marxismo

Tesi sul materialismo storico XXI secolo

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1. La struttura è il rapporto storicamente determinato che l’attività umana sensibile realizza tra il soggetto e l’oggetto in rapporto con gli altri soggetti. Essa avanza per “epigenesi” confermate dalla saldezza del senso comune. Una verifica morfogenetica si ritrova nella psicogenesi il cui sviluppo prefigura l’umanità sociale, negata nella sociogenesi dalla scissione tra dato empirico dei sensi e scopi a priori della ragione. Il superamento di tale scissione, che caratterizza la socialità civile, è il contenuto dell’epigenesi avvenire.

2. In origine c’è la struttura che diviene storica quando si ripiega estraniandosi nella sovrastruttura. All’inizio, la sovrastruttura sovra-determina la struttura, poiché la pratica è dominata dall’appercezione immaginativo-senso-motoria (religioni naturali). Solo successivamente la struttura determina la sovrastruttura nella progressione delle differenti figure storiche (l’astrazione cristiana rispetto all’empirismo giudaico). Nello stadio storico del capitalismo tale determinazione è totale (religione “muta” della merce), ma la sovrastruttura non per questo diviene un semplice riflesso. Un effetto economico sovrastrutturale è l’impulso al godimento ricorsivo (consumismo) poiché in esso torna a dominare l’appercezione immaginativo-senso-motoria (i “nomi” della merce come divinità pubblicitarie).

3. La fusione di struttura e sovrastruttura propria del capitalismo rende possibile proporsi il fine di una “epigenesi” controllata, che richiede però la “presa di coscienza” dei procedimenti attraverso cui opera l’attività umana sensibile. Verum est ipsum factum, ma non come riflesso conoscitivo di una mente isolata bensì come ricostruzione “pratico-critica” cooperatoria che supera la “falsa coscienza” con cui, occultando la genesi e naturalizzando la struttura, l’ideologia capitalistica si rappresenta i processi produttivi. La riduzione della storia a semplice tradizione che da tale falsa rappresentazione deriva, apre la strada a fenomeni irrazionali come il fascismo.

4. Facendosi largo negli interstizi delle civiltà, la struttura si è sviluppata secondo due ordini, l’ordine diretto e l’ordine invertito dello sviluppo. L’ordine diretto si basa su una campagna industriosa che, alimentando una città amministrativa, sorregge il commercio all’interno di vasti e quieti “mondi a parte”. Diversamente, l’ordine invertito comporta una città motore di scambi che sin da subito assoggetta la campagna, proiettandosi in un commercio i cui confini coincidono con il mondo intero. I soggetti che questo universalismo incontra nella sua espansione vengono percepiti, per così dire, come semplici elementi del paesaggio che però, rianimati da tale intrusione, divengono ostili (movimenti anticoloniali, migrazioni, moti di emancipazione dall’Occidente). Di conseguenza, mentre l’ordine invertito dello sviluppo inasprisce il proprio dominio indebolito dalle potenze che ha evocato, l’ordine diretto si attiva per la conservazione dei “mondi a parte” promuovendo un policentrismo il cui assetto oligarchico si prospetta non meno caotico e conflittuale del mondo unipolare in declino.

5. Intorno all’epigenesi avvenire aleggiano parole irridenti, disilluse, allucinate. Ontologie sociali? Teleologismi storici? Rileggetevi “La scommessa di Prometeo”, ghigna il nichilista incallito, poi fatevi una breve passeggiata a Nairobi o a Città del Messico e in ultimo provate a riscrivere “L’ontologia dell’essere sociale”.  Sicuramente gran parte dell’umanità ne comprenderà il senso! E chi può credere che l’adolescente di oggi che la vita adulta immancabilmente corrompe possa essere l’uomo della futura umanità sociale? Stalin ha ucciso Rousseau, strilla lo scettico disilluso, e il telefonino ha ulteriormente abbassato il livello di corruzione dell’età ingenua. L’infanzia in realtà riproduce l’essere della servitù volontaria in cui si è arenata la dialettica di servo e padrone che il connubio tra filosofia, critica sociale e movimento operaio non è riuscita a trasformare in un trionfo della ragione. Vengano avanti, allora, gli esaltati banditori di nuovi programmi e più radicali. Se servi e padroni sono servi di una servitù totale, le soluzioni possibili non possono più essere cercate nell’intersezionalità dei diversi rapporti di potere e nelle contraddizioni tra diversi gruppi sociali, ma solo in ogni esistenza individuale: dalla “la politica in prima persona” del sofisticato ’68 all’“uno vale uno” del più ruspante populismo italico. Superando le vecchie divisioni tra natura e cultura, natura e tecnologia, natura e arte, ciascuno a suo modo nell’urbanesimo globale e nelle reti cibernetiche ingaggi una battaglia all’ultimo sangue per una rottura che deve essere pensata e vissuta – però — nell’esistenza comune. E allora, contro gli asceti politici, i militanti cupi, i terroristi della teoria, contro coloro che vorrebbero preservare l’ordine puro della politica e del discorso politico, si mettano in atto pratiche etiche affermative portate avanti da corpi, affetti, nomadismi sdegnosi di lotte dialettiche (le vecchie, patetiche lotte antiautoritarie!) e capaci invece, in quanto pratiche del sé, di aprire spazi di controsoggettivazione. Mondi plurimi di infiniti pluralismi, in cui detronizzare il troppo astratto, il troppo poco carnale potenziale vitale ipoteticamente insito nel non-nato umano. Altro che infanzia! Bisogna invece immaginare altri mondi/modi riproduttivi/produttivi dove l’impiego delle nuove tecnologie, dalla fecondazione assistita all’ectogenesi, dall’ingegneria genetica all’informatica, possa aprire un futuro non eteronormato, antispecista e geocentrato, per sovvertire l’attuale ordine familista al fine di intessere parentele postumane, possibilità di vita comuni e mai più antroponormate, anche perché è un fatto che la specie sapiens, camaleontica com’è, non è a rischio di estinzione, perché “molto ampiamente distribuita, adattabile, in attuale aumento e non esistono rilevanti minacce che possano risultare in un declino della popolazione complessiva”.

6. Dunque, la realtà è un’efflorescenza di negatività senza una logica soggiacente. E non c’è bisogno di intraprendere lunghi viaggi per rendersene conto, basta farsi un giro lì dove giacciono braccia amputate di corpi capitalisticamente eteronormati. La rivoluzione divora sé stessa, anche se sino a Stalin era viva e vegeta. Esistenza comune, certo, non bisogna farsi mancare niente, ma solo come aggregato di invalicabili contro-soggetti intuitivo-corporei. Conficcare in gola alla dialettica pratiche affermative, ancorché etiche, che scongiurino le sue sintesi aborrite e lascino sempre beante il desiderio. Potere alla tecnica che, come la specie, tutto può. E così dalle viscere mistiche della natura alla quale tutto è stato sacrificato rinasce il dio che ci può salvare invocato dal filosofo sciamano. Contro questa grancassa assordante, in cui il vecchio anarchismo si sposa con la più rutilante fantascienza, non basta ripetere che l’irrazionalismo è una forma di reazione allo sviluppo dialettico del pensiero umano. In aggiunta, bisogna proclamare alto e forte che l’irrazionalismo ha soggiogato anche la sinistra, le cui storiche posizioni sono state occupate e stravolte da una nuova destra che, con i simulacri così fabbricati, è divenuta “popolare”, come si vede negli Stati Uniti, dove il proletariato bianco è ora la falange della ristrutturazione capitalistica capitanata dai superricchi. Senza attendere che la storia si compia, la posta in gioco è di riprendersi le proprie posizioni per tornare a essere non demagogicamente ma egemonicamente “popolari”, con interrogativi che scaturiscono dalla realtà effettuale. Ad esempio, se il moto dalla “campagna” alla “città” porta con sé un continuo mutarsi della composizione sociale‑politica della “città”, cosa può succedere alla “città”, se cresce non per la sua stessa forza genetica, ma per immigrazione: «potrà compiere la sua funzione dirigente o non sarà sommersa, con tutte le sue esperienze accumulate, dalla conigliera [mondiale] contadina?» (Gramsci, Lettere dal carcere, p. 281). E, riguardo al genere, sino a che punto il “maschilismo” può essere paragonato a un dominio di classe? Esso ha più importanza per la storia politica e sociale o per la storia dei costumi? (Gramsci, Q. 25, § 4, p. 2286).

7. È inevitabile che una strategia tutta volta al dover essere e sdegnosa della realtà effettuale produca errori di tattica. Ad esempio, è evidente che l’egemonia dal basso, l’egemonia che sfida l’egemonia secolare dei differenti ordini di sviluppo, non può tenere assieme il lavoro e l’impresa nell’illusoria prospettiva di una “società dei produttori” che releghi la parte sordida del capitalismo nella sentina della rendita. Questo virtuismo “ricardiano” non coglie il fatto che tanto il profitto quanto il salario vanno negati assieme se si vuole affermare l’essere della nuova umanità sociale. Questo contenuto dialettico, pratico-critico, rivoluzionario, dell’egemonia dal basso, che il riformismo elude con compiaciuto servilismo, insegna anche che va respinto il ripetuto appello allo “schieramento antifascista”. Il fascismo è il profitto senza la bombetta dalla City londinese, ma lo “schieramento antifascista” è la commedia dell’arte del capitalismo in cui al lavoro nella parte del servo sciocco viene concessa la battuta quando le fazioni borghesi lo chiamano a schierarsi da una parte o dall’altra nelle loro dispute di potere. È un errore fatale, commesso ancora solo ieri in Francia, dove pure per un’astuzia della storia il sistema elettorale avrebbe consentito ben altri esiti, non dotarsi per tempo di un coeso organismo (tu chiamalo, se vuoi / partito) con cui affrontare in autonomia lo scontro diretto con il profitto, quale che sia la maschera che indossa.

8. L’egemonia dal basso è la nuova “epigenesi” volta al superamento del valore di scambio come “premessa tipica” della forma di vita capitalistica. Ciò che è non è il capitalismo ma il processo morfogenetico. Questo divenire razionale non fluisce errando nel mondo astratto del dover essere ma si attua nella concretezza del suo tempo grazie all’attività sensitiva umana volta a una riforma strutturale che, nel suo sviluppo, «sconvolge tutto il sistema di rapporti intellettuali e morali in quanto il suo svilupparsi significa appunto che ogni atto viene concepito come utile o dannoso, come virtuoso o scellerato, solo in quanto ha come punto di riferimento [tale riforma] e serve a incrementare il suo potere o a contrastarlo» (Gramsci, Q. 13, § 1, p. 1561).

9. Rodi e la rosa, il salto e la danza / la croce è questa, salta danzando.