Sud

Quando il Sud aveva il pil

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Qualche anno fa, Pino Aprile, con Terroni, cui arrise un grande successo di pubblico, ora Riccardo Scarpa, con Nordici e sudici, che racconta più o meno le stesse cose di Pino Aprile, ma facendosi prefare da Stefano Folli, un notista politico capace di querela se gli toccano il crine, e da Matteo Salvini, che non ha bisogno di presentazioni. C’è un fermento “revisionistico”, e i furboni se ne sono accorti. Furboni giornalisti, in cerca di diritti d’autore, e furboni politici, in cerca di voti elettorali. Prendi Renzi. In un discorso tenuto a Napoli il 14 maggio 2014, che Scarpa è riuscito a infilare nell’ultima pagina del suo libro, concede ai meridionali che «se il Sud è stato un giorno ricco e prospero, ebbene può tornare a farcela». Ma quale giorno? Quale epoca? Beh, l’epoca borbonica. “So – afferma il furbone fiorentino – che nel Regno delle due Sicilie c’era la più bassa pressione fiscale e il più alto numero di occupati, un rapporto deficit/pil del 17 per cento e la prima ferrovia, il primo cantiere navale e il petrolio di allora, lo zolfo, mentre con il 37 per cento della popolazione produceva il 50 per cento di grano e il 60 per cento di lino…”. Quante cose sa il ben informato ufficio stampa e propaganda di Matteo Renzi, e quante ne nasconde, ad esempio che quel felice Regno, a differenza del rapace Piemonte, non aveva uno straccio di politica nazionale. Ma lasciamo perdere, e veniamo invece all’altro campione di cui Scarpa raccoglie in limine libris le parole, ovvero Beppe Grillo, lui che, tutto solo, ma memore dei Mille, è partito dalla Liguria e ha raggiunto a nuoto Messina, guardato a vista da Casaleggio, con la mano infilata nel cappotto, alla stessa altezza cui la teneva Napoleone, Grillo dicevo, ebbene, lui è più sintetico. “Voi meridionali – compatisce infatti l’ex guitto – avevate il meglio, vi hanno tolto tutto. Il Sud era la guida del Paese”. Già, la guida del Paese, quando il Paese manco esisteva A Scarpa, il revisionismo di questa nuova coppia di Cavour e Garibaldi, che recita la storia grande come una farsa amatoriale, riempie il cuore di trepida speranza. Ma al poveretto sfugge che il loro revisionismo è un modo obliquio di dire al Sud di non tirare troppo la corda: crogiolatevi pure nella memoria del vostro glorioso passato, ma non vi azzardate a toccare i fili dell’Unità, cioè di quel centocinquantenario blocco nordista che, quando ha visto la mala parata, si è rifugiato sotto l’ala protettrice dell’euro. Insomma, questi furboni vedono che la misura è colma, che c’è, non tanto un chiaro “pensiero meridiano”, quanto un confuso “sentimento meridionale” che si gonfia e ingrossa, e cercano di annetterselo con qualche “allisciatina” verbale che nulla cambia. Anzi, la risposta istituzionale è durissima, come dimostra il revisionismo costituzionale, questo sì effettivo, che serra tutto il sistema attorno al “capo del governo”, una figura che aveva capitombolato a piazzale Loreto, ma che concede però il Senato dei cento ascari. Una ri-centralizzazione, dunque, a salvaguardia di uno storico assetto socio-economico, che il “neoliberismo” europeo sublima nell’iperfinanza e nei tagli salariali. Nel secolo scorso, di una simile operazione fu garante il fascismo. Era una coercizione pauperistica. Ma ora, a quell’assetto si aggiuge il dovere del consumo. È una coercizione opulenta. Agli storici di trovare il nome di questa orripilante mistura.