Nella ormai celeberrima conferenza stampa finita a pesci in faccia, Trump dice a Zelensky più o meno così: «tra noi e l’Europa c’è un oceano, eppure siamo lì molto coinvolti con tutto quello che ci costa. Se siete interessati alla sicurezza, facciamo l’accordo economico, noi veniamo a lavorare da voi e scava, scava, scava, saremo impegnati a difendere la nostra presenza, e questo basterà a calmare la Russia e assicurarvi la pace. Se non volete fare l’accordo, ve la dovrete vedere tra di voi, e voi ucraini avrete la peggio perché, senza il nostro aiuto militare, Putin vi schiaccerà. Se volete essere forti, dovete fare l’accordo». Zelensky più o meno ribatte così: «certamente, voi grazie a Dio avete l’oceano che oggi vi protegge, ma domani anche voi avrete da temere dalle mire espansionistiche della Russia. Putin non si ferma perché l’unica cosa che capisce è la forza militare. Per noi quindi la sicurezza è un esercito forte che ci difenda e questo ce lo potete assicurare solo voi in collaborazione con gli europei. Quindi dateci armi e truppe, con annesse Nato e UE, da schierare ora e sempre ai confini della Russia». Tutta la conferenza stampa si è giocata attorno a quest’immagine dell’oceano, introdotta da Trump e ritortagli velenosamente contro da Zelensky. Trump, che con questo suo secondo mandato vuole passare alla storia come il pacificatore del mondo, voleva dimostrare il suo relativo disinteresse: «potremmo restarcene a casa, ma veniamo per difendere un nostro interesse economico che creiamo con l’accordo, così facendo però otteniamo la pace nel mondo che è quello che mi interessa». Zelensky voleva dimostrargli l’illusorietà di questo piano: «la Russia assassina e terrorista non mantiene la parola data come dimostra tutto ciò che ci ha fatto dal 2014 a oggi, e un giorno aggredirà anche voi». Questa profezia ha fatto uscire Trump dai gangheri e i due hanno cominciato ad altercare addirittura più volte sfiorandosi. Una scena tragica e penosa, in cui Zelensky sembrava davvero il bifolco che litiga con il proprietario del fondo da cui prende in prestito le sementi e gli attrezzi di lavoro. Eppure un simile personaggio tiene testa all’America e riesce a sobillare l’intera Europa compresa l’Inghilterra. Come mai? Intendiamoci, il legame economico offerto da Trump non è cooperazione economica ma uno scambio economico-politico sotto cui si nasconde una spoliazione: «le vostre risorse ci servono per sviluppare le nostre tecnologie e quant’altro, condizione essenziale per continuare a essere la Great America, il demiurgo del mondo che io Trump voglio incarnare e che può darvi pace e sicurezza». Il legame economico invece offerto dai globalisti europei rinserrati a Bruxelles, cui si accodano a corrente alternata i londinesi della City, è in apparenza cooperazione economica, ma in realtà è il classico scambio economico-finanziario ineguale la cui conseguenza macroscopica è, oltre alla corruzione endemica, l’immigrazione di massa che distrugge la coesione sociale dei paesi di partenza e di quelli di arrivo. Ora, lo scambio economico-politico di spoliazione di Trump è un attacco diretto alla falsa cooperazione economica globalista. Trump parte dal presupposto che a lungo andare il traliccio a cui è attaccato il pallone sempre più gonfio della globalizzazione crollerà e, prima del disastro che gli europei invece si ostinano a ignorare, mira a ridisegnare lo spazio economico riconducendolo dentro i confini degli Stati. Di qui i dazi, che magari nell’immediato non hanno logica economica, ma sono il prezzo pagato volentieri per riprendere il controllo politico dell’accumulazione. Quindi Trump da un lato con Musk, l’utile idiota a libro paga NASA, combatte la superfetazione burocratica dello Stato che ai globalisti à la Biden serviva per acquisire consenso sociale, dall’altro rafforza lo Stato come guardiano politico del capitale al punto che i monopolisti di Internet, padroni del campo con i globalisti, da un giorno all’altro hanno abiurato tutto il ciarpame ideologico del globalismo e ora sono tutti inginocchiati ai suoi piedi, lui che forte del pieno mandato elettorale ricevuto può schiacciarli quando vuole. E questo è la campana a morte per i globalisti di Bruxelles i quali ciechi e sordi come sono si accodano ed esaltano il buzzurro ucraino, il quale però ha capito che tiene per gli attributi Trump, perché se lui non firma l’accordo economico tutta la costruzione con cui Trump intende restituire all’America lo scettro di arbitro del mondo non parte. Di qui la sua tracotanza che traspare in ogni istante della conferenza stampa, specie nei confronti del vicepresidente americano, ma anche nei confronti di Trump verso cui ha l’atteggiamento insofferente del nipote sveglio che sopporta a stento il nonno un po’ stupido. Che dire? Per le sorti del mondo, l’umanitarismo affaristico di Trump è più desiderabile del falso vittimismo ucraino che si traduce in una paradossale idolatria della forza militare. Oltretutto, con la sua strategia Trump reintegrerebbe la Russia nel tessuto capitalistico occidentale, e Putin che non è stupido e per ovvie ragioni non teme lo scambio economico-politico gli ha subito offerto di sfruttare insieme le sue risorse minerarie. Questo naturalmente è benzina sul fuoco per i globalisti di Bruxelles, perché dovrebbero andare a Canossa, e per i nazionalisti ucraini, perché dovrebbero finalmente cessare dalle paranoie con cui intossicano il mondo dal 1991 a oggi, se non da prima. Ma trasportato nel quadrante medio-orientale che ne è dell’umanitarismo affaristico di Trump? Mentre l’Ucraina potrebbe anche rifiorire, sebbene in una situazione di vassallaggio a parti rovesciate (prima la Russia, ora gli Stati Uniti. Bel risultato da fessi!), i palestinesi verrebbero semplicemente deportati, rendendo eterno il loro risentimento contro Israele in cui trionferebbero le peggiori tendenze razzistiche. Nella strategia di Trump, comunque, se non ci si fa traviare dalle stupidaggini dei social su Gaza trasformata in resort di lusso di cui si pascono i nostri media, il quadrante medio-orientale appare molto meno elaborato di quello europeo, e potrebbe riservare delle sorprese in riferimento al torvo e ormai anacronistico regime iraniano degli ayatollah. La situazione dunque è in movimento e non si starà qui a rievocare le scoppiettanti sparate del tycoon su Groenlandia, Panama e lo sbarco su Marte, per non parlare della Cina che incombe sfuggente sullo sfondo. In fin dei conti, sono i primi trenta giorni, e chi vivrà vedrà. E l’Italia? Mentre Giorgia Meloni come una faina sta acquattata prudente per capire quale maschera indossare non appena la situazione si chiarisce, l’Italia se la passa come l’Ucraina. Infatti, abbiamo un ex comico, Michele Serra, che convoca sotto casa sua i sindacati, i sindaci e chi ci sta, e da lì si mette alla testa di una manifestazione per… l’Europa (grasse risate dal pubblico). Insomma, stante la situazione attuale e stante la perdurante paralisi cerebrale di qualsiasi forza anticapitalistica di sinistra, l’unica cosa che ci si può augurare è che almeno ancora per un po’ Dio, di là dell’oceano, salvi l’America e soprattutto salvi Donald Trump.