/19/remarks-by-president-biden-at-the-2021-virtual-munich-security-conference/), che appare in linea con il senso delle proposte di un recente rapporto Carnegie (https://carnegieendowment.org/2020/09/23/making-u.s.-foreign-policy-work-better-for-middle-class-pub-82728). []

Contrappasso

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La cosa più penosa era vedere i media di tutte le tendenze esorcizzare l’evento. Non facevano più cronaca ma pronunciavano dei vade retro. E mentre scorrevano immagini che nessuno di loro aveva girato, i corrispondenti emettevano accorate previsioni su quanto ancora sarebbe potuto succedere di peggio. Diciamolo, quest’aria funesta non era ingiustificata. Era accaduto che i rappresentati avevano invaso il palco della rappresentanza e avevano scacciato in malo modo i rappresentanti. La democrazia rappresentativa non c’era più. Certamente, la dissacrazione era opera solo di una parte, e la parte restante ribolliva di rabbia, come si capiva dal “now” con cui il nuovo presidente ingiungeva al vecchio di andare in tv e porre fine allo scempio. Si badi bene, non in piazza, non fra i suoi sostenitori che erano lì a due passi e su cui pure si poteva presumere che avesse un qualche ascendente, ma in tv. Bisognava insomma ricostruire, “now”, ciò che era stato distrutto, non solo la rappresentanza, ma la rappresentazione televisiva della rappresentanza. Tuttavia, l’aria sonnolenta (è proprio così, sembra che dorma in piedi) con cui quel “now” veniva scandito faceva sorgere tanti interrogativi. Come si era arrivati a tanto? Quale sentire era stato così profondamente sfidato da infondere a quella parte di rappresentati quel coraggio sconsiderato? Beh, intanto bisognava subito etichettarla, e dare un’idea del suo abominio: estremisti di destra, neonazisti, suprematisti, complottisti, negazionisti. E in effetti per molti aspetti si trattava proprio di quell’abominio, ma non una parola però sulla politica intrigante che con patti e promesse più o meno inconfessabili forma coalizioni, compatta interessi, aggrega cordate dietro le quinte della rappresentanza, il cui copione può essere così recitato nelle forme e nei riti che tutto lavano e purificano. Al momento della formazione della nuova compagine dei ministri, non era stato infatti annunciato che il ministero dei trasporti sarebbe stato assegnato al giovane sindaco che con il suo ritiro dalla contesa presidenziale aveva favorito il raccordo attorno al vispo, ehm, Joe Biden? Era l’egemonia, bellezza, ridotta però a un minuetto di incipriati convinti di poter soffocare nel buio della sala l’egemonia maior che si gioca tra la sala e il palco e che consente al palco di rilucere solo se la sala vuole. Quegli incipriati invece, al netto di qualche fischio, davano ormai per scontato questo consenso, la democrazia non è forse la fine della storia? E invece la storia stava per rimettersi in moto, era da mesi che le sue ruote sgommavano nel fango, ma quegli azzimati continuavano a pavoneggiarsi nei loro sparati bianchi, trattando posti e cariche da cui gestire l’eternità. Certo, quante altre volte l’esasperazione per un così sfrontato disprezzo era montata, la sala aveva rumoreggiato, ondeggiato, si era scagliata contro il palco, ma la sua furia alla fine domata? Cos’era accaduto questa volta per permetterle di invadere il palco e sloggiarne gli occupanti? C’erano dei filmati che lo mostravano: da un lato poliziotti che sparavano a bruciapelo, dall’altro barriere che si aprivano, gente in divisa che faceva filtrare i dimostranti, plotoni di poliziotti che menavano pugni nell’aria e spruzzavano peperoncino con cui al massimo condire una pasta scotta. Erano gli apparati di forza divisi e squagliati di fronte a ordini ambigui – la morte per un apparato di forza. Ed ecco dunque squadernate davanti alla platea mondiale tutte le budella del potere, donde l’orrore dei media che non riuscivano a rimetterle frementi e fumiganti nella pancia squarciata da cui erano fuoriuscite. Sudamericana, proruppe ad un certo punto il corrispondente davanti a tanto spettacolo, sì, era una situazione sudamericana, come quando, ignobili assassini, nel Cile degli anni Settanta gli aerei foraggiati dai cultori della democrazia avevano bombardato il palazzo di un presidente legittimamente eletto. Ecco, ora quella oscenità, quel sacrilegio che in quel remoto paese era stato ritenuto giusto e necessario accadeva lì dove mai nessuno avrebbe immaginato che la sacra rappresentanza potesse essere violata.

I cannoni di Scalfari e la morale di Napolitano

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Vada come vada, questo referendum ha già avuto il risultato di far cadere un po’ di veli. Si prenda Eugenio Scalfari. Il 3 ottobre scorso, avendo letto e meditato sulle visioni politiche dei grandi classici, se ne uscì con un editoriale che inneggiava all’oligarchia in quanto sola forma di democrazia, con l’argomento che «l’oligarchia è la classe dirigente, a tutti i livelli e in tutte le epoche»1. Seguiva una messe impressionante di fatti storici, da Platone alla Democrazia cristiana, che dimostravano che «oligarchia e democrazia sono la stessa cosa»2. Ora, tutti abbiamo studiato a scuola che, per Platone, l’oligarchia, detta anche da lui timocrazia, era il governo di pochi malvagi. Per non parlare di Aristotele, per il quale l’oligarchia era la degenerazione dell’aristocrazia. Ma Scalfari aveva letto e meditato, e quindi si poteva permettere una simile innovazione, perché in fondo ciò che voleva affermare era che il governo è un affare dei dominanti, che sono tutto, mentre i dominati  sono solo un… – ma Scalfari alludeva a Pareto o al Marchese del Grillo? Come che sia, egli ha martellato con questo argomento durante la sua campagna elettorale a favore del sì, sino all’editoriale del 1° dicembre, con il quale ha completato l’opera, scrivendo che il sì era necessario per l’Europa: «il capitale è una forza fondamentale della storia moderna e può essere una forza positiva o sfruttatrice. Lo dimostrò Marx alla metà dell’Ottocento: riconosceva la forza positiva del capitalismo che era in quel momento il motore della rivoluzione industriale e al tempo stesso delle libertà borghesi, premessa della rivoluzione proletaria. Ecco perché l’Europa federalista è indispensabile e deve essere il principale obiettivo della sinistra moderna»3. Quindi, l’Europa federalista è borghese e capitalista, e siccome il capitalismo borghese è la premessa della rivoluzione proletaria, la sinistra moderna, se vuole la rivoluzione, deve sostenere l’Europa federal-capitalista. Pareto, che era uno scienziato, di fronte a simili ragionamenti, si faceva beffe degli “intellettuali”, definendoli produttori di cannoni dipinti4. Benché dipinti, però, i cannoni di Scalfari non sparano a salve. Con ragionamenti come quello sopra citato, egli a far data almeno da Razza padrona, il massimo della critica dell’economia politica cui i sui profondi studi l’hanno condotto, ha preso in giro la sinistra, una sinistra ovviamente che aveva tutto l’interesse a farsi prendere in giro da un così abile fabbricatore di “derivazioni”, giusto il termine tecnico di Pareto, ovvero di ragionamenti manipolatori con i quali assopire i governati. Prendiamo Giorgio Napolitano. Tutto si può dire di lui tranne che sia uno che si fa manipolare, ma il 2 dicembre scorso, tre mesi dopo l’editoriale con cui Scalfari sconvole la scienza politica, e un giorno dopo in cui Marx fu da lui arruolato per la vittoria del sì, ha testualmente dichiarato che «non esiste politica senza professionalità come non esiste mondo senza élite»5. E qui si capisce a cosa servono le derivazioni: senza di esse Napolitano sarebbe rimasto un forbito compagno della Direzione del fu Partito comunista italiano, invece dipingendo cannoni è salito al Quirinale. Ma Napolitano, che ha una coscienza, cerca anche il conforto della morale. Così, in questi anni si è recato molte volte a Ghilarza, paese natale di Antonio Gramsci, e da ultimo anche a Milano, dove nel maggio scorso gli originali dei Quaderni del carcere sono stati esposti accanto ai quadri di Renato Guttuso. Non siamo certo alle reliquie, perché c’erano anche i dipinti, gli onnipresenti cannoni dipinti, uno dei quali questa volta è servito a Napolitano per emettere i canonici sette colpi a salve, in onore del Gramsci «monumento morale»6. Bene, ma con le élite come la mettiamo? Ecco cosa ne pensava Gramsci, prima di essere moralmente cannoneggiato da Napolitano: «ma in realtà solo il gruppo sociale che pone la fine dello Stato e di se stesso come fine da raggiungere, può creare uno Stato etico, tendente a porre fine alle divisioni interne di dominati ecc. e a creare un organismo sociale unitario tecnico‑morale»7. E se non fosse chiaro, ecco come si esprimeva ancora in proposito il grande sardo: «si vuole che ci siano sempre governati e governanti oppure si vogliono creare le condizioni in cui la necessità dell’esistenza di questa divisione sparisca? cioè si parte dalla premessa della perpetua divisione del genere umano o si crede che essa sia solo un fatto storico, rispondente a certe condizioni?»8. Gramsci, che era un socratico, poneva domande. E Napolitano, che si fa prestare i cannoni da Scalfari, complice il referendum, la risposta finalmente l’ha data: «non esiste mondo senza élite». Domani, vinca il sì o vinca il no, almeno questo, alla faccia di Gramsci, l’abbiamo chiarito.

  1. E. Scalfari, Zagrebelsky è un amico ma il match con Renzi l’ha perduto. Il primo errore è stato la contrapposizione tra oligarchia e democrazia, “la repubblica”, 2.10.2016, http://www.repubblica.it/politica/2016/10/02/news/zagrebelsky_renzi_scalfari-148925679/ []
  2. Ibidem. []
  3. E. Scalfari, Il Quirinale tra Waterloo e Ventotene, “la Repubblica”, 1.12.2016, p. 1 e 31. []
  4. V. Pareto, Trattato di sociologia generale, Torino, UTET, 1988, 4 voll. vol. IV, § 1923, nota 1, p. 1892 []
  5. “Corriere della sera”, 2.12.2016, p. 6 []
  6. http://www.corriere.it/cultura/16_maggio_23/gramsci-guttuso-gallerie-d-italia-milano-intesa-san-paolo-quaderni-carcere-quadri-bazoli-napolitano-1aa5c18e-211e-11e6-a5a3-c2288e2f54b5.shtml; ma v. anche http://www.sardinews.it/pdf/dossier%204_2007.pdf []
  7. Q. 8, § 179. []
  8. Q. 15, § 4. []

Oligarchi per caso

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All’inizio, parlò Briatore. Ad una platea di imprenditori pugliesi, ramo turismo, ha spiegato che per una clientela di rango non bastano cascine e masserie, prati e scogliere: ci vogliono hotel extralusso, porti per gli yacht e tanto divertimento. E per chiarire il concetto, ha precisato: “Il ricco vuole tutto e subito. Io so bene come ragiona chi ha molti soldi: non vuole prati né musei ma lusso, servizi impeccabili e tanta movida”1. Poi, ha dato la seguente notizia: “ci sono persone, che quando sono in vacanza spendono 10-20mila euro al giorno”2. Non ci sono state né sollevazioni, né tumulti. Solo Crozza ha riproposto stancamente l’imitazione del personaggio in chiave comica.

Ma qui c’è poco da ridere, perché qualche giorno dopo Eugenio Scalfari ha spiegato che la democrazia è oligarchia, e “l’oligarchia è la classe dirigente, a tutti i livelli e in tutte le epoche”3. Subito è partito il dibattito, e chi ha convocato Platone, chi Aristotele, chi Polibio. Zagrebelsky ha convocato se stesso e, torinese e cortese com’è, stava quasi per dare ragione a Scalfari, il quale non ha gradito, e ha perciò precisato: “che l’oligarchia sia il governo dei pochi lo diciamo tutti e due. Che faccia un governo per i ricchi lo dice solo Gustavo e che i ricchi facciano i loro propri interessi a danno dei molti, anche questo lo dice soltanto lui, non io”4. Eh, sì, Gustavo, ti sbagli, una persona che, quando è in vacanza, spende 10-20mila euro al giorno, forse che fa i propri interessi? No, caro, sta creando tanti posti di lavoro. Poi, che l’oligarchia lavori per lui e per i pochi ricchi come lui, è solo una coincidenza, credimi. La classe dirigente non si abbassa a queste cose, al massimo fabbrica giornali di cui il personaggio che viene tutti i giorni attaccato, è socio occulto5. Così, tanto per prendere in giro l’opinione pubblica.

Dunque, per riassumere, ricchi, ricchi sfondati, e oligarchi per caso. Pensavamo di averle sentite tutte, e invece è intervenuto Davide Serra, finanziere di terra, di cielo e di mare, oltreché di isole lontane, che in televisione, in tenuta d’ordinanza, camicia bianca con maniche arrotolate, ha spiegato che l’Italia è “un paese ricco: il conto corrente di un italiano è mediamente doppio di quello di un tedesco”6.

Allora si è capito perché quando Briatore ha dato la notizia di cui sopra, non ci sono state sollevazioni e tumulti: l’Italia è un’oligarchia. Un’oligarchia per caso. Un caso unico di oligarchia di massa. Ma Serra aveva altro da rivelarci. Lui è stato in Cina, e lì, è vero, non c’è democrazia, ma dal punto di vista economico in Cina non c’è dittatura, perché dal punto di vista industriale, lì creano, e quindi l’imprenditoria è democratica7.

Quindi, l’Italia è una ricca oligarchia di massa, mentre la Cina è una ricca democrazia imprenditoriale. Sembrano sottigliezze, ma in Cina creano, in Italia no. Come fare per creare anche in Italia? C’è il governo Renzi, ha specificato Serra, che ha capito che “il lavoro dà dignità all’uomo e se puoi lavorare è perché ci sono imprese”8. Ecco perché, Serra ha concluso, il governo Renzi “è l’unico governo che ha capito che bisognava creare posti di lavoro. Con il jobs act ha abbassato il costo del lavoro, e abbiamo creato 600 mila posti di lavoro”9.

A questo punto, tutti i sillogismi sono scoppiati, e Aristotele ha chiuso il Liceo e se ne è andato in vacanza nel Salento, dove ha incontrato Briatore che cercava di convincere un ricco a spendere, non 20, ma 25 mila euro al giorno, che ti costa, ricco di merda, 5 mila euro al giorno in più, cosa sono per te? Allora, Aristotele, ha chiamato al cellulare Marx, un semplice cellulare da tredici euro, e gli ha detto: “senti, Carlo, so che tu mi stimi molto, perché ho capito per primo, tanto tempo fa, la logica del valore di scambio, ma mi vuoi spiegare come funziona questo cavolo di capitalismo pienamente sviluppato?”. Marx ha fatto una lunga pausa, lunghissima, sembrava che la linea fosse caduta, poi ha enunciato le seguenti glosse: “il capitalismo è una dittatura, e il signor Scalfari è un filisteo che illustra bene la miseria del giornalismo. Il suo concetto di oligarchia è una mascheratura dell’ideologia italiana, quella delle élite di Pareto e Mosca, i quali però riderebbero delle sue robinsonate. Dunque, il capitalismo è una dittatura di classe, che è democratica per i capitalisti. Il giovane Serra intuisce l’essenza del processo, ma siccome gli uomini lo fanno, ma non lo sanno, la democrazia di cui egli parla con falsa coscienza, è la democrazia in cui il lavoro è dignitoso se, valorizzando il capitale, rafforza la dittatura che lo opprime. Ai miei tempi, Serra, e quelli come lui, non parlavano in prima persona, ma delegavano al loro posto gli economisti borghesi. Adesso, invece, i capitalisti, specie quelli che non hanno mai visto una fabbrica, parlano in prima persona, e questo è il post-capitalismo o neoliberismo, fate voi, che sempre dittatura è. Ai miei, glielo avevo detto, fate una contro-dittatura. Allora, caro e stimato Aristotele, devi chiedere a Lenin perché la cosa non è riuscita”. Già, Lenin, ha pensato Aristotele, riapro il Liceo, e per l’anno prossimo organizzo un seminario sul centenario della Rivoluzione d’Ottobre. Magari, qualcosa finiamo per capirci.

  1. http://bari.repubblica.it/cronaca/2016/09/19/news/otranto_briatore_twiga_salento-148122638/ []
  2. Ibidem []
  3. http://www.huffingtonpost.it/2016/10/02/scalfari-zagrebelsky-renzi_n_12292742.html []
  4. http://www.repubblica.it/politica/2016/10/13/news/perche_difendo_l_oligarchia-149655377/ []
  5. Ecco, in proposito, quanto racconta lo stesso Scalfari: “Ma durante la “guerra di Segrate” ci fu un particolare divertente. Ciarrapico, molto amico di Andreotti, era stato scelto come mediatore e dopo sette mesi riuscì faticosamente a trovare l’accordo tra il nostro gruppo, rappresentato da Carlo De Benedetti, e Berlusconi. L’accordo doveva essere reso pubblico un certo giorno ma scoppiò il caso delle spese legali, che ammontavano a 50 milioni in lire. Ciarrapico risultava introvabile, per riposarsi era andato con una ragazza in un hotel. Caracciolo aveva cercato di far intervenire direttamente De Benedetti, ottenendone peraltro un rifiuto perché era evidente che le spese legali non toccasse pagarle a chi aveva vinto la contesa ma a chi l’aveva persa, ed era Berlusconi. Il quale tuttavia rifiutava in modo assoluto e diceva che semmai sarebbe nata una crisi legale per vedere chi dovesse pagare. A quel punto dovetti intervenire io e dopo molti suoi rifiuti riuscii a persuaderlo promettendogli e dandogli la mia parola d’onore che se lui accettava di pagare le spese legali io l’avrei trattato d’ora in avanti come un socio cioè eventuali notizie che lo riguardassero sarebbero state anzitutto rese note a lui che ne dava la sua interpretazione dopodiché l’inchiesta sarebbe andata avanti come sempre accade in tutti i giornali. Lui ci pensò qualche minuto e alla fine mi disse che accettava e il mio impegno durò fino a quando divenne presidente del Consiglio”. L’articolo per intero è consultabile qui. []
  6. http://it.blastingnews.com/economia/2016/10/serra-con-il-no-i-capitali-esteri-non-vengono-in-italia-cina-imprenditoria-democratica-001179059.html []
  7. Ibidem []
  8. Cito a memoria dall’intervista data a “Piazzapulita”, giovedì 13 ottobre 2016 []
  9. Ibidem []