Scalfari

I cannoni di Scalfari e la morale di Napolitano

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Vada come vada, questo referendum ha già avuto il risultato di far cadere un po’ di veli. Si prenda Eugenio Scalfari. Il 3 ottobre scorso, avendo letto e meditato sulle visioni politiche dei grandi classici, se ne uscì con un editoriale che inneggiava all’oligarchia in quanto sola forma di democrazia, con l’argomento che «l’oligarchia è la classe dirigente, a tutti i livelli e in tutte le epoche»1. Seguiva una messe impressionante di fatti storici, da Platone alla Democrazia cristiana, che dimostravano che «oligarchia e democrazia sono la stessa cosa»2. Ora, tutti abbiamo studiato a scuola che, per Platone, l’oligarchia, detta anche da lui timocrazia, era il governo di pochi malvagi. Per non parlare di Aristotele, per il quale l’oligarchia era la degenerazione dell’aristocrazia. Ma Scalfari aveva letto e meditato, e quindi si poteva permettere una simile innovazione, perché in fondo ciò che voleva affermare era che il governo è un affare dei dominanti, che sono tutto, mentre i dominati  sono solo un… – ma Scalfari alludeva a Pareto o al Marchese del Grillo? Come che sia, egli ha martellato con questo argomento durante la sua campagna elettorale a favore del sì, sino all’editoriale del 1° dicembre, con il quale ha completato l’opera, scrivendo che il sì era necessario per l’Europa: «il capitale è una forza fondamentale della storia moderna e può essere una forza positiva o sfruttatrice. Lo dimostrò Marx alla metà dell’Ottocento: riconosceva la forza positiva del capitalismo che era in quel momento il motore della rivoluzione industriale e al tempo stesso delle libertà borghesi, premessa della rivoluzione proletaria. Ecco perché l’Europa federalista è indispensabile e deve essere il principale obiettivo della sinistra moderna»3. Quindi, l’Europa federalista è borghese e capitalista, e siccome il capitalismo borghese è la premessa della rivoluzione proletaria, la sinistra moderna, se vuole la rivoluzione, deve sostenere l’Europa federal-capitalista. Pareto, che era uno scienziato, di fronte a simili ragionamenti, si faceva beffe degli “intellettuali”, definendoli produttori di cannoni dipinti4. Benché dipinti, però, i cannoni di Scalfari non sparano a salve. Con ragionamenti come quello sopra citato, egli a far data almeno da Razza padrona, il massimo della critica dell’economia politica cui i sui profondi studi l’hanno condotto, ha preso in giro la sinistra, una sinistra ovviamente che aveva tutto l’interesse a farsi prendere in giro da un così abile fabbricatore di “derivazioni”, giusto il termine tecnico di Pareto, ovvero di ragionamenti manipolatori con i quali assopire i governati. Prendiamo Giorgio Napolitano. Tutto si può dire di lui tranne che sia uno che si fa manipolare, ma il 2 dicembre scorso, tre mesi dopo l’editoriale con cui Scalfari sconvole la scienza politica, e un giorno dopo in cui Marx fu da lui arruolato per la vittoria del sì, ha testualmente dichiarato che «non esiste politica senza professionalità come non esiste mondo senza élite»5. E qui si capisce a cosa servono le derivazioni: senza di esse Napolitano sarebbe rimasto un forbito compagno della Direzione del fu Partito comunista italiano, invece dipingendo cannoni è salito al Quirinale. Ma Napolitano, che ha una coscienza, cerca anche il conforto della morale. Così, in questi anni si è recato molte volte a Ghilarza, paese natale di Antonio Gramsci, e da ultimo anche a Milano, dove nel maggio scorso gli originali dei Quaderni del carcere sono stati esposti accanto ai quadri di Renato Guttuso. Non siamo certo alle reliquie, perché c’erano anche i dipinti, gli onnipresenti cannoni dipinti, uno dei quali questa volta è servito a Napolitano per emettere i canonici sette colpi a salve, in onore del Gramsci «monumento morale»6. Bene, ma con le élite come la mettiamo? Ecco cosa ne pensava Gramsci, prima di essere moralmente cannoneggiato da Napolitano: «ma in realtà solo il gruppo sociale che pone la fine dello Stato e di se stesso come fine da raggiungere, può creare uno Stato etico, tendente a porre fine alle divisioni interne di dominati ecc. e a creare un organismo sociale unitario tecnico‑morale»7. E se non fosse chiaro, ecco come si esprimeva ancora in proposito il grande sardo: «si vuole che ci siano sempre governati e governanti oppure si vogliono creare le condizioni in cui la necessità dell’esistenza di questa divisione sparisca? cioè si parte dalla premessa della perpetua divisione del genere umano o si crede che essa sia solo un fatto storico, rispondente a certe condizioni?»8. Gramsci, che era un socratico, poneva domande. E Napolitano, che si fa prestare i cannoni da Scalfari, complice il referendum, la risposta finalmente l’ha data: «non esiste mondo senza élite». Domani, vinca il sì o vinca il no, almeno questo, alla faccia di Gramsci, l’abbiamo chiarito.

  1. E. Scalfari, Zagrebelsky è un amico ma il match con Renzi l’ha perduto. Il primo errore è stato la contrapposizione tra oligarchia e democrazia, “la repubblica”, 2.10.2016, http://www.repubblica.it/politica/2016/10/02/news/zagrebelsky_renzi_scalfari-148925679/ []
  2. Ibidem. []
  3. E. Scalfari, Il Quirinale tra Waterloo e Ventotene, “la Repubblica”, 1.12.2016, p. 1 e 31. []
  4. V. Pareto, Trattato di sociologia generale, Torino, UTET, 1988, 4 voll. vol. IV, § 1923, nota 1, p. 1892 []
  5. “Corriere della sera”, 2.12.2016, p. 6 []
  6. http://www.corriere.it/cultura/16_maggio_23/gramsci-guttuso-gallerie-d-italia-milano-intesa-san-paolo-quaderni-carcere-quadri-bazoli-napolitano-1aa5c18e-211e-11e6-a5a3-c2288e2f54b5.shtml; ma v. anche http://www.sardinews.it/pdf/dossier%204_2007.pdf []
  7. Q. 8, § 179. []
  8. Q. 15, § 4. []

Scalfari, Prodi e l’Europa che verrà

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In un colloquio con Romano Prodi, apparso a pagina 8 de “la Repubblica” del 3 ottobre 2015, Eugenio Scalfari se ne è uscito con questa analogia storica tra gli Stati Uniti d’America del dopo Guerra civile e i per lui auspicabili Stati Uniti d’Europa del mondo globale: «Quando i nordisti di Lincoln vinsero la guerra contro i sudisti, per molti anni il potere fu degli Stati del Nord, ma poi si diffuse a tutto il Paese. Così avverrebbe anche nell’Europa federale. Se mettiamo insieme Italia, Francia e Spagna esisterebbe un blocco mediterraneo che potrebbe avere gran peso sulla politica della Europa federata». A sua volta, Prodi ha rincalzato: «È il solo futuro auspicabile, senza il quale i Paesi europei saranno barchette di carta nel mare della società globale, Germania compresa». Ora, fra i due, non si sa a chi assegnare la palma, se a Scalfari per la sua prodigiosa cultura storica, o a Prodi per la sua ferrea memoria di grande statista. Bisogna ricordare, infatti, che, nel 1997 egli, assieme a Ciampi, fu letteralmente mandato a quel paese da Aznar, al quale i due proponevano un’alleanza per mitigare le condizioni tedesche all’ingresso nell’euro dei paesi del “blocco mediterraneo”. Se non ha funzionato allora, non si vede perché dovrebbe funzionare oggi o nel futuro, tanto più che la crisi greca ha mostrato che tra i paesi del “blocco meditarraneo” non c’è nessuna solidarietà. Quanto a Scalfari, è ben vero che, dopo la sconfitta nella Guerra civile, per molti anni il potere fu degli Stati del Nord, ma in proposito sentiamo cosa dice lo storico: «Alla fine della prima decade del XX secolo il Sud poteva trarre un ben misero bilancio: del tutto isolato dalla vita politica nazionale, non era più riuscito a esercitare il minimo influsso sulla direzione del paese cui un tempo aveva fornito quasi per intero la classe dirigente»1. Dal 1865, anno in cui il Sud fu vinto e soggiogato, alla prima decade del XX secolo fanno, se non sbaglio, più di cinquant’anni. Ecco, il futuro che Scalfari ci prospetta è un cinquantennio di miseria e di emarginazione. Come dire, quando saremo tutti morti, il potere si diffonderà a tutta l’Europa. E, allora, piuttosto che sognare la grande corazzata degli Stati Uniti d’Europa, in un mondo per altro dove Cina e Brics arrancano e la globalizzazione perde di velocità, non sarebbe il caso di capire perché, da Ventotene a Maastricht, l’Europa anziché trovarsi assisa in cima al mondo, si trova sprofondata nell’austerità e nella stagnazione? Nel 1930, quando gli Stati Uniti giacevano nella catastrofe della Grande Depressione, un gruppo di dodici poeti e scrittori fra i maggiori del tanto disprezzato Sud pubblicò un libro di enorme e duratura risonanza, dal titolo I’ll Take My Stand. The South and the Agrarian Tradition. Come riporta lo storico, «l’intento e il pensiero che pervadevano tutti i dodici scritti erano in sostanza che l’America del capitalismo finanziario, della spculazione sfrenata, della corsa al guadagno e ai beni materiali, l’America insomma dei vincitori della Guerra civile aveva condotto il paese intero a una catastrofe senza precedenti»2. È vero, nel 1945 la “guerra civile europea” si concluse con la sconfitta di tutti che aprì le porte ad un podesttà straniero, quell’America che anche grazie alla guerra si trasse fuori dalla “catastrofe” cui l’aveva condotto il modello di società impostosi con la sua Guerra civile, e che ora, rianimato, esportava nel Vecchio Mondo, al quale per altro non era estraneo. E, allora, se i valori “nordisti” della finanza, della speculazione e del profitto che hanno guidato sin qui la costruzione della “pacifica Europa” fossero valori che, di qua e di là dell’Atlantico, si rivelano essere valori sbagliati, al posto dei quali invece avremmo bisogno dei valori “sudisti” di un’economia delle cose e dei bisogni, votata a nutrire non l’idolo astratto della potenza, ma la vita concreta di individui per i quali, come scriveva uno di quei dodici poeti, un podere non è necessariamente un luogo per produrre ricchezza, ma per produrre granoturco?

  1. R. Luraghi, La spada e le magnolie. Il Sud nella storia degli Stati Uniti, Roma, Donzelli, 2007, p. 128 []
  2. ivi, p. 149 []

Europa, cose semplici

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Nella domenica in cui, come nelle vecchie trame ottocentesche, i creditori si sono presi pure gli orecchini di una Grecia ridotta sul lastrico, sono successe molte cose nel piccolo mondo antico dei giornali italiani. Per esempio, tal David Vincenzetti, venuto all’onor della cronaca per essersi fatto hackerare i dati della sua azienda di hackeraggio di Stato, ha dato del “cattivo ragazzo” a Julian Assange, auspicandone l’arresto, dal momento che pubblicherebbe documenti rubati1. E certo la ricettazione è assai più riprovevole di vendere “sicurezza” a governanti dai modi spicci. Comunque, qualcuno si dovrebbe incaricare di far sapere a Vincenzetti che Assange è di fatto agli arresti da tre anni. Che gli debbono fare, di più, tagliargli la mano, come nello Stato islamico? Poi, non è mancato in prima pagina, con prosieguo a lenzuolo nelle pagine interne, il sempre valente Panebianco che ha auspicato per l’Italia una giurisdizione non più prona alla dominante cultura anti-impresa2. Tradotto, una magistratura che non rompa più i cosiddetti con i suoi decreti di chiusura di aziende inquinanti, di malaffare, et similia. Il Papa e Naomi Klein, dunque, se ne stiano buonini con le loro ubbìe ambientalistiche, perché qui c’è da fare impresa. Cose da grandi. Ora, la magistratura non ha bisogno di essere difesa, anche perché, quando vuole, è feroce, come quando processa con l’imputazione di terrorismo i sabotatori delle escavatrici al lavoro in Val di Susa per la Tav. Ma fa un certo effetto leggere appena dopo questa lenzuolata, una lettera del procuratore Spataro, che richiama i principi costituzionali in base ai quali la magistratura è chiamata a svolgere quell’opera di controllo che tanto disturba Panebianco3. Ma Spataro non li legge i giornali? Allora, che parliamo a fare? Ah, già, la sua lettera era pubblicata sullo stesso numero in cui era apparso l’appello pro-impresa di Panebianco. È l’obiettività, bellezza. Mangiando, ci si sporcano le labbra, e con il tovagliolo ce li si forbisce. Poi, Christian Salmon ci ha deliziato spiegandoci cos’è il neomarketing dello storytelling4, praticamente un logo o brand al cubo, anche qui con buona pace della povera Naomi Klein, che abbaino pure lei e i suoi sempre più sfiatati accoliti. E se uno pensa che migliaia di ragazzi africani rischiano la vita, alla volta dell’Europa in quelle barche fatiscenti, attratti dallo “stile di vita europeo” che comprende di poter comprare uno smartphone che ti racconti una storia, beh, viene da invocare lingue di fuoco apocalittiche che scendendo dal cielo brucino in un sol colpo i cinici e gli stupidi di questa epoca di accecati. L’acme di questa domenica speciale lo si è toccato, però, con Eugenio Scalfari che ha scoperto una cosa che, giustamente, gli sembra impossibile, e cioè che «ci sono anche alcuni personaggi di sinistra che, affascinati da Tsipras, vorrebbero quanto meno ricostruire una sorta di comunismo d’antan che abbia l’Europa come terreno seminativo e si proponga di combattere il capitalismo»5. Ma signori miei, si può essere così sprovveduti da proporsi simili obiettivi, quando invece basta fare una bella federazione, gli Stati Uniti d’Europa, in cui, in quattro e quattr’otto, si mette mano ad una politica di crescita, ovviamente accompagnata da misure di equità sociali, poi si vara un bilancio unico europeo, modificando tutti i trattati che ci sono da modificare, a partire da quello di Lisbona, ricordate?, ci si mette a capo un ministro del Tesoro unico, così Draghi c’ha con chi scambiare due chiacchiere, e poi naturalmente si vara il debito sovrano, che non guasta, e poi l’Unione bancaria europea, la garanzia sui depositi e la vigilanza centralizzata, già per altro in corso d’opera, e infine si chiude con la nuova Costituzione dell’Europa federale, elaborata, indovinate da chi?, ma da un’Assemblea costituente eletta ça va sans dire con il voto proporzionale. Semplice, no? Ahò, mica è complicato come il comunismo!

  1. “Corriere della sera”, 12 luglio, 2015, p. 17 []
  2. “Corriere della sera”, 12 luglio 2015, p. 1 e 24 []
  3. “Corriere della sera, 12 luglio 2015, p. 25 []
  4. “la Repubblica”, 12 luglio 2015, p. 41 []
  5. “la Repubblica”, 12 luglio 2015, p. 25 []

Europa: federazione o confederazione?

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Ieri, domenica 7 dicembre, Eugenrio Scalfari, in un’intera pagina di “Repubblica”, ha detto una cosa molto semplice che si può riassumere così: Draghi è per la federazione europea, Renzi per la confederazione. Poi Scalfari si è ulteriormente dilungato sui motivi di queste differenti scelte, che si possono riassumere anch’essi in poche parole: Draghi è per la federazione europea perché permette all’Europa di giocare un ruolo nello scenario mondiale, Renzi è per la confederazione perché vuole salvaguardare il suo potere di uomo di stato, che nel caso della federazione scadrebbe a quello di un qualsiasi governatore di uno stato americano. Scalfari cena spesso con Draghi al lume della ragione, come tiene a far sapere, e altrettanto tiene a far sapere che di tanto in tanto incontra Renzi, che gli sta simpatico, anche se non lo può vedere. Egli è dunque, come dire, informato sui fatti e le persone, e quindi possiamo credergli quando ci spiega le differenti strategie di questi due grand’uomini. Si vorrebbe solo osservare che l’Europa federale vagheggiata da Scalfari non è l’angelo della pace che l’umanità attende da duemila anni. Se l’Europa si federa, significa che avrà un esercito, e finalmente una politica estera con cui la Mogherini non si potrà più baloccare. L’Europa così avrà certamente un ruolo nel contesto mondiale, il che tradotto significa che si confronterà e molto probabilmente si scontrerà con gli Stati Uniti e con la Cina. Pensare che le cose possano andare diversamente, significa vivere sulla luna. Pensare che gli Stati Uniti, la Cina e l’Europa federata possano dare vita ad un governo mondiale è un sogno puerile, e fa specie che uomini molto navigati possano nutrirlo. Invece è molto più probabile che tra queste tre entità si scateni una competizione, anche guerresca, se è il caso. Non c’è bisogno di essere Lenin per capirlo. La storia inoltre insegna che il federalismo arma i popoli, anziché disarmarli. Lasciamo stare la Svizzera, dove pure ogni cittadino tiene a casa il suo fucile di bravo soldato in sonno, ma il passaggio degli Stati Uniti da stato confederale a stato federale, avvenuto con la Guerra Civile, ha dato luogo allo stato imperialista più potente e guerresco della storia. Insomma, il bel raccontino che ci ha fatto Scalfari sulle lungimiranti intenzioni di Draghi, anziché rassicurarci, ci ha allarmati. Questo non significa che preferiamo l’Europa degli staterelli, dove tutti i Renzi possono fare coccodé. Ma se l’Europa vuole proprio fare qualcosa, perché non comincia a risolvere i suoi problemi con la Russia? Si tratta di una civiltà e di una potenza territorialmente contigua, e culturalmente con tante cose in comune. Certo, noi stiamo delegando la disciplina matrimoniale ai gay, mentre loro sono per i valori tradizionali della civiltà cristiana, ma la Russia ha l’atomica e, come si sa, tante materie prime. Un blocco tra Europa occidentale ed Europa eurasiatica avrebbe ben più che un ruolo nel contesto mondiale, con il vantaggio che ognuno potrebbe restare padrone a casa sua. C’è da augurarsi che l’imperialismo europeo non si ridesti, e con la moneta porti a termine la rivincita sul 1945. Meraviglia molto che uomini che hanno vissuto in quegli anni, spieghino ai giovani come ritornarci per vie traverse. Con questo, non stiamo dicendo che Draghi è un Mefistofele che sta preparando l’inferno. È solo un banchiere che primeggia nel nanismo della politica. Renzi purtroppo non è un gigante. Ecco, questo è l’unico punto su cui Scalfari ha ragione.

P.S. In un’intervista rievocativa dei suoi novant’anni, apparsa sullo stesso numero di “Repubblica”, Alfredo Reichlin ha affermato che la sinistra «ha fallito. La sua crisi rientra nel più generale declino della civiltà europea. È finita l’occidentalizzazione del mondo». Quindi, la sinistra era un’articolazione dell’imperialismo europeo. Insomma, Lenin, ancora lui, non aveva capito niente.