Sul Domenicale del Sole 24 Ore di ieri, 20 ottobre 2024, Claudio Giunta, docente di Letteratura italiana all’Università di Trento, recriminando il fatto che gli studenti dei suoi corsi non sanno fare l’analisi logico-grammaticale, prende a calci Tullio De Mauro, il movimento dell’educazione linguistica democratica degli anni Settanta e il buon senso storico. Secondo lui infatti la colpa di quella lacuna sarebbe da ascrivere all’attuale insegnamento della grammatica nei vari ordini di scuola che è rimasto com’era ai bei tempi. Ma Tullio De Mauro e il movimento dell’educazione linguistica democratica contestavano proprio quel tipo di insegnamento grammaticale e si battevano per l’acquisizione di una conoscenza grammaticale che derivasse non dall’apprendimento di categorie astratte ma dall’uso stesso della lingua. Giunta probabilmente ignora questo aspetto e comunque si contraddice quando rimprovera a De Mauro e all’educazione linguistica democratica di aver contestato l’insegnamento tradizionale della grammatica e poi fa risalire la responsabilità dell’attuale ignoranza grammaticale dei suoi studenti a qualcosa che anche lui contesta, ovvero l’insegnamento grammaticale tradizionale. Anziché emendare le sue contraddizioni, Giunta ha però deciso di consultare sul punto uno dei maggiori linguisti italiani, Mirko Tavoni, il quale gli ha spiegato che la causa del persistere della vecchia maniera di insegnare la grammatica è il rifiuto degli insegnati di aprirsi alle potenzialità didattiche della grammatica generativo-trasformazionale, nonostante esistano ormai da tempo trattazioni grammaticali di alto livello ispirate a questa impostazione, come la monumentale Grande Grammatica italiana di consultazione di Renzi-Salvi-Cardinaletti. La spiegazione di Tavoni a Giunta è avvenuta per telefono, e purtroppo Giunta ha deciso di trascriverla e di renderla pubblica. Prendersela con il presunto spirito conservatore degli insegnanti denota un elitarismo su cui i linguisti che hanno abbracciato il generativismo dovrebbero interrogarsi. Ma denota anche un inveterato imperialismo. Se si vuole rinnovare l’insegnamento grammaticale, non si vede perché si deve adottare il generativismo e non, invece, dico così, a caso, la grammatica operatoria di Antoine Culioli, e chissà quanti altri modelli grammaticali nel frattempo sono stati elaborati che avrebbero delle potenzialità didattiche. Se una cosa si può rimproverare a Tullio De Mauro è di non avere approfondito la sua ricerca di una categorizzazione grammaticale “non aristotelica”, come lui diceva, offrendo così il destro a Giunta, a Tavoni e a tutti i tradizionalisti della grammatica di presentarsi all’onor del mondo come i veri innovatori, sol perché hanno adottato la splendente livrea del generativismo. Che però, come dimostrano i fatti, non raccoglie il consenso dei parlanti, se fra questi ci mettiamo anche i maestri di scuola che parlano della lingua a coloro che la debbono parlare. E siccome nella lingua l’uso è tutto, gli imperialisti elitari se ne facciano una ragione e piuttosto ricerchino altre vie per arrivare a una razionalità linguistica in cui appunto l’uso, ovvero il consenso spontaneo e irriflesso, non sia tutto e il parlante sappia parlare della lingua che parla non necessariamente ripetendo a pappagallo la secolare formuletta di soggetto verbo e complemento comunque riverniciata.