no vax

No vax, sì vax, statu quo

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Di fronte all’alternativa se vivere o morire, l’ostinazione del no vax di non proteggersi dall’infezione del coronavirus appare irrimediabilmente irrazionale. Ma come si è prodotta l’immediatezza dell’alternativa tra vivere o morire su cui punta l’implacabile appello alla “razionalità” del sì vax? Nell’antichità la peste era attribuita alla punizione degli dei scontenti dell’irreligiosità dei popoli. Solo in pochi si sottraevano alla spiegazione mitologica, come Tucidide che riguardo alla peste di Atene del 429 a.C. riferiva del movimento del tutto terreno che l’infezione aveva percorso dall’Etiopia all’Egitto al Peloponneso, o Ippocrate che la inquadrava nella sua teoria degli umori. La spiegazione naturale è il primo passo verso la spiegazione scientifica, ma la scienza, e con essa la medicina che è una scienza molto particolare, dall’antichità ai nostri giorni non si è sviluppata nella serra sigillata di un’accademia di ricercatori di verità disinteressate ma in quel flusso di contatti di uomini, oggetti e territori cui allude Tucidide. Alla medicina empirica di Ippocrate e poi a quella sperimentale di Claude Bernard questa società degli scambi non chiedeva conoscenze pure ma rimedi alle falle che questi movimenti sempre più frenetici aprivano nel corpo sociale. I rapporti tecnici della scienza – teorie, esperimenti, strumenti scientifici – erano dunque il “contesto interno” collegato al “contesto esterno” di rapporti sociali determinati dallo scambio di merci. Una società perciò dominata dalla categoria “astratta” del valore e quindi divisa in classi, tra chi possiede i mezzi di produzione e chi la semplice forza lavoro, in cui la scienza ha il compito di risolvere le incessanti contraddizioni dello sviluppo delle forze produttive, ridotte però a evidenze empiriche immediate. Così, l’infezione da coronavirus non è l’effetto “interno” dello sfrenato movimento “esterno” di uomini al seguito di frenetici flussi di merci, ma l’immediatezza assoluta della proteina Spike che aderendo al recettore ACE2 consente secondo il capriccio del caso e delle circostanze l’ingresso del virus nella cellula del corpo di tale o tal altro individuo preso nel vortice dello “sfrenato movimento” che, rigettato però sullo sfondo, diviene causalmente non percepibile. Di conseguenza, non ci sono più dei che puniscono ma un movimento occulto che, nella parvenza di indiscutibile realtà naturale, la scienza aggiusta nelle sue fratture, divenendo essa stessa produttrice di valore. E siccome la scienza con tali operazioni di aggiustamento, vedi i vaccini, si lega all’evidenza immediata del vivere o del morire, essa diventa la potenza assoluta che è “irrazionale” contraddire. Alla credenza nella punizione divina subentra allora il razionalismo di massa come credenza obbligatoria nella potenza della scienza che fa da supporto inattaccabile dello statu quo sociale. Lo scandalo del no vax allora sta nella miscredenza rispetto a tale potenza e nel suo potenziale eversivo rispetto allo statu quo. Tuttavia, almeno sino a quando tale miscredenza non riuscirà a tradursi in una più ampia “razionalità sociale”, essa resta pura negazione che con la sua evidenza di morte rafforza l’evidenza non della vita, ma della vita generata dal regime falsamente naturale dello sfrenato movimento.

Ragioni oggettive a favore dei fratelli no vax

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Premesso che chi scrive ha fatto il suo dovere vaccinale, è fuor di dubbio che chi non vuole vaccinarsi e si oppone al controllo del lasciapassare ha dalla sua parte delle ragioni oggettive fra le quali possono essere messe in evidenza le seguenti:

 

1) il consenso informato da firmare all’atto di vaccinarsi, in mancanza di una legge che fissi dettagliatamente gli obblighi dello Stato verso il vaccinando e i suoi congiunti in caso di eventi avversi prossimi o venturi, lascia il cittadino in balia di tali eventi e scarica di responsabilità lo Stato, il quale però, pur in una situazione di sperimentazione sanitaria di massa quale non si nega essere da parte di molti competenti in materia quella attualmente in corso, obbliga di fatto al vaccino con la misura amministrativa ex post del lasciapassare. Questo modo obliquo di procedere non può che generare sfiducia;

 

2) si afferma che il vaccino serve a evitare la malattia grave che richiede il ricovero in ospedale. Ciò significa che si dà per scontato che la malattia si diffonda e persista a bassa intensità nella maggioranza della popolazione, ma senza predisporre alcun significativo potenziamento dell’assistenza medica a casa che resta carente o inesistente. Lo Stato quindi fa il calcolo minimo di evitare l’allarme sociale e il costo economico del sovraccarico ospedaliero, lasciando che il cittadino se la sbrighi privatamente nel caso più che probabile, anche quando vaccinato, che la malattia lo colpisca sebbene in forma non grave o mortale. Anche qui, questo modo obliquo di procedere non può che generare sfiducia;

 

3) posto che la strada delle cure (monoclonali, immunosoppressori) è stata sostanzialmente scartata perché ritenuta troppo lenta rispetto all’obiettivo di rimettere in moto al più presto l’intero ingranaggio della vita sociale, e posto che lo stesso vaccino non sembra poi l’arma infallibile contro l’insidioso virus, non c’è stata e non c’è alcuna seria possibilità di scegliere fra i vari tipi di vaccino (mRNA, vettoriale, proteine) in sperimentazione non solo in paesi “reprobi” come Cuba, Russia e Cina, ma anche nel blocco dei “virtuosi” paesi occidentali. Si è alimentato invece un dibattito fittizio tra marchi (Astrazeneca vs. Pfizer), impedendo di fatto un’informazione obiettiva e completa su tutte le opzioni possibili, lasciando che tutto fosse regolato da dinamiche economiche riconducibili a pochi, salvifici monopoli farmaceutici. Tutto ciò ancora una volta non può che aver generato sospetto e sfiducia;

 

4) non è mancato e manca solo il dibattito scientifico su opzioni effettive e non fittizie, ma ancor più manca un dibattito serio su come uscire dalle “situazioni di guerra” causate dalle ormai ricorrenti pandemie. Al contrario, la fuga dalle responsabilità, i ragionamenti grettamente utilitaristici, la riproposizione di modelli organizzativi obsoleti, le contrapposizioni schematiche rispondenti più al marketing che al dibattito democratico, non fanno che ribadire la grande divisione tra uno Stato nella sua essenza autoritario e un cittadino relegato nella sua privatezza, la cui àncora di salvezza per entrambi è un’economia che si rimetta a regime quanto prima per poter continuare a stillare quelle ormai sempre più grame risorse necessarie a tenere in vita un’organizzazione sociale di cui da tempo si è più prigionieri che protagonisti.

 

Tutto ciò considerato, sembrano eccessive e spropositate le misure che vengono minacciate per coloro che non intendono vaccinarsi e sottostare al controllo del lasciapassare. Privare qualcuno del lavoro e dello stipendio è come spedirlo in prigione senza neanche volergli passare il vitto dell’amministrazione carceraria. Se si vogliono adottare misure così estreme, ci si assuma la responsabilità di leggi chiaramente discusse ed emanate, senza più far ricorso a decreti che producono solo rabbia e frustrazione. O è proprio la rabbia e la frustrazione che si vogliono alimentare, per poter ricorrere al pugno di ferro che ribadisca i presupposti indiscutibili dell’ordine vigente?