Da «Whatever it takes» a «Eppoi basta». Questa la parabola del Grande Funzionario. Si ricorderà che «Whatever it takes» è la frase che, pronunciata il 26 luglio 2012 nella sua veste di governatore della Banca Centrale Europea all’indirizzo dei mercati finanziari per scoraggiarli da eventuali attacchi speculativi all’euro, ha procurato a Mario Draghi una vistosa aureola che l’ha accompagnato negli anni avvenire garantendogli per chiamata diretta l’ascesa al soglio di Palazzo Chigi. E qui, dove la santità non basta, le cose si complicano. Pare infatti che, giorni fa, durante un Consiglio dei Ministri ci sia stato un diverbio, a quanto pare l’ennesimo, tra l’aureolato e il ministro Franceschini, il quale chiedeva che fossero reintrodotti i fondi per la ristrutturazione delle facciate1. Triste sorte quella di un santo di doversi occupare dei cappotti termici. Ma, come mostrò mirabilmente Stendhal, cosa non farebbe un Julien Sorel per non dare corso alle sue ambizioni? Non corriamo. Pare infatti che la conversazione dalle ordinarie questioni edilizie sia ascesa alle più alte vette politiche quando il titolare della Cultura ha ricordato al premier che il bonus facciate è stato uno dei provvedimenti caratterizzanti del governo precedente e che pertanto andava affrontato per l’importanza che ha. Qui pare che Sua Grandezza si sia molto inasprito, ricordando al ministro che anche il reddito di cittadinanza e quota cento, così come ora il taglio delle tasse e i fondi per gli ammortizzatori sociali sono provvedimenti caratterizzanti del precedente come dell’attuale governo, ma, ministro, «le risorse sono finite, altrimenti il sistema salta». Che l’avvento di Draghi fosse legato alla salvezza del sistema, lo si era capito, ma detto così fa un certo effetto. Franceschini ha fatto finta di non capire – e qui ci si chiede, ma dove sono i Di Maio e i Salvini? deve essere Franceschini a difendere le ragioni dei populisti e dei sovranisti? Dicevamo, Franceschini ha fatto finta di non capire e ha spiegato all’Uomo dell’Euro che «le riunioni di governo servono a costruire un compromesso» e che il Consiglio dei Ministri è «il luogo dove avvengono le ricomposizioni». Draghi deve aver pensato che al massimo si ricompongono le salme. E così, d’istinto, sottolinea l’informato giornalista, se ne è uscito tagliente: «È quello che stiamo facendo», aggiungendo subito dopo: «Eppoi…». E mentre tutti gli astanti notavano come per la prima volta fosse visibilmente infastidito, ha concluso: «Eppoi basta». È il caso di dirlo, il nostro Julien Sorel è proprio un libro aperto. In questo quadretto, infatti, senza infingimenti c’è tutto quello che occorre sapere per sapere dove si sta andando a parare. Dopo tanto parlare di debito buono e debito cattivo, piano di resilienza e ripartenza, fiumi di soldi dall’Europa da non farsi scappare, viene chiarito senza ambiguità alcuna che si ritorna a quell’austerità che, sola, e a che prezzo!, ci permette di continuare a partecipare a quel risiko che va sotto il nome di Unione Europea. E questo è uno. Due. Se Draghi diventa Presidente della Repubblica, avremo al Quirinale l’Uomo dell’Eppoi Basta al quale bisogna baciare la pantofola senza tirarla troppo per le lunghe con le chiacchiere parlamentari e le ricomposizioni ministeriali. Questo è il progetto “gollista”, ovvero di un autoritarismo aggiornato al XXI secolo di cui diremo fra un attimo, che vagheggiano quelli del “centro moderato”, giusto perché si sappia cos’è la moderazione. Terzo. Per sommo paradosso, questo autoritarismo aggiornato al XXI secolo ci regalerà un regime di populismo finanziario. Infatti, come in ogni populismo che si rispetti, l’Uomo dell’Eppoi Basta si connetterà direttamente al popolo che in lui riporrà tutte le sue speranze, avendo cura di investirle in buoni fruttiferi del debito europeo di cui, non essendoci più una Merkel a fargli ombra, sarà il Sommo Sacerdote. L’aureola di Draghi sarà il cerchio di ferro forgiato nel miglior acciaio tedesco che cingerà la chioma d’Italia, serva giubilante di cotanto figlio. Ma, prima che tutti i giochi siano fatti, il paradosso massimo è quello che va profilandosi in vista dell’elezione del prossimo Presidente della Repubblica. Ci sarà da un lato la “maggioranza Ursula” che, come appena detto, mira a insediare il proconsole dell’Europa con l’offa di farne il re in grado di far risplendere in tutto il continente la gloria d’Italia, e dall’altro la maggioranza alternativa, in grado di salvaguardare Parlamento, Governo e relative ricomposizioni politiche, che, se non si avrà l’accortezza di escogitare una terza soluzione, dovrà raccogliersi attorno a Berlusconi. Maggioranza Ursula vs. Maggioranza Silvio. Alla faccia di chi già lo collocava fra le salme politiche. Questo per dire com’è messa bene l’Italia.
- F. Verderami, Il botta e risposta in Consiglio tra Draghi e Franceschini: «Un’intesa? E quello che cerco», «Corriere della sera», 21.10.2021, p. 9. [↩]