religione

Moi, je ne suis pas Charlie! Et toi? (3)

Download PDF

Stupiscono certe affermazioni di persone che fanno mostra di un pensiero scafatissimo. Intervistato dal “Corriere della sera” sui fatti di Parigi, Michel Houellebecq afferma che una sua recente rilettura del Corano lo ha convinto che un lettore onesto di questo libro sacro «non ne può concludere affatto che bisogna andare ad ammazzare i bambini ebrei. Proprio per niente»1. Ma, anche senza aver passato i giorni a compulsare dotti trattati, dovrebbe essere ormai chiaro, per semplice fatto d’osservazione, che un testo religioso non è solo un “insieme di prescrizioni”, ma anche, e assai più spesso, un “insieme di giustificazioni”. Oggi ci sono individui che si dicono musulmani, che vogliono vendicarsi di offese subite, e fondare un loro impero universale. Questa non è fede, ma sete di rivalsa e volontà di potenza. Le motivazioni, rivestite di giustificazioni religiose, bisogna andarle a cercare non nel loro libro, ma, se non si vuole risalire al colonialismo, almeno in ciò che è successo in quest’ultimo inglorioso trentennio, nel corso del quale ciò che chiamiamo “Occidente” le ha sbagliate tutte, perdendo via via ogni ascendente sul mondo. Houellebecq, bontà sua, sostiene che «la violenza non è connaturata all’Islam», mentre il problema di questa sfortunata religione «è che non ha un capo come il Papa della Chiesa cattolica, che indicherebbe la retta via una volta per tutte». Se Houellebecq, anziché perdere tempo a leggere il Corano, osservasse ciò che sta accadendo nella Chiesa cattolica, si accorgerebbe che adesso ci sono due papi, uno emerito che ha rinunciato al soglio perché il mondo non lo stava a sentire, e uno in carica che si dichiara solo “vescovo di Roma”. Evidentemente, i papi devono servire a poco se i fedeli hanno altro per la testa. Per fortuna, che Houellebecq ad un certo punto si sveglia, e afferma che la sua lettura del Corano lo porta a supporre come possibile un’intesa dell’Islam con le altre religioni monoteiste. Anche qui, non c’era bisogno di rileggere il Corano, ma bastava osservare la realtà per scorgere in una simile intesa una possibile fuoriuscita dal caos, nei prossimi decenni2. Ma in cosa deve consistere questa intesa? Houellebecq, ricollegandosi a quanto espresso da Emanuel Carrère nel suo recente romamzo Il Regno, sostiene che «senza andare verso un progetto di fusione grandioso alla Carrère, diciamo che Cattolicesimo e Islam hanno dimostrato di poter coabitare. L’ibridazione è possibile con qualcosa che è davvero radicato in Occidente, il Cristianesimo». Fusione o ibridazione, quel che Carrère e Houellebecq dovrebbero sottolineare di più è che il Cristianesimo deve cambiare anch’esso, se vuole intendersi con l’Islam e l’ebraismo. Ecco perché invocare un papa per l’Islam è contraddittorio, quando proprio in ciò il Cristianesimo deve riformarsi. Come si dice in francese, on ne peut avoir le beurre, et l’argent du beurre. Ma il punto è proprio questo, che da vero incontentabile Houellebecq vuole il burro e i soldi che la mamma gli da dato per comprare il burro. Egli infatti sostiene che un’ibridazione dell’Islam con il “razionalismo illuminista” gli pare inverosimile. Per la verità, neanche il Cristianesimo si è ben ibridato con questo strano parto di ciò che chiamiamo “modernità”. Ma qui c’è tutta l’ambiguità del discorso di Houellebecq. «I miei valori non sono quelli dell’Illuminismo», egli afferma, scrollando sdegnosamente le spalle. Quello che all’apparenza sembra essere una via religiosa ad un nuovo umanesimo, si rivela così una regressione ad una religione comune, magari con tanto di papa, che ci liberi da quella libertà morale di cui, come afferma ancora Houellebecq, «l’uomo non ne può più». Ma siamo sicuri che i musulmani non stiano cercando a modo loro quella libertà di cui Houellebecq, e i suoi affaticati compagni, sono così stanchi? Siamo sicuri che non stiano cercando, per altro alquanto disturbati dalle nostre continue intromissioni, una versione più autentica di quella libertà che troppe omissioni, troppe rimozioni, troppe strumentalizzazioni hanno reso da noi un vuoto simulacro? Poco importano queste domande ancora troppo illuministiche, perché Houellebecq ha già deciso: «ecco perché parlo di sottomissione». E che cos’è la sottomissione? Qualche anticipazione giornalistica del suo nuovo romanzo che, non essendo lettori abituali di questo rispettabile scrittore, non si è letto in originale, lo chiarisce:

«“È la sottomissione” disse piano Rediger. “L’idea sconvolgente e semplice, mai espressa con tanta forza prima di allora, che il culmine della felicità umana consista nella sottomissione più assoluta. È un concetto che esiterei a esporre davanti ai miei correligionari, potrebbero giudicarlo blasfemo, ma per me c’è un rapporto tra la sottomissione della donna all’uomo come la descrive Histoire d’O e la sottomissione dell’uomo a Dio come la contempla l’islam. Vede”, proseguì, “l’islam accetta il mondo, e lo accetta nella sua integrità, accetta il mondo così com’è, per dirla con Nietzsche. Per il buddhismo il mondo è dukkha — inadeguatezza, sofferenza. Il cristianesimo stesso manifesta serie riserve — Satana non viene definito “principe di questo mondo”? Per l’islam, invece, la creazione divina è perfetta, è un capolavoro assoluto. Cos’è in fondo il Corano, se non un immenso poema mistico di lode? Di lode al Creatore e di sottomissione alle sue leggi»3.

Non si poteva parafrasare meglio il famoso “solo un dio ci può salvare” del filosofo della Foresta nera4, non si poteva esprimere meglio questa nuova “passione dell’obbedienza” da cui, però, i credenti stessi cercano di prendere le distanze (Bergoglio semplice “vescovo di Roma”!). Perché, alla fine, è questo il punto, si abbassano le insegne del “razionalismo illuministico”, si prendono le distanze dalla “modernità” e dall’“Occidente”, ma resta sempre quell’istanza, “noi”, che per quanto ormai vuota di fascino e contenuto, pretende di decidere come deve essere, questa volta non più la “ragione”, ma la nuova fede in cui islamici, cristiani ed ebrei dovrebbero ibridarsi. Una fede da schiavi felici. Il libertinismo è divertente, ma travestito coi paramenti teologici fa paura. Sottomissione? No, grazie, reciprocità!

  1. S. Montefiori, Michel Houellebecq: «Niente in Francia sarà più come prima. Sì, ho paura anch’io…», http://www.corriere.it/esteri/15_gennaio_14/michel-houellebecq-niente-francia-sara-piu-come-prima-si-ho-paura-anch-io-b2efe122-9bb4-11e4-96e6-24b467c58d7f.shtml. Salvo altra indicazione, le citazioni che seguono si riferiscono a questa intervista []
  2. F. Aqueci, Rompere lo specchio. Islam ed ebraismo al tornante della modernità, “Critica marxista”, n. 5, settembre-ottobre 2008, pp. 35-41, poi in Id., Ricerche semioetiche, Roma, Aracne. 2013, pp. 187-197 []
  3. M. Houellebecq, “Francia, il tuo destino è la sottomissione al potere dell’islam”, “la Repubblica”, 15.1.2015, pp. 22-23. []
  4. M. Heidegger, Nur noch sin Gott kann uns retten, “Der Spiegel”, XXX, n. 23 31 maggio 1978. Il colloquio con Rudolf Augstein e Georg Wolff ebbe luogo il 23 settembre 1966. []

Moi, je ne suis pas Charlie! Et toi? (1)

Download PDF

Un’amica, che ha passato buona parte della sua vita a studiare e a spiegarci l’Illuminismo europeo, mi indirizza una mail dal titolo «Moi, je ne suis pas Charlie! Et toi?», nella quale scrive: «È difficile far passare in questo momento un giudizio così impopolare, e non so se lo condividerai. Ma vedendo le vignette di Charlie Hebdo ho avuto un moto di ripugnanza. La satira rivolta a una categoria in quanto tale è volgare a prescindere (se è ebreo ha il naso adunco, è scuro e peloso, dunque anche avaro…). Le conseguenze tragiche che questi sterotipi hanno avuto nel Novecento dovrebbero insegnarci qualcosa, e invece no. Eppure libertà di pensiero è anche consentire ai nostri coinquilini islamici di pensarsi come individui, il che li aiuterebbe a pensare da individui, cioè come ci vantiamo giustamente di pensare noi». Devo dire che le vignette di Charlie Hebdo mi fanno (facevano) ridere, e di gusto, ma devo riconoscere che è la risata di un attimo, una risata sulfurea che corrode più colui che ride, che l’oggetto dell’irrisione. Forse perchè è il riflesso soggettivo di una immobilità della struttura. Il vecchio Pareto spiegava che la distruzione del “residuo” non fa sparire la “derivazione”, tanto che «nelle Indie gl’indigeni convertiti perdono la moralità della vecchia loro religione, senza acquistare quella della nuova»1. I musulmani sono presi dalla corrente modernizzatrice, ma tengono al loro “residuo”, al punto da farne un assoluto, anche se per fortuna solo una minoranza lo difende con le armi. Decentrarsi da esso e pensarsi come individui richiederebbe una laicità che non ispiri loro il sospetto di essere ridotti a singoli manipolabili poi a piacimento. È vero che ciò concerne anche i fondamentalisti cristiani, anche loro aggressivi in qualche loro componente, ma la differenza non piccola è che essi aspirano a restaurare un “residuo” che, nella struttura, già domina il mondo. È condivisibile perciò nell’immediato quel “giudizio impopolare” circa l’unilateralità di certa satira, ma andando oltre la “permanenza dei residui” di Pareto, il problema è come smuovere questa pigrissima ontologia in cui siamo intrappolati, di cui la religione, con le immagini contrapposte che rinvia gli uni agli altri, è lo specchio deformante utile solo ad alimentare una lotta di potere. Per gli jiahdisti, infatti, che raccolgono in ciò lezioni secolari, la “fede” è un brutale instrumentum di un regno che aspirano ad instaurare, con tanto di pubblici e sanguinosi proclami. Ma la “libertà” alla quale giustamete noi tanto teniamo, è davvero così libera? Si può concepire la satira sub specie aeternitatis, o si dovrebbe forse anche tener conto dello “sviluppo ineguale” delle singole “menti sociali”, senza che da ciò derivi una censura della satira stessa? La mail dell’amica illuminista così si conclude: «Dal compagno Bergoglio mi aspetterei qualcosa in questo senso. Lui se lo può permettere». In effetti, la vignetta charliehebdomadista in cui le tre entità della Trinità fanno a incularella è un ilare atto di disperazione ontologica. Il Papa venuto dalla fine del mondo che, tra lo scandalo di molti, esclama: «chi sono io, per giudicare?», è già una picconata sul “residuo” che, lo voglia o meno Bergoglio, muove verso una promettente “reciprocità”. Il problema, infatti, è uscire fuori dalle “forme di vita” dentro cui proprio quel pigro “sviluppo ineguale” ci imprigiona, e dentro cui stiamo orgogliosamente asserragliati. Uno sviluppo, di cui nessuno può essere ragionevolmente certo di aver raggiunto l’apice. E, invece, se oggi uno jiahdista può uccidere un vignettista per punirlo della sua blasfemia, è perché, nei decenni scorsi, nella “sovrastruttura”, c’è stato chi, politico o intellettuale, cristiano o musulmano, ha fatto a gara nell’opera di “distruzione della ragione”, in nome di una “razionalità strumentale” buona per la struttura, ma che diviene un’impostura quando, verniciata di “libertà”, si propone come il compimento della storia.

  1. Trattato di sociologia generale, § 1416 []