Eugenio Scalfari

Oligarchi per caso

Download PDF

All’inizio, parlò Briatore. Ad una platea di imprenditori pugliesi, ramo turismo, ha spiegato che per una clientela di rango non bastano cascine e masserie, prati e scogliere: ci vogliono hotel extralusso, porti per gli yacht e tanto divertimento. E per chiarire il concetto, ha precisato: “Il ricco vuole tutto e subito. Io so bene come ragiona chi ha molti soldi: non vuole prati né musei ma lusso, servizi impeccabili e tanta movida”1. Poi, ha dato la seguente notizia: “ci sono persone, che quando sono in vacanza spendono 10-20mila euro al giorno”2. Non ci sono state né sollevazioni, né tumulti. Solo Crozza ha riproposto stancamente l’imitazione del personaggio in chiave comica.

Ma qui c’è poco da ridere, perché qualche giorno dopo Eugenio Scalfari ha spiegato che la democrazia è oligarchia, e “l’oligarchia è la classe dirigente, a tutti i livelli e in tutte le epoche”3. Subito è partito il dibattito, e chi ha convocato Platone, chi Aristotele, chi Polibio. Zagrebelsky ha convocato se stesso e, torinese e cortese com’è, stava quasi per dare ragione a Scalfari, il quale non ha gradito, e ha perciò precisato: “che l’oligarchia sia il governo dei pochi lo diciamo tutti e due. Che faccia un governo per i ricchi lo dice solo Gustavo e che i ricchi facciano i loro propri interessi a danno dei molti, anche questo lo dice soltanto lui, non io”4. Eh, sì, Gustavo, ti sbagli, una persona che, quando è in vacanza, spende 10-20mila euro al giorno, forse che fa i propri interessi? No, caro, sta creando tanti posti di lavoro. Poi, che l’oligarchia lavori per lui e per i pochi ricchi come lui, è solo una coincidenza, credimi. La classe dirigente non si abbassa a queste cose, al massimo fabbrica giornali di cui il personaggio che viene tutti i giorni attaccato, è socio occulto5. Così, tanto per prendere in giro l’opinione pubblica.

Dunque, per riassumere, ricchi, ricchi sfondati, e oligarchi per caso. Pensavamo di averle sentite tutte, e invece è intervenuto Davide Serra, finanziere di terra, di cielo e di mare, oltreché di isole lontane, che in televisione, in tenuta d’ordinanza, camicia bianca con maniche arrotolate, ha spiegato che l’Italia è “un paese ricco: il conto corrente di un italiano è mediamente doppio di quello di un tedesco”6.

Allora si è capito perché quando Briatore ha dato la notizia di cui sopra, non ci sono state sollevazioni e tumulti: l’Italia è un’oligarchia. Un’oligarchia per caso. Un caso unico di oligarchia di massa. Ma Serra aveva altro da rivelarci. Lui è stato in Cina, e lì, è vero, non c’è democrazia, ma dal punto di vista economico in Cina non c’è dittatura, perché dal punto di vista industriale, lì creano, e quindi l’imprenditoria è democratica7.

Quindi, l’Italia è una ricca oligarchia di massa, mentre la Cina è una ricca democrazia imprenditoriale. Sembrano sottigliezze, ma in Cina creano, in Italia no. Come fare per creare anche in Italia? C’è il governo Renzi, ha specificato Serra, che ha capito che “il lavoro dà dignità all’uomo e se puoi lavorare è perché ci sono imprese”8. Ecco perché, Serra ha concluso, il governo Renzi “è l’unico governo che ha capito che bisognava creare posti di lavoro. Con il jobs act ha abbassato il costo del lavoro, e abbiamo creato 600 mila posti di lavoro”9.

A questo punto, tutti i sillogismi sono scoppiati, e Aristotele ha chiuso il Liceo e se ne è andato in vacanza nel Salento, dove ha incontrato Briatore che cercava di convincere un ricco a spendere, non 20, ma 25 mila euro al giorno, che ti costa, ricco di merda, 5 mila euro al giorno in più, cosa sono per te? Allora, Aristotele, ha chiamato al cellulare Marx, un semplice cellulare da tredici euro, e gli ha detto: “senti, Carlo, so che tu mi stimi molto, perché ho capito per primo, tanto tempo fa, la logica del valore di scambio, ma mi vuoi spiegare come funziona questo cavolo di capitalismo pienamente sviluppato?”. Marx ha fatto una lunga pausa, lunghissima, sembrava che la linea fosse caduta, poi ha enunciato le seguenti glosse: “il capitalismo è una dittatura, e il signor Scalfari è un filisteo che illustra bene la miseria del giornalismo. Il suo concetto di oligarchia è una mascheratura dell’ideologia italiana, quella delle élite di Pareto e Mosca, i quali però riderebbero delle sue robinsonate. Dunque, il capitalismo è una dittatura di classe, che è democratica per i capitalisti. Il giovane Serra intuisce l’essenza del processo, ma siccome gli uomini lo fanno, ma non lo sanno, la democrazia di cui egli parla con falsa coscienza, è la democrazia in cui il lavoro è dignitoso se, valorizzando il capitale, rafforza la dittatura che lo opprime. Ai miei tempi, Serra, e quelli come lui, non parlavano in prima persona, ma delegavano al loro posto gli economisti borghesi. Adesso, invece, i capitalisti, specie quelli che non hanno mai visto una fabbrica, parlano in prima persona, e questo è il post-capitalismo o neoliberismo, fate voi, che sempre dittatura è. Ai miei, glielo avevo detto, fate una contro-dittatura. Allora, caro e stimato Aristotele, devi chiedere a Lenin perché la cosa non è riuscita”. Già, Lenin, ha pensato Aristotele, riapro il Liceo, e per l’anno prossimo organizzo un seminario sul centenario della Rivoluzione d’Ottobre. Magari, qualcosa finiamo per capirci.

  1. http://bari.repubblica.it/cronaca/2016/09/19/news/otranto_briatore_twiga_salento-148122638/ []
  2. Ibidem []
  3. http://www.huffingtonpost.it/2016/10/02/scalfari-zagrebelsky-renzi_n_12292742.html []
  4. http://www.repubblica.it/politica/2016/10/13/news/perche_difendo_l_oligarchia-149655377/ []
  5. Ecco, in proposito, quanto racconta lo stesso Scalfari: “Ma durante la “guerra di Segrate” ci fu un particolare divertente. Ciarrapico, molto amico di Andreotti, era stato scelto come mediatore e dopo sette mesi riuscì faticosamente a trovare l’accordo tra il nostro gruppo, rappresentato da Carlo De Benedetti, e Berlusconi. L’accordo doveva essere reso pubblico un certo giorno ma scoppiò il caso delle spese legali, che ammontavano a 50 milioni in lire. Ciarrapico risultava introvabile, per riposarsi era andato con una ragazza in un hotel. Caracciolo aveva cercato di far intervenire direttamente De Benedetti, ottenendone peraltro un rifiuto perché era evidente che le spese legali non toccasse pagarle a chi aveva vinto la contesa ma a chi l’aveva persa, ed era Berlusconi. Il quale tuttavia rifiutava in modo assoluto e diceva che semmai sarebbe nata una crisi legale per vedere chi dovesse pagare. A quel punto dovetti intervenire io e dopo molti suoi rifiuti riuscii a persuaderlo promettendogli e dandogli la mia parola d’onore che se lui accettava di pagare le spese legali io l’avrei trattato d’ora in avanti come un socio cioè eventuali notizie che lo riguardassero sarebbero state anzitutto rese note a lui che ne dava la sua interpretazione dopodiché l’inchiesta sarebbe andata avanti come sempre accade in tutti i giornali. Lui ci pensò qualche minuto e alla fine mi disse che accettava e il mio impegno durò fino a quando divenne presidente del Consiglio”. L’articolo per intero è consultabile qui. []
  6. http://it.blastingnews.com/economia/2016/10/serra-con-il-no-i-capitali-esteri-non-vengono-in-italia-cina-imprenditoria-democratica-001179059.html []
  7. Ibidem []
  8. Cito a memoria dall’intervista data a “Piazzapulita”, giovedì 13 ottobre 2016 []
  9. Ibidem []

Il giudice e il papa

Download PDF

Nessuno è andato a vedere il colore dei calzini del giudice Thomas Griesa, perché Eugenio Scalfari queste cose non le fa, ma la sua ordinanza che, dall’alto della corte federale di New York, ha ingiunto allo stato sovrano dell’Argentina di corrispondere ai fondi speculativi il rimborso integrale dei bond spazzatura, acquistati a prezzo vile all’epoca del default del paese sudamericano, costituisce un chiaro avvertimento per l’intimo amico del fondatore di “Repubblica”, ovvero Jorge Antonio Bergoglio, il papa venuto dalla “fine del mondo”. Costui, infatti, si azzarda a stigmatizzare con insistenza “il sistema economico che sfrutta l’uomo”, e allora, affinché non sussistano equivoci, il giudice Griesa, con il sicuro istinto che gli deriva dalla sua calvinistica etica della convinzione”, gli ha ricordato cosa può fare ancora di buono questo “sistema” per la patria di papa Francesco, un ulteriore default, questa volta solo “tecnico”, come ci spiegano gli economisti bennati, ma sufficiente a ribadire la lezione a questa nazione che, dopo la “purga” dei generali, negli anni Settanta, e la “rivoluzione culturale” di Menem, negli anni Novanta, si ostina ancora a perseguire la propria riottosa essenza, fornendo addirittura al soglio di Pietro un suo così molesto esponente. A questo punto, non si capisce perché il gesuita argentino, ma forse si capisce perché è un prudente gesuita oltreché un solare argentino, tarda ancora a recarsi a Plaza de Mayo, ad intimare il suo “Pentitevi”, dal balcone del Palazzo del Governo, agli assassini dei trentamila desaparecidos argentini, sacrificati sull’altare di uno dei primissimi interventi “normalizzatori”, all’origine di quest’epoca di assolutismo capitalistico in cui siamo immersi. Dopotutto, molti di quei filantropi, a cominciare da Kissinger, il padrino di Pinochet, antesignano dei generali argentini, sono ancora in vita, e sarebbe un bello spettacolo vedere la loro faccia ad essere segnati a dito da una mano pontificale. O debbono pentirsi solo i mafiosi?

Papa Gorbaciov

Download PDF

Si direbbe che il pesce ha abboccato all’amo. Ma si potrebbe anche dire che, il pesce, non aspettava altro che di abboccare. Questo viene da osservare, assistendo al “dialogo” andato in scena, nei giorni scorsi, su la Repubblica tra un Eugenio Scalfari sempre più sussiegosamente “illuminista”, e un Papa Francesco sempre più arditamente “riformatore”. Il riformismo di Francesco, naturalmente, non ha niente a che fare con quello di cui tutti si riempiono la bocca da un ventennio a questa parte, in Italia, ma richiama da vicino invece la perestrojka di Gorbaciov. Bergoglio è succeduto ad un cupo ideologo, Ratzinger, una specie di Suslov dimessosi, anzi, autodecapitatosi perché offeso dall’insensibilità delle moltitudini ai suoi predicozzi sofistici, e Francesco, da buon gesuita sudamericano, ha tratto lezione da questo evento: il mondo resiste e la nave affonda, bisogna buttar giù la zavorra. A Scalfari, perciò, che gli chiedeva, con la tipica malizia del “laico tollerante”, se Dio perdona anche i peccati di chi non crede, Francesco ha rispoto che chi agisce in conformità con la propria coscienza, non fa peccato. Le giulebbe di Scalfari! Ha fatto stampare subito un decreto con tanto di sigillo di ceralacca, e lo ha proclamato a tutte le genti: la Chiesa è finalmente entrata nella modernità. Placate le ubbie delle élites, solleticandone la vanità con il riconoscimento dell’“autonomia della coscienza”, Francesco poi s’è messo a fare cose di maggior sostanza, come proclamare un digiuno contro l’ennesima voglia di menar le mani degli Stati Uniti, questa volta contro la Siria, andare a visitare in utilitaria un centro immigrati, telefonare dall’altra parte del mondo alla vittima di uno stupro, e questo dopo aver incendiato, lui argentino, le masse brasiliane, e aver rivendicato da Lampedusa il nostro essere tutti migranti. Insomma, mentre Ratzinger predicava il suo libresco anticapitalismo nei chiusi consensi ai cardinali, i quali, appena fuori, si sfrenavano nelle più accese combinazioni di sesso, denaro e potere, Francesco lo pratica con tutta la potenza che può avere un disperato, cui ormai resta solo poco tempo, prima di soccombere sotto le macerie della magnifica ma fatiscente istituzione che governa. Qui la sua perestrojka si rivela con il segno opposto a quella di Gorby. Infatti, il segretario generale con la voglia in fronte buttava nella fornace palate e palate di ideologia, e mentre invocava il “ritorno a Lenin”, e si illudeva di edificare una “federazione democratica”, apriva di fatto la strada a quel capitalismo assoluto che l’avrebbe sbalzato di sella, preferendogli il più rustico Eltsin. Francesco deve fare esattamente il contrario. Se egli vuole salvare la nave che affonda, deve combinare la profondità del sentimento di giustizia con la logica strumentale del piacere. È qui che egli potrà ritrovare il contatto con le masse, e far fronte contemporaneamente al temibile ritorno della religione sessuale. Il suo anticapitalismo, la sua critica all’alienazione della vita contemoporanea, in tutte le sue forme, non è dunque un vezzo intellettuale, al pari delle scarpette rosse di Ratzinger, ma è una dura necessità cui è costretto dalla composita natura della Chiesa cattolica. La giustizia non è un suo libero, moderno, illuministico moto della coscienza, ma è la sola zattera cui può aggrapparsi, per non sprofondare nella logica senza volto del piacere che si esprime nel consumo illimitato delle cose e dei corpi. Non è fantascienza, allora, pensare che così come il grande Wojtyla fu costretto all’abiezione dell’apparizione in compagnia di Pinochet dal balcone della Moneda, così pure Bergoglio sarà costretto, un giorno non lontano, a riunirsi alle madri dei desaparecidos di Plaza de Mayo.