Europa

Tsipras sulla via di Dubcek

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Dopo la capitolazione greca, dovrebbe ormai essere chiaro che l’Unione europea è la cittadella del più tetragono capitalismo assoluto. Le prove si rinvengono facilmente sulle labbra candide dei migliori turiferari: «Come ci si sente nel ventre di un protettorato, lo scopriranno i deputati greci in Parlamento stamattina quando sarà chiesto loro di votare in due giorni più leggi che negli ultimi cinque mesi. Non sarà un’impressione aribitraria la loro ma un dato di fatto, a credere a Robert Fico. Ieri mattina all’uscita dal vertice di Bruxelles, il premier slovacco ha descritto la soluzione individuata per la Grecia così: un “protettorato” e, ha aggiunto, “non c’è niente di male in tutto questo”». E ancora: «Vista da Berlino, o dall’Aja, non c’è solo la repressione di una sommossa europea goffamente condotta da Tsipras. C’è soprattutto una dose tipicamente protestante di ruvida educazione ai riluttanti, nel loro interesse»1. Dunque, presunzione assoluta di verità, tanto da sapere meglio dei greci qual è il loro interesse. Ma ciò che bisogna notare nella vicenda del duo Tsipras-Varoufakis, è che per sei mesi le avanguardie di forze disperse ma potenti si sono potute aggirare nei meandri di questa fortezza, tenendo ai tavoli degli altezzosi principi che in essa comandano discorsi “inauditi”. Lo dimostra il fatto che Varoufakis non è stato mai confutato de dicto, ma in re, ovvero nelle sue pose motociclistiche, trattamento che nessun media europeo osa riservare alla carrozzella da cui il ministro delle finanze tedesco lancia i suoi sguardi di torvo asceta del valore di scambio. Quando, dopo il referendum del 5 luglio, la coppia Tsipras-Varoufakis si è scissa, l’inopinata “violazione di territorio” è apparsa ancora più chiara. Tsipras, che aveva cercato un’“Europa dal volto umano”, si è avviato al destino di un Dubcek, sottoposto al waterboarding delle trattative di Bruxelles come il cecoslovacco lo fu con il viaggio che Breznev gli impose nella Mosca imperiale dell’epoca2. Varoufakis, invece, ha rivelato dell’esistenza di un piano di riserva, cioè, assieme ad altre misure, della emissione dei famosi titoli di credito fiscali attraverso cui riguadagnare la sovranità monetaria. Nel caso greco, non c’è stato coraggio o conoscenze sufficienti per avviare una simile misura, e il falco Schaeuble ha fulmineamente rivolto l’arma contro gli intrusi, proponendo lui dei “pagherò” emessi dai greci che sarebbero però degli ulteriori debiti3. Per questa volta, dunque, la mano è persa, ma non c’è dubbio che di tutto ciò faranno tesoro quelle forze potenti ma attualmente disperse di cui si diceva. La natura totalitaria dell’Unione Europea è il punto debole di questa associazione di economie liberistiche. Essa non ammette un contro-discorso al suo interno, ed accumula quindi una crescente tensione verso parti di sé che, o perché provenienti dalla tradizione o perché restie ad accettare la religione liberoscambistica, è necessitata ad espellere. Come i terremoti, non si può dire quando questa tensione tra natura umana e capitalismo, evidentemente non coincidenti, scaricherà la sua energia. Dal 1968 alla caduta del Muro di Berlino passarono trent’anni. Inutile quindi le previsioni. Ciò che è certo è che l’Unione Europea per sua intrinseca natura non può derogare dal suo assolutismo capitalistico, che alimenta divorando se stessa (austerity), poiché solo così riesce a produrre quella potenza che le permette, nella totalizzante religione della merce cui è votata, di competere nella “globalizzazione”, cioè di alimentare la competizione intercapitalistica mondiale. Quando quel terremoto arriverà, è facile prevedere che l’assolutismo capitalistico europeo, proprio per la sua natura totalitaria, si rovescerà repentinamente nel suo contrario, nel senso che i discorsi “inauditi” prolifereranno sul suo corpo ischeletrito, ormai incapace di opporsi alle forze contrarie che con il suo autofagismo ha fatto nascere.

  1. F. Fubini, “Voto a passo di corsa sul pacchetto. Ma il governo è già in disfacimento”, Corriere della sera, 14.7.2015, p. 3 []
  2. L’espressione “waterboarding mentale” è di una corrispondenza del Guardian. Cfr. “Greek crisis: surrender fiscal sovereignty in retunr for bailout, Merkel tells Tsipras” []
  3. Grecia, Schaeuble suggerisce emissione ‘pagherò’” []

Europa, cose semplici

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Nella domenica in cui, come nelle vecchie trame ottocentesche, i creditori si sono presi pure gli orecchini di una Grecia ridotta sul lastrico, sono successe molte cose nel piccolo mondo antico dei giornali italiani. Per esempio, tal David Vincenzetti, venuto all’onor della cronaca per essersi fatto hackerare i dati della sua azienda di hackeraggio di Stato, ha dato del “cattivo ragazzo” a Julian Assange, auspicandone l’arresto, dal momento che pubblicherebbe documenti rubati1. E certo la ricettazione è assai più riprovevole di vendere “sicurezza” a governanti dai modi spicci. Comunque, qualcuno si dovrebbe incaricare di far sapere a Vincenzetti che Assange è di fatto agli arresti da tre anni. Che gli debbono fare, di più, tagliargli la mano, come nello Stato islamico? Poi, non è mancato in prima pagina, con prosieguo a lenzuolo nelle pagine interne, il sempre valente Panebianco che ha auspicato per l’Italia una giurisdizione non più prona alla dominante cultura anti-impresa2. Tradotto, una magistratura che non rompa più i cosiddetti con i suoi decreti di chiusura di aziende inquinanti, di malaffare, et similia. Il Papa e Naomi Klein, dunque, se ne stiano buonini con le loro ubbìe ambientalistiche, perché qui c’è da fare impresa. Cose da grandi. Ora, la magistratura non ha bisogno di essere difesa, anche perché, quando vuole, è feroce, come quando processa con l’imputazione di terrorismo i sabotatori delle escavatrici al lavoro in Val di Susa per la Tav. Ma fa un certo effetto leggere appena dopo questa lenzuolata, una lettera del procuratore Spataro, che richiama i principi costituzionali in base ai quali la magistratura è chiamata a svolgere quell’opera di controllo che tanto disturba Panebianco3. Ma Spataro non li legge i giornali? Allora, che parliamo a fare? Ah, già, la sua lettera era pubblicata sullo stesso numero in cui era apparso l’appello pro-impresa di Panebianco. È l’obiettività, bellezza. Mangiando, ci si sporcano le labbra, e con il tovagliolo ce li si forbisce. Poi, Christian Salmon ci ha deliziato spiegandoci cos’è il neomarketing dello storytelling4, praticamente un logo o brand al cubo, anche qui con buona pace della povera Naomi Klein, che abbaino pure lei e i suoi sempre più sfiatati accoliti. E se uno pensa che migliaia di ragazzi africani rischiano la vita, alla volta dell’Europa in quelle barche fatiscenti, attratti dallo “stile di vita europeo” che comprende di poter comprare uno smartphone che ti racconti una storia, beh, viene da invocare lingue di fuoco apocalittiche che scendendo dal cielo brucino in un sol colpo i cinici e gli stupidi di questa epoca di accecati. L’acme di questa domenica speciale lo si è toccato, però, con Eugenio Scalfari che ha scoperto una cosa che, giustamente, gli sembra impossibile, e cioè che «ci sono anche alcuni personaggi di sinistra che, affascinati da Tsipras, vorrebbero quanto meno ricostruire una sorta di comunismo d’antan che abbia l’Europa come terreno seminativo e si proponga di combattere il capitalismo»5. Ma signori miei, si può essere così sprovveduti da proporsi simili obiettivi, quando invece basta fare una bella federazione, gli Stati Uniti d’Europa, in cui, in quattro e quattr’otto, si mette mano ad una politica di crescita, ovviamente accompagnata da misure di equità sociali, poi si vara un bilancio unico europeo, modificando tutti i trattati che ci sono da modificare, a partire da quello di Lisbona, ricordate?, ci si mette a capo un ministro del Tesoro unico, così Draghi c’ha con chi scambiare due chiacchiere, e poi naturalmente si vara il debito sovrano, che non guasta, e poi l’Unione bancaria europea, la garanzia sui depositi e la vigilanza centralizzata, già per altro in corso d’opera, e infine si chiude con la nuova Costituzione dell’Europa federale, elaborata, indovinate da chi?, ma da un’Assemblea costituente eletta ça va sans dire con il voto proporzionale. Semplice, no? Ahò, mica è complicato come il comunismo!

  1. “Corriere della sera”, 12 luglio, 2015, p. 17 []
  2. “Corriere della sera”, 12 luglio 2015, p. 1 e 24 []
  3. “Corriere della sera, 12 luglio 2015, p. 25 []
  4. “la Repubblica”, 12 luglio 2015, p. 41 []
  5. “la Repubblica”, 12 luglio 2015, p. 25 []

La lettera di Tsipras al popolo greco

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Greche e greci,
da sei mesi il governo greco conduce una battaglia in condizioni di asfissia economica mai vista, con l’obiettivo di applicare il vostro mandato del 25 gennaio a trattare con i partner europei, per porre fine all’austerity e far tornare il nostro paese al benessere e alla giustizia sociale. Per un accordo che possa essere durevole, e rispetti sia la democrazia che le comuni regole europee e che ci conduca a una definitiva uscita dalla crisi.

In tutto questo periodo di trattative ci è stato chiesto di applicare gli accordi di memorandum presi dai governi precedenti, malgrado il fatto che questi stessi siano stati condannati in modo categorico dal popolo greco alle ultime elezioni. Ma neanche per un momento abbiamo pensato di soccombere, di tradire la vostra fiducia.

Dopo cinque mesi di trattative molto dure, i nostri partner, sfortunatamente, nell’eurogruppo dell’altro ieri (giovedì n.d.t.) hanno consegnato una proposta di ultimatum indirizzata alla Repubblica e al popolo greco. Un ultimatum che è contrario, non rispetta i principi costitutivi e i valori dell’Europa, i valori della nostra comune casa europea. È stato chiesto al governo greco di accettare una proposta che carica nuovi e insopportabili pesi sul popolo greco e minaccia la ripresa della società e dell’economia, non solo mantenendo l’insicurezza generale, ma anche aumentando in modo smisurato le diseguaglianze sociali.

La proposta delle istituzioni comprende misure che prevedono una ulteriore deregolamentazione del mercato del lavoro, tagli alle pensioni, nuove diminuzioni dei salari del settore pubblico e anche l’aumento dell’IVA per i generi alimentari, per il settore della ristorazione e del turismo, e nello stesso tempo propone l’abolizione degli alleggerimenti fiscali per le isole della Grecia.

Queste misure violano in modo diretto le conquiste comuni europee e i diritti fondamentali al lavoro, all’eguaglianza e alla dignità; e sono la prova che l’obiettivo di qualcuno dei nostri partner delle istituzioni non era un accordo durevole e fruttuoso per tutte le parti ma l’umiliazione di tutto il popolo greco.

Queste proposte mettono in evidenza l’attaccamento del Fondo Monetario Internazionale a una politica di austerity dura e vessatoria, e rendono più che mai attuale il bisogno che le leadership europee siano all’altezza della situazione e prendano delle iniziative che pongano finalmente fine alla crisi greca del debito pubblico, una crisi che tocca anche altri paesi europei minacciando lo stesso futuro dell’unità europea.

Greche e greci,
in questo momento pesa su di noi una responsabilità storica davanti alle lotte e ai sacrifici del popolo greco per garantire la Democrazia e la sovranità nazionale, una responsabilità davanti al futuro del nostro paese. E questa responsabilità ci obbliga a rispondere all’ultimatum secondo la volontà sovrana del popolo greco.

Poche ore fa (venerdì sera n.d.t.) si è tenuto il Consiglio dei Ministri al quale avevo proposto un referendum perché sia il popolo greco sovrano a decidere. La mia proposta è stata accettata all’unanimità.

Domani (oggi n.d.t.) si terrà l’assemblea plenaria del parlamento per deliberare sulla proposta del Consiglio dei Ministri riguardo la realizzazione di un referendum domenica 5 luglio che abbia come oggetto l’accettazione o il rifiuto della proposta delle istituzioni.

Ho già reso nota questa nostra decisione al presidente francese, alla cancelliera tedesca e al presidente della Banca Europea, e domani con una mia lettera chiederò ai leader dell’Unione Europea e delle istituzioni un prolungamento di pochi giorni del programma (di aiuti n.d.t.) per permettere al popolo greco di decidere libero da costrizioni e ricatti come è previsto dalla Costituzione del nostro paese e dalla tradizione democratica dell’Europa.

Greche e greci, a questo ultimatum ricattatorio che ci propone di accettare una severa e umiliante austerity senza fine e senza prospettiva di ripresa sociale ed economica, vi chiedo di rispondere in modo sovrano e con fierezza, come insegna la storia dei greci. All’autoritarismo e al dispotismo dell’austerity persecutoria rispondiamo con democrazia, sangue freddo e determinazione.

La Grecia è il paese che ha fatto nascere la democrazia, e perciò deve dare una risposta vibrante di Democrazia alla comunità europea e internazionale.
E prendo io personalmente l’impegno di rispettare il risultato di questa vostra scelta democratica qualsiasi esso sia.
E sono del tutto sicuro che la vostra scelta farà onore alla storia della nostra patria e manderà un messaggio di dignità in tutto il mondo.

In questi momenti critici dobbiamo tutti ricordare che l’Europa è la casa comune dei suoi popoli. Che in Europa non ci sono padroni e ospiti. La Grecia è e rimarrà una parte imprescindibile dell’Europa, e l’Europa è parte imprescindibile della Grecia. Tuttavia un’Europa senza democrazia sarà un’Europa senza identità e senza bussola.
Vi chiamo tutti e tutte con spirito di concordia nazionale, unità e sangue freddo a prendere le decisioni di cui siamo degni. Per noi, per le generazioni che seguiranno, per la storia dei greci.
Per la sovranità e la dignità del nostro popolo.

Alexis Tsipras

 

Fonte: Newsletter Micromega 28.6.2015 h 02:02

 

 

La moneta e la potenza. Habermas, la Germania, l’Europa

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Con i diari di Mussolini bisogna andarci cauti, ma pare che, in una sua agenda del 1942 recentemente rinvenuta, alla data del 29 aprile, annotasse quanto segue circa il suo incontro a Salisburgo, con il suo alleato Adolf Hitler: «Lo trovo emaciato e stanco. All’arrivo egli è nel gruppo coi suoi: Ribbentrop Dietrich Borman il ‘Gauleiter’ dott. Scheck tutti visi duri arcigni bocche acide, aspetto ferrigno, odiosi!»1. In un suo commento alla sentenza della corte di Giustizia dell’Unione europea, che martedì 16 giugno ha dichiarato “compatibile con le norme comunitarie” il programma di acquisto di titoli di Stato a breve termine dei paesi dell’Eurozona in crisi da parte della Banca centrale europea, Jürgen Habermas, riferendosi alle politiche di austerità imposte dalla Germanaia al Continente, e in particolare alla Grecia, scrive: «Per le sue opinabili misure di salvataggio Angela Merkel ha coinvolto fin dall’inizio l’Fmi. Questa dissoluzione della politica nel conformismo di mercato spiega tra l’altro l’arroganza con cui i rappresentanti del governo federale tedesco – persone moralmente ineccepibili, senza eccezione alcuna – rifiutano di ammettere la propria corresponsabilità politica per le devastanti conseguenze sociali che pure hanno messo in conto nell’attuazione del programma neoliberista. Lo scandalo nello scandalo è l’ingenerosità con cui il governo tedesco interpreta il proprio ruolo di guida»2. Dunque, settant’anni dopo Salisburgo, sull’Europa sta di nuovo soffiando il vento acido dell’arroganza, per quanto promanante dalle bocche di persone moralmente ineccepibili. Quel che colpisce, però, è l’ingenuità di Habermas, rappresentativa di tutta una bennata opinione pubblica europea, quando reitera per l’ennesima volta il vaticinio secondo il quale «l’unione monetaria resterà instabile finché non sarà integrata da un’unione bancaria, economica e fiscale»3. Dovrebbe essere ormai chiaro, infatti, che l’unione monetaria non è l’inizio, ma la stazione finale. Solo dei velleitari possono pensare che essa è il germe di uno Stato federale europeo fondato sui bei principi della solidarietà, fratellanza e reciprocità. A questi sogni a occhi aperti, la Germania risponderà sempre rifiutandosi di fare il mulo d’Europa: fate i compiti a casa, dirà sempre con espressione ferrigna, ovvero se volete stare con noi, il gioco lo conduciamo a modo nostro, in conformità con la nostra potenza e promuovendo tutte le condizioni che possano salvaguardarla e svilupparla. Inoltre, questi velleitari edulcorano anche bellamente la storia. Indicando all’Europa l’esempio dell’America, pensano infatti al federalismo americano come all’idillio di Washington, che invece era solo una placida confederazione, e occultano il fatto che lo Stato federale statunitense è nato effettivamente con la guerra civile, dando luogo all’imperialismo più militarista di ogni tempo. È questo che essi vogliono? Ovviamente no, poiché sono per un’Europa di pace. Nel frattempo che si pascono di simili vaghezze, le cose vanno avanti per conto proprio, seguendo i tradizionali rapporti di forza europei, riemersi dalla polvere dell’immane crollo delle “ideologie”. Tutti hanno bisogno della forza della Germania, ma poiché come abbiamo detto questa si rifiuta di tirare a beneficio altrui il carretto delle belle illusioni, tutti finiscono per competere con essa, a colpi di versamenti finanziari nel Fondo salva Stati e altri budget comunitari. La potenza finanziaria prende il posto dei vecchi arsenali, e nell’involucro ottundente della democrazia si arriva al rovesciamento di un Reich di fatto, che ai visi arcigni dell’hitlerismo sostituisce quelli malmostosi dei governanti “democratici”, riluttanti ad assumere la leadership che tutti loro offrono, a patto che non comandino. Insomma, una drôle d’Europe, che potrebbe salvarsi se tornasse a lottare universalmente per le proprie particolarità, senza farsi intimorire da una “globalizzazione” che sembra invincibile, ma che ha i piedi d’argilla, retta com’è da un modo di produzione che, come mostrano i sempre più frenetici e impotenti consulti dei “grandi”, è ormai in avanzato stato di incompatibilità ambientale.

  1. “Il Fatto Quotidiano”, 26.6.2015, p. 17 []
  2. “la Repubblica”, 23.6.2015, p. 4 []
  3. “la Repubblica”, 23.6.2015, p. 4 []

Europa: federazione o confederazione?

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Ieri, domenica 7 dicembre, Eugenrio Scalfari, in un’intera pagina di “Repubblica”, ha detto una cosa molto semplice che si può riassumere così: Draghi è per la federazione europea, Renzi per la confederazione. Poi Scalfari si è ulteriormente dilungato sui motivi di queste differenti scelte, che si possono riassumere anch’essi in poche parole: Draghi è per la federazione europea perché permette all’Europa di giocare un ruolo nello scenario mondiale, Renzi è per la confederazione perché vuole salvaguardare il suo potere di uomo di stato, che nel caso della federazione scadrebbe a quello di un qualsiasi governatore di uno stato americano. Scalfari cena spesso con Draghi al lume della ragione, come tiene a far sapere, e altrettanto tiene a far sapere che di tanto in tanto incontra Renzi, che gli sta simpatico, anche se non lo può vedere. Egli è dunque, come dire, informato sui fatti e le persone, e quindi possiamo credergli quando ci spiega le differenti strategie di questi due grand’uomini. Si vorrebbe solo osservare che l’Europa federale vagheggiata da Scalfari non è l’angelo della pace che l’umanità attende da duemila anni. Se l’Europa si federa, significa che avrà un esercito, e finalmente una politica estera con cui la Mogherini non si potrà più baloccare. L’Europa così avrà certamente un ruolo nel contesto mondiale, il che tradotto significa che si confronterà e molto probabilmente si scontrerà con gli Stati Uniti e con la Cina. Pensare che le cose possano andare diversamente, significa vivere sulla luna. Pensare che gli Stati Uniti, la Cina e l’Europa federata possano dare vita ad un governo mondiale è un sogno puerile, e fa specie che uomini molto navigati possano nutrirlo. Invece è molto più probabile che tra queste tre entità si scateni una competizione, anche guerresca, se è il caso. Non c’è bisogno di essere Lenin per capirlo. La storia inoltre insegna che il federalismo arma i popoli, anziché disarmarli. Lasciamo stare la Svizzera, dove pure ogni cittadino tiene a casa il suo fucile di bravo soldato in sonno, ma il passaggio degli Stati Uniti da stato confederale a stato federale, avvenuto con la Guerra Civile, ha dato luogo allo stato imperialista più potente e guerresco della storia. Insomma, il bel raccontino che ci ha fatto Scalfari sulle lungimiranti intenzioni di Draghi, anziché rassicurarci, ci ha allarmati. Questo non significa che preferiamo l’Europa degli staterelli, dove tutti i Renzi possono fare coccodé. Ma se l’Europa vuole proprio fare qualcosa, perché non comincia a risolvere i suoi problemi con la Russia? Si tratta di una civiltà e di una potenza territorialmente contigua, e culturalmente con tante cose in comune. Certo, noi stiamo delegando la disciplina matrimoniale ai gay, mentre loro sono per i valori tradizionali della civiltà cristiana, ma la Russia ha l’atomica e, come si sa, tante materie prime. Un blocco tra Europa occidentale ed Europa eurasiatica avrebbe ben più che un ruolo nel contesto mondiale, con il vantaggio che ognuno potrebbe restare padrone a casa sua. C’è da augurarsi che l’imperialismo europeo non si ridesti, e con la moneta porti a termine la rivincita sul 1945. Meraviglia molto che uomini che hanno vissuto in quegli anni, spieghino ai giovani come ritornarci per vie traverse. Con questo, non stiamo dicendo che Draghi è un Mefistofele che sta preparando l’inferno. È solo un banchiere che primeggia nel nanismo della politica. Renzi purtroppo non è un gigante. Ecco, questo è l’unico punto su cui Scalfari ha ragione.

P.S. In un’intervista rievocativa dei suoi novant’anni, apparsa sullo stesso numero di “Repubblica”, Alfredo Reichlin ha affermato che la sinistra «ha fallito. La sua crisi rientra nel più generale declino della civiltà europea. È finita l’occidentalizzazione del mondo». Quindi, la sinistra era un’articolazione dell’imperialismo europeo. Insomma, Lenin, ancora lui, non aveva capito niente.