evoluzionismo

Darwin, Piaget e la nuova intelligenza umana

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Nei suoi lavori di botanica, Darwin evidenzia la presenza di una intelligenza naturale che si manifesta in apparati e comportamenti di varie specie di piante. È un’intelligenza tattilo-percettiva che dà luogo a scelte e che si propone scopi [1].

In filosofia, l’ipotesi di un’intelligenza simile configurerebbe una posizione idealistica. È lo spirito, il pensiero, la mente che si incorpora in apparati biologici più o meno elaborati, in grado di muoversi, percepire, calcolare. Se poi la manifestazione dello spirito segue un percorso finalistico che mette capo in uno Spirito assoluto, allora siamo in presenza di sistemi filosofici come quello di Hegel.

Non è il caso di Darwin, ovviamente, ma l’evidenza di una intelligenza naturale consente di riflettere sul finalismo dell’ontogenesi dell’intelligenza umana, senza entrare in conflitto con il modello evoluzionistico. Il finalismo hegeliano dello Spirito assoluto coglieva mitologicamente il problema. Diverso è il caso dell’ontogenesi studiata da Piaget, poiché si situa sullo stesso terreno osservativo-sperimentale di Darwin.

Jean-Blaise Grize, il geniale logico collaboratore di Piaget, e maestro di chi scrive, aveva avanzato l’ipotesi di una logica naturale, identificandola con l’argomentazione, intesa in senso ampio, per differenziarsi dalla logica formale su cui Piaget voleva “chiudere” il finalismo ontogenetico degli stadi, da quello sensorio-motorio a quello intuitivo a quello ipotetico-deduttivo. Passando dalla logica alla retorica, però, Grize era rimasto invischiato, sebbene attenuandolo, nel logicismo di Piaget.

L’evidenza più vasta dell’intelligenza naturale permette invece di guardare in modo non più logico, ma storico-genetico all’ontogenesi di Piaget. Alla luce dell’intelligenza naturale, infatti, l’ontogenesi appare come il modo di produzione sociale dell’intelligenza umana.

Ricercatori come Michael Tomasello, che si richiama a Piaget però equivocandolo, o anche etologi come Mark Bekoff, che ricerca la morale già presso gli animali, continuano a riportare l’intelligenza umana a moduli e comportamenti presenti in natura, come se tale intelligenza derivasse da un particolare assemblaggio cui casualmente ha arriso il successo.

In realtà, senza quel modo sociale di produzione, prodotto esso stesso dell’evoluzione, l’intelligenza umana non esisterebbe. Questa non è cattiva immanenza. Nel passaggio dall’intelligenza naturale all’intelligenza umana, infatti, c’è un momento formale e un momento reale. Nel momento formale, il cui prodursi deve essere oggetto esso stesso di indagini osservativo-sperimentali, il rapporto sociale assume determinate caratteristiche non più evoluzionistiche ma genetiche, per cui i ruoli naturali di dominanza si staccano dalla forza bruta, diventano ruoli sociali, e cominciano a richiedere un’equilibrazione finale che annulli l’asimmetria di potere iniziale. Con questo momento formale, si è solo generata una cellula germinale, ma il panorama dell’intelligenza naturale non cambia ancora in nulla. È solo con il momento reale che si ha non più una differenza di grado, ma un salto categoriale, poiché la forma nuova di intelligenza assoggetta ai propri scopi tutta la rimanente intelligenza naturale. Si direbbe che qui si innesca l’odierna questione ecologica, la quale però deriva non da quell’assoggettamento originario, ma dal blocco dell’equilibrazione finale. La questione ecologica non è dunque una questione naturale (rapporto uomo-natura), ma storico-genetica (rapporti tra gli uomini in riferimento alla natura).

L’ontogenesi dell’intelligenza umana ha ovviamente una sua storia, poiché è differente il modo di produzione della mente di homo habilis da quella di homo faber da quella di homo sapiens. Prova ne è che l’infanzia è un prodotto storico-genetico assai recente. Ma il punto da sottolineare è che il carattere non più evoluzionistico, ma genetico, di questa ontogenesi consente di porre l’ipotesi che essa non abbia raggiunto la sua equilibrazione finale nella logica formale, così come voleva Piaget nella sua veduta logicistica, poiché la storia potrà richiedere altri avanzamenti nel modo di produzione della mente umana che l’ontogenesi dovrà fissare, riaggiustando il proprio modo di produzione e adeguandolo ai compiti nuovi richiesti dagli ulteriori avanzamenti raggiunti. E anche da questo dipenderà la soluzione dell’odierna questione ecologica.

Molti individuano questo nuovo stadio nell’intelligenza artificiale, nel potenziamento umano, nello sganciamento della mente dal corpo, e nella sua virtualizzazione. Queste ipotesi però soffrono di tecnologismo, poiché identificano gli avanzamenti con la tecnica e i suoi risultati. Mentre, invece, in coerenza con il “salto” storico-genetico, è più probabile che saranno le nuove equilibrazioni degli originari ruoli naturali di dominanza a richiedere una “intelligenza nuova”, cui eventualmente la tecnica potrà offrire strumenti e materiali con cui concretizzarsi, ma il cui raggiungimento non potrà avvenire che tramite i conflitti e le lotte di emancipazione storico-sociali.

 


[1] F. Giaculli, Radici pensanti e orchidee seducenti. Charles Darwin e la botanica, http://lameladinewton-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/2019/05/20/radici-pensanti-e-orchidee-seducenti-charles-darwin-e-la-botanica/