Il successo dell’Italian Theory non a caso tocca il suo apice negli anni del berlusconismo, e si espande all’estero, trainato prepotentemente dalla teorizzazione di Negri e Hardt. Ma sarebbe da indagare come mai esso ottiene più udienza nelle Università degli Stati Uniti piuttosto che in quelle dell’America Latina, dove invece permane solida l’egemonia del marxismo classico di Gramsci e Della Volpe. La fortuna dell’Italian Theory oggi è all’apice, ma essa è la coscienza di rapporti sociali che vanno disgregandosi. Il vitale è sempre prorompente, assalta gli Stati, saccheggia fortezze e casematte della società civile, ma un bisogno di ordine si fa strada. Restando nell’empireo della coscienza, questo bisogno oggi lo si può trovare in una filosofia d’importazione come la filosofia analitica, un nicodemismo che nasconde molte punte “rivoluzionarie”, e il cui house organ è il Domenicale del Sole 24 Ore, così come lo si può trovare in un neomarxismo tutto preso dalla filologia del testo marxiano, così pure lo si può anche rinvenire in certe teorizzazioni bioetiche, dove si scontrano le placche tettoniche della questione sessuale, che in Italia vuol dire essenzialmente, questione cattolica. Ciascuna di queste tendenze, e altre che si potrebbero citare, come ad esempio certe folcloristiche riproposizioni “complesse” dell’antico storicismo crociano, procede per conto suo, nel panorama devastato del disordine che l’Italian Theory ha baldanzosamente interpretato, e assomigliano agli eremi dove si raccolsero i superstiti dell’antica cultura, che viene perciò tramandata con la stessa cura e la stessa passione degli amanuensi di un tempo. Manca però una comune intenzione verso la totalità che ne unifichi gli sforzi contro gli assalti e le scorribande che il vitale reitera.