Silvio Berlusconi

Berlusconi

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La figlia maggiore di Berlusconi lamenta che il padre anche da morto venga infangato e diffamato con notizie e indagini che da tempo si sono dimostrate essere più teoremi che fatti provati. Sulle indagini dei magistrati inquirenti c’è stato, c’è e ci sarà il vaglio dei collegi giudicanti nel cui merito non entriamo. Quanto al resto, si spera che non diventi obbligatorio il servo encomio e che sia possibile esprimere un libero giudizio su un uomo che con tanta pertinacia per tanto tempo ha voluto essere presente nella vita quotidiana di un intero paese e oltre. E, dunque, anzitutto Berlusconi è stato un capitalista monopolista nel significato esatto del termine, cioè un capitalista che tramite la leva della pubblicità si è inserito come una discreta potenza nel livello più “astratto” del capitalismo, quello finanziario. Quale sia stata la sua personale “accumulazione originaria” che gli ha consentito di raggiungere questo obiettivo è oggetto di controversie, ma bisogna considerare che in qualsiasi “accumulazione originaria” capitalistica vi sono sempre due elementi, il privilegio e il banditismo. Il privilegio di cui ha goduto Berlusconi sono stati i decreti di Craxi a salvaguardia delle sue televisioni, volano indispensabile dello sfruttamento pubblicitario. Sul resto, non ci pronunciamo. Berlusconi è stato poi un imprenditore dell’egemonia. Con le sue televisioni, infatti, ha creato un pubblico che con la “discesa in campo” ha trasformato in elettorato. Egli ha così applicato diligentemente la parte più facile della lezione gramsciana, quella secondo la quale, se si vuole conquistare il potere politico, bisogna prima essere dirigenti e poi dominanti. Il resto della lezione gramsciana, quella più impegnativa, l’ha lasciata volentieri a una sinistra in disarmo che aveva finito con il confondere l’egemonia con l’egemonia degli intellettuali. Berlusconi è stato poi un uomo politico che per far largo a un capitalismo monopolistico di cui era il maggior esponente ha messo a soqquadro un attardato Stato di diritto. Egli ha portato avanti questa azione eversiva inveendo contro il pericolo comunista, ma il vero obiettivo erano le fazioni borghesi avverse che, in nome di una ideologia liberale così astratta da poter essere rivendicata dallo stesso Berlusconi, reclamavano le guarentigie costituzionali per arginarne la prorompente carica competitiva. Si trattava dunque di uno scontro intercapitalistico in cui le classi popolari che ambivano sempre più flebilmente a riscattarsi politicamente erano uno schermo illusorio su cui proiettare una paranoia di comodo. La vera battaglia anticomunista Berlusconi l’ha combattuta nella sua ulteriore veste di uomo di raccordo dello Stato occulto in cui si ritrovavano, ora in concordia ora in discordia, ora alla luce del sole ora negli oscuri palazzi, legittimità atlantiste, neofascismo più o meno rispettabile, settori reazionari del potere ecclesiastico, massoneria, mafia anche nelle sue velleità separatiste specchio di quelle del Nord, tutti distaccamenti di un unico esercito votato a mantenere l’Italia saldamente ancorata alla potenza americana. Le indagini su cui insistono le procure hanno questo mondo come sfondo che, essendo ancora al potere, ha tutti gli strumenti per rendere “incredibili” e “indicibili” determinate verità la cui evidenza però in alcuni casi è accecante. Quale punto di riferimento di questo mondo, che è poi l’infrastruttura nel quadrante italiano dell’Occidente imperialista, Berlusconi ha potuto proporsi come uomo di pace in grado di mettere d’accordo a Pratica di Mare l’America di Bush Jr., trionfante benché assetata di vendetta per le Torri gemelle, con la Russia col cappello in mano del primo Putin, ma porta anche la responsabilità politica della repressione poliziesca del G8 di Genova del luglio 2001, abilmente scaricata su Gianfranco Fini che per altro non l’ha mai rifiutata, e della liquidazione sommaria di Gheddafi, per la verità non scelta ma subita come imposizione, tramite il presidente Giorgio Napolitano, del suo caro nemico Barack Obama di cui dileggiava l’abbronzatura. Berlusconi insomma è stato un fedele pretoriano dell’imperialismo occidentale di cui però ultimamente non capiva le dinamiche, tanto è vero che non si rassegnava a ripudiare la (Hillary Clinton sospettava lucrosa) amicizia con Putin, un altro giunto al potere sull’onda di una fra le più rapinose “accumulazioni originarie” della storia, quella ad opera di un pugno di avventurieri impadronitisi delle immense ricchezze del popolo sovietico, lasciato indifeso dalla insulsaggine dei suoi ultimi dirigenti.  Berlusconi, infine, è stato l’artefice della diffusione in Italia del capitalismo come “forma di vita”, adattandolo alla temperie spirituale di un paese avido e sessualmente represso. Con una organicità ignota alla sonnacchiosa ed elefantiaca televisione di Stato, dagli anni Ottanta in poi il d*naro e la f*ca sono stati i simboli cui alludeva lo sguardo pecoreccio di tutte le trasmissioni delle sue televisioni ma anche della sua stessa vita. Egli infatti è stato l’autore del copione e l’interprete di questa forma di vita sino ai titoli di coda, celebrati enfaticamente da un mondo che negli ultimi tempi aveva cominciato a mal sopportarlo. Per tutti questi importanti aspetti, Berlusconi è stato dunque l’uomo di un’intera epoca che, quando i libri di storia potranno essere scritti senza la costrizione del vecchio pensiero ancora in auge, sarà probabilmente ricordata come fra le più spregevoli di questo capitalismo morente.

Eppoi basta

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Da «Whatever it takes» a «Eppoi basta». Questa la parabola del Grande Funzionario. Si ricorderà che «Whatever it takes» è la frase che, pronunciata il 26 luglio 2012 nella sua veste di governatore della Banca Centrale Europea all’indirizzo dei mercati finanziari per scoraggiarli da eventuali attacchi speculativi all’euro, ha procurato a Mario Draghi una vistosa aureola che l’ha accompagnato negli anni avvenire garantendogli per chiamata diretta l’ascesa al soglio di Palazzo Chigi. E qui, dove la santità non basta, le cose si complicano. Pare infatti che, giorni fa, durante un Consiglio dei Ministri ci sia stato un diverbio, a quanto pare l’ennesimo, tra l’aureolato e il ministro Franceschini, il quale chiedeva che fossero reintrodotti i fondi per la ristrutturazione delle facciate1. Triste sorte quella di un santo di doversi occupare dei cappotti termici. Ma, come mostrò mirabilmente Stendhal, cosa non farebbe un Julien Sorel per non dare corso alle sue ambizioni? Non corriamo. Pare infatti che la conversazione dalle ordinarie questioni edilizie sia ascesa alle più alte vette politiche quando il titolare della Cultura ha ricordato al premier che il bonus facciate è stato uno dei provvedimenti caratterizzanti del governo precedente e che pertanto andava affrontato per l’importanza che ha. Qui pare che Sua Grandezza si sia molto inasprito, ricordando al ministro che anche il reddito di cittadinanza e quota cento, così come ora il taglio delle tasse e i fondi per gli ammortizzatori sociali sono provvedimenti caratterizzanti del precedente come dell’attuale governo, ma, ministro, «le risorse sono finite, altrimenti il sistema salta». Che l’avvento di Draghi fosse legato alla salvezza del sistema, lo si era capito, ma detto così fa un certo effetto. Franceschini ha fatto finta di non capire – e qui ci si chiede, ma dove sono i Di Maio e i Salvini? deve essere Franceschini a difendere le ragioni dei populisti e dei sovranisti? Dicevamo, Franceschini ha fatto finta di non capire e ha spiegato all’Uomo dell’Euro che «le riunioni di governo servono a costruire un compromesso» e che il Consiglio dei Ministri è «il luogo dove avvengono le ricomposizioni». Draghi deve aver pensato che al massimo si ricompongono le salme. E così, d’istinto, sottolinea l’informato giornalista, se ne è uscito tagliente: «È quello che stiamo facendo», aggiungendo subito dopo: «Eppoi…». E mentre tutti gli astanti notavano come per la prima volta fosse visibilmente infastidito, ha concluso: «Eppoi basta». È il caso di dirlo, il nostro Julien Sorel è proprio un libro aperto. In questo quadretto, infatti, senza infingimenti c’è tutto quello che occorre sapere per sapere dove si sta andando a parare. Dopo tanto parlare di debito buono e debito cattivo, piano di resilienza e ripartenza, fiumi di soldi dall’Europa da non farsi scappare, viene chiarito senza ambiguità alcuna che si ritorna a quell’austerità che, sola, e a che prezzo!, ci permette di continuare a partecipare a quel risiko che va sotto il nome di Unione Europea. E questo è uno. Due. Se Draghi diventa Presidente della Repubblica, avremo al Quirinale l’Uomo dell’Eppoi Basta al quale bisogna baciare la pantofola senza tirarla troppo per le lunghe con le chiacchiere parlamentari e le ricomposizioni ministeriali. Questo è il progetto “gollista”, ovvero di un autoritarismo aggiornato al XXI secolo di cui diremo fra un attimo, che vagheggiano quelli del “centro moderato”, giusto perché si sappia cos’è la moderazione. Terzo. Per sommo paradosso, questo autoritarismo aggiornato al XXI secolo ci regalerà un regime di populismo finanziario. Infatti, come in ogni populismo che si rispetti, l’Uomo dell’Eppoi Basta si connetterà direttamente al popolo che in lui riporrà tutte le sue speranze, avendo cura di investirle in buoni fruttiferi del debito europeo di cui, non essendoci più una Merkel a fargli ombra, sarà il Sommo Sacerdote. L’aureola di Draghi sarà il cerchio di ferro forgiato nel miglior acciaio tedesco che cingerà la chioma d’Italia, serva giubilante di cotanto figlio. Ma, prima che tutti i giochi siano fatti, il paradosso massimo è quello che va profilandosi in vista dell’elezione del prossimo Presidente della Repubblica. Ci sarà da un lato la “maggioranza Ursula” che, come appena detto, mira a insediare il proconsole dell’Europa con l’offa di farne il re in grado di far risplendere in tutto il continente la gloria d’Italia, e dall’altro la maggioranza alternativa, in grado di salvaguardare Parlamento, Governo e relative ricomposizioni politiche, che, se non si avrà l’accortezza di escogitare una terza soluzione, dovrà raccogliersi attorno a Berlusconi. Maggioranza Ursula vs. Maggioranza Silvio. Alla faccia di chi già lo collocava fra le salme politiche. Questo per dire com’è messa bene l’Italia.

 

  1. F. Verderami, Il botta e risposta in Consiglio tra Draghi e Franceschini: «Un’intesa? E quello che cerco», «Corriere della sera», 21.10.2021, p. 9. []