Sono passati venti giorni dalle elezioni tedesche, e un governo ancora non si vede. Merkel e la socialdemocrazia discutono. In realtà, la brava cancelliera sta lustrando per bene il piano del comò su cui sistemare la SPD come un mazzo di fiori secchi. Il centro è al 42%, e i nipotini della tanto celebrata svolta di Bad Godesberg sono ridotti ad un residuale ed inerte 25%. L’illusione è che la ruota giri, e la prossima volta tocchi a loro il trionfo che ora arride alla fanciulla sbucata dall’Est. Ma questo poteva andare bene negli anni Settanta e Ottanta. Il secolo ha girato l’angolo, e non si vede cosa possa riportare agli antichi fasti una “sinistra” che prima non aveva niente alla sua sinistra e dintorni, né Linke né Verdi. Altrove, la situazione è, se possibile, ancora più nera. In Francia, Hollande sprofonda nel vuoto della sua boria di enarca, e non lo sta ad ascoltare più nessuno, mentre Marine Le Pen si appresta a sbalzarlo dalla poltrona. E in Italia? Consumati tutti gli errori al momento della formazione del governo e dell’elezione del Presidente della Repubblica, non esiste più una centralità della sinistra post-comunista. Sotto il mantello delle larghe intese, i democristiani di ogni banda si preparano ad un gruppone centrale cui vorrebbero adattare una legge elettorale neoproporzionale. Paradossalmente, solo Gianburrasca Renzi può fermarli, che però è un democristiano anagrafico, ma un marziano tanto per la fu sinistra post-piccina, quanto per i redivivi democristi. Ancora un (piccolo) uomo della Provvidenza, dunque, di cui l’Italia è sempre incinta. A questo punto, la sinistra dovrebbe cominciare a porsi veramente la domanda se tutti i suoi guai non derivino da quel viaggio a Bad Godesberg, dove si illuse di essersi liberata dagli inutili cascami della teoria, e riflettere al fatto che l’unica volta in cui ha veramente vinto è stato quando una teoria ce l’aveva.
Renzi
Quando il capitalismo parla
In un suo documento sulla crisi in Europa, la banca d’affari JP Morgan ha manifestato tutta la sua riprovazione per i sistemi politici della periferia meridionale europea, instaurati dopo la caduta delle dittature fasciste. Secondo JP Morgan, le Costituzioni di questi paesi mostrano una forte influenza delle idee socialiste, e presentano tipicamente le seguenti caratteristiche: esecutivi deboli nei confronti dei parlamenti, governi centrali deboli nei confronti delle regioni, tutele costituzionali dei diritti dei lavoratori, licenza di protestare se vengono proposte sgradite modifiche dello status quo, tecniche clientelari di costruzione del consenso. Secondo questa benefica istituzione, la crisi economica ha mostrato a quali conseguenze portino queste nefaste caratteristiche. I paesi della periferia hanno ottenuto successi solo parziali nel seguire percorsi di riforme economiche e fiscali, e si sono visti esecutivi limitati nella loro azione dalle Costituzioni (Portogallo), dalle autorità locali (Spagna), dalla crescita di partiti populisti (Italia e Grecia). Non si tratta certo di discorsi da ubriaconi, e faremmo bene a prenderli sul serio. Ma la notizia è un’altra. Il resoconto di questo documento, che va ad arricchire il corpus della allegra letteratuta calvinista, è apparso solo nel taglio basso della seconda pagina di “Repubblica” di ieri, con uno di quei titoli che hanno fatto la fortuna di questo giornale: «JP Morgan shock: “Basta costituzioni antifasciste”». Il vero shock però è che nessuna delle tronitrinuanti penne di “Repubblica” è stata mobilitata per commentare adeguatamente le analcoliche analisi di JP Morgan, salvo delegare al povero redattore di turno di condire la notizia con l’olio leggero di qualche rigo ironico. A guardar bene, però, l’autentico shock è che, lo stesso giorno, gli organelli impazziti della sinistra italiana in disfacimento, da “l’Unità” a “Il Fatto quotidiano” a “il manifesto”, non hanno neanche dato la notizia. Lo stesso giorno, invece, sul sito dell’Huffington Post Italia, new organ house of the new italian labour party, Matteo Renzi annunciava che si prepara ad essere il nuovo Tony Blair. Insomma, parafrasando Heidegger, quando il Capitalismo parla, non si può che stare ad ascoltare il Dire originario.